Marrageddon, 23/9/2023
Milano, Ippodromo SNAI La Maura.
Credo che quanto successo a Marracash, alias di Fabio Rizzo da Barona (ma nato nella Sicilia di Nicosia) negli ultimi anni, sia stato abbastanza incredibile. Un premio Tenco come miglior album con Noi, Loro E Gli Altri nel 2022, entusiasmo unanime e la capacità di coniugare stile e profondità nel rap, flow e delivery. Non stupisce quindi sia lui a farsi carico del primo festival di Rap italiano in due location, Milano e Napoli, battezzandolo Marrageddon e tenendolo sotto la sua direzione artistica.
Ippodromo al completo per la bellezza di 82500 persone, costi per il biglietto zona “popolare” più parcheggio complessivamente 80 euro. Scelte artistiche che vanno dai grandi nomi (Santeria dj set insieme a Guè, Salmo, Fabri Fibra) a progetti più freschi che spopolano parecchio negli ultimi anni come Anna, il producer Miles, Kid Yugi, Shiva e Paky. Cinque differenti fasce di prezzo e pacchetti, dai 50 ai 200 euro. Arriviamo in loco e alle 16:40, mentre percorriamo a piedi il viale che dovrebbe portarci alle entrate dell’Ippodromo, sentiamo l’inconfondibile voce di Kid Yugi, da Massafra, Taranto, quest’anno uscito con Quarto Di Bue, ep condiviso col producer The Night Skinny. Pur cosciente dell’impossibilità di arrivare per tempo a rubare qualche minuto alla sua esibizione, l’impressione è quella di un rapper che riesce a trasformare in banger ogni suo gesto, rimanendo comunque di spessore. Che succede? Sembrano essere comparsi sul palco Ensi e Nerone, due pesi massimi del freestyle che hanno realizzato insieme Brava Gente, quello con la hit “King Kong vs. Godzilla”! Se questo sarà il tenore delle sorprese annunciate per la giornata, non c’è che dire, il livello potrà essere parecchio alto. Il duo sembra essere rodato e gli incastri dell’album rispecchiano l’idea che che ci siamo fatti dallo stereo… gran coppia! Scopriamo solo in un secondo momento di esserci persi, oltre ai dj Set di Zak e Tayone, anche le incursioni di Nerissima Serpe e di Tony Boy (a proposito del suo ultimo singolo “Angeli” lo stesso Kid Yugi ha detto di vergognarsi di una nazione nel quale un brano del genere non sia al vertice delle classifiche). I set sono realmente brevi, sembrano più dei flash almeno in questa fase, ma, visto che sono solo le 17:10 e siamo in fila per i maledetti token, direi che non possiamo nemmeno lamentarci troppo. Intanto Miles ha iniziato il suo set. Dj e rapper, riempie l’arena e il fatto che non ci sia nessuno di fisso al microfono (anche se i finali sono dati dal vivo, non riesco a capire se ci sia qualcun altro ad occuparsene con lui sul palco) nulla toglie alla sua esibizione, curata e coinvolgente.
Il pubblico è parecchio eterogeneo, a conferma di come l’Hip-Hop sia stato capace di integrare anche in Italia un’audience generalista e trasversale. Certo, non come i macellai targati Sabaton alla festa della musica popolare di Bellinzona di un paio di giorni fa, ma se la confusione è grande sotto i cieli e le tribù si sono allargate… è anche giusto godersela. Ovviamente i prezzi delle consumazioni – grazie al cambio token e alle sei ore e trenta che abbiamo davanti – vogliono dire un investimento di almeno altri 50 euro, che al netto del parcheggio e del biglietto equivalgono a una cena con la famiglia parecchio, parecchio buona. L’impressione è che toccherà affratellarsi per terminare le consumazioni alla tarda, vedremo. Con 10 di questi riceviamo birra e hamburger con peperoni, cipolla, formaggio e senape per aprire lo stomaco alle 17:30. Sul palco intanto arriva Anna, parecchio emozionata nel trovarsi davanti a una bella marea di gente (sono più o meno a 400 metri dal palco, la visibilità è quel che è). Ha portato le beddies, ballerine che riempiono il palco e mette in fila diversi pezzi che accendono gli animi. La cosa peggiore, ahinoi, è il prodursi nell’esibizione di un brano che nella sua versione originale ha come ospite anche Guè Pequeno, che suonerà fra qualche ora: le sue barre, però, sono lasciate al disco. Succede con tutti gli artisti rap o almeno a ogni concerto rap al quale ho assistito ma, sarò all’antica, ‘ste cose non hanno nessun senso di esistere. Altra mancanza è quella di Marracash, è il suo festival ma non si palesa, non presenta, non saluta, è ancora impalpabile e credo che le esibizioni meritino la sua “benedizione”. Sono scelte, certo, ma mi sembra giusto evidenziarle. Poco male, intanto con Anna sale Artie Five che fa il suo, pompando “Anelli E Collane”. Bello sentire una botta così positiva in chi si esibisce, nulla da dire, son felici. Io sono una persona cattiva e trovo che i brani smozzicati così siano più faccenda da tiktok che da concerto, ma in effetti la situazione per ora sembra questa. Si avanza, tra rap, urban, ritmi che si muovono e smuovono i più giovani, che cantano a memoria i brani. La giovane rapper spezzina annuncia il suo singolo spaccaclassifiche “Bando” con una certa ritrosia, definendolo brano composto quando era veramente giovanissima (ha solo 20 anni e controllando risulta infatti essere stato il fortunoso colpo di una sedicenne che ha davanti a sé prospettive enormi di crescita). Tra un cambio set e l’altro il nulla, qualche brano alla rinfusa, mi sembra anche della pubblicità, probabilmente è scaduto Spotify Premium. Alla scoperta del mezzo token di resto e della bottiglia senza tappo aspetto che arrivi qualcuno tra Shiva e Paky. È il secondo ad attaccare, fasciatura al polso, tignoso e brado. Il suo disco Salvatore era roba buona e l’impressione non può che essere confermata. Il dj chiude le doppie e ha una t-shirt di Tupac, e “Auto Tedesca” ci fa entrare nel groove. Paky dice di non avere più il fisico per fare certe cose e questo non può che preoccupare. Ovviamente il giro nell’aria merchandising si risolve senza trovare un disco mentre troneggiano grafiche su sciarpe e foulard degni della gogna, oltre ad adesivi e carte da gioco con l’effigie del rapper di Barona. Tornando a occuparci del giovane Vincenzo Mattera, da Napoli a Rozzano ci resta l’impressione di un performer con uno stile personale e funzionante, sul quale il dubbio più grande rimane quello riguardante la scelta di esibirsi con la borsetta, forse per brutte esperienze nel backstage. Come che sia “Blauer” resta un pezzone enorme e come me lo pensano qualche altro migliaio di persone. Ora è il turno di Shiva: più mellifluo e contraltare sguisciante di Paky (coetanei ma quasi opposti, il secondo ha una storia discografica molto più massiccia e dal 2017 abbia già proposto ben 5 album esordendo a soli 15 anni) costruisce un bell’insieme di brani che al primo ascolto non stupisce siamo diventati instant classics. In “Bidibi Bodibi Bu” finalmente Paky entra sul palco con l’amico, aprendo una possibilità all’idea di incontro del festival. L’impressione è che i due potranno viaggiare per diverso tempo sulle loro strade parallele e la resa del loro pezzo in duo, “Tuta Black”, fa onore all’occasione. Allo stacco ci si rende velocemente conto che sta scattando un cambiamento generazionale, con MC che si avvicinano ai 40 anni suonati o li hanno superati da un tot. Ora dovrebbero arrivare Salmo o Fibra ma – aspettate – il logo sul palco parla d’altro e si presenta invece il pugile di Cogoleto, Mario Molinaro aka Tedua, che, al netto dell’ambiziosissimo e non riuscito La Divina Commedia, rimane una delle penne e delle favelle più visionarie dell’intera scena italiana. Vedo una ragazza scoppiare letteralmente in lacrime a un metro da me, incredula davanti alla sua apparizione e, beh, non può che essere emozionante sentire migliaia di persone cantare lo stesso brano, con un senso di appartenenza che pensavo appannaggio del triangolo delle bermude LigaJovaPelù. Giusto ribadire, come già in altre sedi (se non erro credo fosse a proposito di Rkomi), che l’utilizzo della chitarra rock da stadio in questi contesti è da carcere duro. Non so perché lo facciano, ma il breve rientro di Kid Yugi fa passare sopra a tutto e mette d’accordo tutti. Gli stand della cannabis senza CBD e la vendita di perfetti spinelli monoporzione mi fanno sentire ancor più anziano di quanto già sia, ma sono il segno del tempo, e in effetti per il popolo è giusto così, del resto a ricollegarci al passato più classico basta la bolgia infernale dei bagni chimici. L’applauso segnala l’ingresso di Fabri Fibra, con la splendida intro del suo ultimo disco. Purtroppo però l’impianto non sembra in grado di reggere la furia delle rime, che anche in assenza di Rose Villain rendono “GoodFellas” un brano ficcante e preciso. Visto un paio d’anni fa a Lugano, Tarducci si conferma una delle penne e e dei microfoni più accesi del mondo rap italico, a ben 24 anni dall’esordio e nonostante l’ultimo, indifendibile singolo con Giuliano Sangiorgi. Con lui sul palco il fedelissimo dj Double S, ai piatti e alle doppie. La differenza fra un rapper e un MC si vede, eccome: coinvolge, fa urlare il pubblico che si scatena, crea spettacolo, presenta il sodale. Il contesto e la location acquistano a questo punto un senso anche se l’impianto è parecchio lacunoso, almeno nella zona popolare. Nonostante questo si sciorina un classico dopo l’altro, cantati in coro da tutto il pubblico mentre ci rifocilliamo con una focaccia alla cicoria che ci mette in pace col mondo. Ora si aspetta Salmo da Olbia, ormai artista a tutto tondo, produttore e creatore di serie tv come “Blocco 181”, da sempre fautore dell’unione fra rap e rock come fra rap ed elettronica a bpm sostenuti. Entra con “90 Minuti” mandando in visibilio il pubblico, con “Stai Zitto” ritorna Fibra e si vede in entrambi la dimestichezza sul palco e nell’utilizzo delle telecamere, a vantaggio di tutto il parterre. “Russell Crowe”, “1984”, aizza il pubblico che risponde presente ballando e cantando. “Ho Paura Di Uscire”, traccia condivisa con il producer Mace, viene passata para para dal dj mentre Salmo corre e balla (su “Accendi Un Diavolo In Me” di Zucchero, artista che è stato il mio primo acquisto discografico a circa 10 anni, preferirei non esprimermi, ma essendo qui per testimoniare l’avvenimento posso dire che la voce è identica a quella del roncocesiano Adelmo Fornaciari). Improvvisamente arriva Noyz Narcos sul palco e lui e Salmo iniziano a distruggere tutto, preparando l’entrata di Marracash, per una threesome che per qualche minuto lascia il pubblico nell’incredulità. Poi Pisciottu si mette ai piatti e pompa i bpm, fino a trasformare l’ippodromo in un dancefloor. Riprende il live e mentre salta su una picchiettante “Perdonami”, blocca tutto per permettere che si aiuti una spettatrice vittima di un piccolo malore. Risolta la situazione riprende dal ritornello, preciso, quadrato e ballerino. L’impressione è quella di un’artista che può piacere o non piacere, ma che si dimostra una vera e propria macchina da palcoscenico. Chiude con “Mammastomale” e una “Lunedì” a cappella, lasciando il palco al padrone di casa. Padrone di casa che, a rigor di programma, dovrebbe ritagliare uno spazio d’esibizione assieme a Guè Pequeno per il loro Santeria, uscito ormai 7 anni fa, oltre che per il suo solista.
Ballerini e ballerine mascherati sul palco, scenario post-industriale: entra con “Badabum Badabum Cha Cha”, annata 2008, mentre l’elefante che passeggiò a Barona in quello storico video rimane sullo schermo. Coreografie da golden age su “King Del Rap”, quello di Marracash sembra essere uno show studiato nei minimi particolari. Una prima parte si direbbe dedicata ai brani degli esordi: dopo “Didinó” e “Popolare” l’uomo lancia dichiarazioni posate come “street rap dal 2003, Marra è il fottuto nuovo papa”, ma visto che introducono una “A Volte Esagero” con l’intervento di Salmo Lebon, lo si può accettare. In “Rapper/Criminale” racconta e conferma le sue scelte di vita, che avendolo portato a questo punto possono ritenersi corrette. Si accomoda su di una panchina per una “Bastavano Le Briciole”, quelle che fanno rivivere la sua infanzia da immigrato. Al buio inizia “20 Anni (Peso)”, poi i fuochi d’artificio, gli spazi all’amore con un brano ripescato dal 2015 e orfano della voce di Federica Abbate. All’arrivo dei tamburi e della voce recitante di Santeria si aspetta solo Guè, e infatti basta un cambio d’abito per iniziare in coppia, bermuda e camicia hawaiana, con “Money”. “Nulla Accade” è affidata al pubblico per il ritornello e credo che dal palco, considerando i sorrisi di Fabio e Cosimo, l’effetto sia parecchio esaltante. “Cashmere” e “Salvador Dalí” sono poi un momento nel quale i due king del rap di Milano raccolgono quanto seminato in anni. Una “S.E.N.I.C.A.R.” per le ragazze presenti, poi si festeggia il mezzo secolo di Hip-Hop con la “Smith&Wesson” firmata con DJ Harsh, fermata per un altro allerta salute e ripresa per l’ultima parte a cappella con scratches. Ci si accorge dal vivo di come quel disco sia stato un classico che risuona fresco dopo tutti questi anni, in questa sorta di riedizione a tema e viene spontaneo chiederci se ci sarà mai un Santeria vol. 2. Quando le telecamere inquadrano uno scooter aspettiamo solo l’arrivo di Sfera Ebbasta, che però non compare. La resa è comunque spettacolare e alla fine il momento nel quel sono richieste tutte le luci dei telefoni (onnipresenti, of course) arriva su “Brivido”. Da 6/7 anni Marra e Guè non si trovavano di un palco per questo materiale e quando parte “Love” sentire l’ippodromo intero cantare una dichiarazione d’amore così diretta dimostra di quanto popolare questa cosa sia fortunatamente diventata in soli 50 anni. Guè parte, tutto sembra spegnersi, ma ancora mancano i due dischi che hanno reso Marracash la star che è diventata ora, a rigor di logica il lato caldo dello show. Inizia con “Io”, ma è Mahmood a cantarla, che entra ed esce come se fosse un’apparizione. Due squali ai lati del palco, Marracash sospeso a mezz’aria con “Body Parts – I Denti”, ad aprire la porta a Persona, uno dei dischi più intensi di sempre nel circuito italiano. Con “Crazy Love” torna Mahmood e nel loro abbraccio si rivela la gioia di quella che è una festa ma che è anche un passaggio di un brano più denso dell’altro, visto che arrivano “Bravo A Cadere”. La “Pagliaccio” di Noi, Loro E Gli Altri cantata da Cristobal, un vero tenore di stazza che ci porta nell’ultimo disco direttamente dalla porta principale. “Cosplayer”, tagliente e diretta, che tocca dove poi fa male su una società basata unicamente sull’apparire. “E il tempo passa e non mi manchi…” è ciò che canta Blanco entrando sul palco, segno che siamo arrivati a “Nemesi”. Quando poi Fabio decide di cantare “Laura Ad Honorem”, commuovendo anche senza Calcutta, l’impressione è che lo show sia in una crescita continua. Lo storytelling di Marracash riesce a trascendere gli stili musicali e brani come “Dubbi” riescono a mettere in piazza la propria persona al di là di ogni amore per il rap. Mentre annoto mentalmente di come sia accessibile e semplice il canto di Marracash, credo che soprattutto un brano come “L’Anima” – se affrontato da solo – sia troppo basilare, ma dal nulla arriva Madame e con un abbraccio suggellano un altro dei momenti topici di una festa toccante. Poi “L’ego”, thasup rimane impalpabile com’è giusto che sia. Ci si muove a richiesta, visto che la temperatura va calando lo facciamo più volentieri, un po’ di “Sport – I Muscoli” casca a fagiolo. Lazza al microfono, Marracash al lanciafiamme, ci si scalda a dovere, con Paky che la chiude in maniera impeccabile. Ormai vale tutto, non ci si sorprende quasi più, mancano soltanto dei popcorn! “Crudelia” si conferma una delle canzoni post-relazione più forti degli ultimi anni, esorcismo terapeutico di un amore marcito in odio. Un insieme molto ben architettato secondo scelte precise, che ci confermano un talento valorizzato in grande. Quando tutto sembra finito e stiamo già andando di filata alle auto, inizia a sbraitare le sue Red Bull 64 Bars, per un cambio di rotta repentino della folla. Questione di un minuto, poi finisce, ma credo tutti abbiano lasciato l’ippodromo sperando risuccedesse ancora ed ancora. Marrageddon si rivela una festa più che un festival, una festa per Marracash, che ha scelto di celebrarla con molti suoi amici, e un pubblico che ormai è quello di un cantante pop, nella miglior accezione del termine.
Quel che si può confermare, dopo questa lunga giornata, raggiunti dalla notizia che anche la seconda esibizione a Napoli è sold out, è che il personaggio Marracash e quanti lo seguono (pensiamo soltanto alla figura di Paola Zukar, manager che ne cura gli interessi oltre a a quelli di Fibra, ad esempio) siano stati in grado di raccogliere il pubblico in un evento ha finito per determinare il loro status. Un evento per ascoltare i grossi nomi, ma anche le nuove leve del rap, e tramite il quale educare il pubblico a uno show e a un suono mainstream di qualità. Migliorabile, certo, soprattutto per audio, fruibilità e servizi, ma è stato un ottimo inizio. Piuttosto mi chiedo se un festival che punta a presentare uno stile musicale nato e forgiato nelle periferie (anche milanesi) ha fatto una riflessione sulle barriere economiche che si trovava davanti chi voleva arrivare sotto al palco. L’unico tentativo percepito in questo senso è stata una ragazza sulle spalle del partner per guadagnarsi un briciolo di vista, subito scesa dopo il vociare della sicurezza. Per il resto, rigor mortis.