MARNERO
Intervista corale ai Marnero, naufraghi e sopravvissuti, amanti dell’elemento liquido e delle sonorità instabili, ma anche del numero quattro e dei suoi innumerevoli significati. Insomma, quattro chiacchiere in famiglia con una delle realtà che da sempre sentiamo più vicine.
Cominciamo dal concetto del navigare e dalla preferenza accordata ai liquidi anziché ai solidi. Mi ha incuriosito questa necessità di cambiare orizzonte per sopravvivere, quasi che l’avere punti fermi e la terra sotto ai piedi sia un limite anziché un vantaggio…
Decisamente preferiamo i liquidi ai solidi. Intanto la terra solida si può spezzettare in tante parti e si può dire che ognuna di esse è proprietà privata di qualcuno. Così la terra può essere recintata, i muri costruiti, la gente rinchiusa, il caos soffocato, il Possibile anestetizzato. Nel mare questo non può succedere. L’acqua scorre, è sempre diversa, non è mai la stessa ed è sempre la prima volta che la vedi. Il mare è uno e sono molti. Ed il centro del mare è la prospettiva migliore, quella che apre al maggior numero di altre possibilità, e che lascia tutte le opzioni del Possibile e del Caso, perché non dà punti di riferimento, tranne la scia che lasci dietro di te, che però è destinata a scomparire a breve. Nel mezzo del mare la strada davanti non è segnata, solo si vede il porto da cui si è salpati dietro, che poi scompare, e qualsiasi faro all’orizzonte è immaginario, fantasmatico, come un canto di una Sirena, come una qualsiasi promessa di un qualsiasi marinaio. Nel disco precedente ci interessava la dimensione verticale del mare, quella dell’andare a fondo. Questa volta, con la storia del Sopravvissuto, abbiamo percorso invece la dimensione orizzontale, che poi alla fine si rivela non più lineare come crediamo, ma avvitata a spirale. Forse.
Di sicuro la vostra musica rispecchia questa necessità di aprirsi a possibilità differenti, con l’inserimento al suo interno di diversi ingredienti e linguaggi. Quale credete siano il collante e la cifra capaci di rendere il vostro uno stile immediatamente riconoscibile e con una sua personalità ben definita, piuttosto che un patchwork senza capo né coda? Cosa non deve mai mancare all’interno di un disco dei Marnero?
Crediamo che il capo e la coda ci siano, ma che siano uniti in una spirale, come nel cane che si morde la coda o come nel serpente di Nietzsche, a cui bisogna strappare la testa. Non sappiamo se il nostro stile sia immediatamente riconoscibile. Di sicuro siamo idrorepellenti alle tendenze, facciamo più o meno le stesse cose da quindici anni (vedi chitarre così lorde che non possono essere pulite mai, nemmeno col napalm, e che ci tengono lontani dagli amanti dell’indie rock, per fortuna). Le ventate di “novità” ci lasciano di solito immobili, se non infastiditi. Ignoriamo le innumerevoli variazioni dei gusti dell’audience, ma è un’incapacità, non una scelta. Il fatto è forse che non siamo mica in grado di scegliere cosa fare, di scegliere se e come cambiare. Facciamo quelle sole cose che sappiamo fare, che ci sono necessarie perché forse sono parti di noi, parti plurigemellari, porzioni di vita, party, grandi feste, parti di quelle partenze che non hanno ritorni. Almeno crediamo.
Anche i numeri hanno una loro importanza ben precisa, quattro quadranti divisi a loro volta in due parti come le facce di una medaglia… Segni cardinali, quadranti, sestanti e sette mari, un caso o una scelta consapevole? Credete nel potere magico dei numeri?
Abbiamo un’evidente ossessione per le simmetrie. E per le cose divisibili per 4. Avevamo un gruppo di tre a cui abbiamo dovuto aggiungere uno per colpa di questa patologia. Un vecchio disco mai registrato, di cui si trovano tracce, frammenti e reperti nel Sopravvissuto, si chiamava Quattro Parti. Quattro come i quattro cavalieri dell’apocalisse, come le quattro stagioni, i fantastici quattro, le quattro dimensioni, i quattro assi, i quattro punti cardinali, i quattro venti, il pupazzo Four. Non crediamo nel potere magico dei numeri, diremmo anzi che, di base, non crediamo proprio a niente e questa del Nichilismo è una delle questioni che muove le prime ancore del Sopravvissuto. Però il 4 è un bel numero, sono le 4 direzioni fondamentali verso le quali ci si può dirigere. In questo senso i Punti Cardinali sono importanti in questa storia, non perché possano eleggere papi o robe del genere, ma perché il ribaltamento dei punti di riferimento (e dei cassonetti) è una delle catastrofi necessarie alla distruzione dell’esistente e alla ridefinizione di una identità assente/predeterminata/atrofizzata.
A proposito di simbolismi, l’idea di assistere al proprio funerale non è cosa da poco, lasciarsi alle spalle tutto e ricominciare una vita nuova. Vi è mai venuta la voglia di piantare la musica per dedicarvi ad altro o magari uscire da una realtà (evitiamo il termine scena) cui avete contribuito in prima persona lungo gli anni a costo di sbattimenti e sacrifici, per ripartire da zero?
Intanto la cosa interessante dell’assistere al proprio funerale è la possibilità di vedere la ovvia e ipocrita propria rivalutazione dopo la morte. Tutti i tuoi difetti spariscono, diventi un santo, un bravo ragazzo, un padre di famiglia, i tuoi nemici ti elogiano e gli sconosciuti ti piangono (è tipo quando al tuo gruppo che non si cacava nessuno dopo sette anni gli fanno dei tributi). Assistere al proprio funerale deve essere molto divertente. Ed è molto divertente distruggere totalmente la propria identità fatta di cose decise da altri per ricominciare nel segno dell’autodeterminazione. Lasciarsi le cose alle spalle è necessario. Mettere i punti alle frasi per girare le pagine pesantissime, e cominciare la pagina bianca. Il fallimento, in questo senso, è ciò che crea il cambiamento. La patata marcia genera le nuove patate. Succede ogni volta che si manifesta l’eterno ritorno del Tutto-da-Rifare. Davvero una vita ad arare il mare, Sisifo in confronto è un dilettante.
Come tutte le navi che si rispettino anche il vostro nuovo disco ha dei clandestini a bordo, vi va di presentarceli? Come è nata la loro partecipazione all’album?
I Sopravvissuti aggiunti, in ordine rigorosamente sparso, sono: Ale dei Dune (le urla belluine nel Quadrante II), Lili Refrain dei Lili Refrain, (sirena del Quadrante II e voce antica nel Quadrante IV), Valerio degli Infermo (Angus Young nel Quadrante I), Francesco Zocca dei Lleroy (voce principale, Quadrante IV, rotta e irreparabile) e Michele dei Santa Banana (gli archi del Quadrante I e IV). La loro presenza si è più che altro autoimposta per ragioni di arrangiamento: il racconto di questa storia necessitava di interventi esterni per essere realizzato. E chiaramente quando c’è bisogno di una mano si chiede in primis agli amici. Quindi, dove servivano degli archi, abbiamo chiesto a Michele di arrangiare viola e violino, dove c’era bisogno di un urlatore folle nessuno meglio di Ale… e così via per tutti i featuring. Siamo molto fortunati ad avere amici dotati in grado di interpretare i nostri grugniti e trasformarli in musica. Valerio in particolare, oltre che un amico, e il mixatore nottambulo dei nostri dischi, è da sempre un po’ il quinto Marnero. Ci sostituisce quando siamo irreperibili, ci aggiusta quando siamo irreparabili, ci insegna delle cose che non sapevamo, ci porta da dei kebabbari importanti, ci consiglia i videi su youtube imperdibili (gli Infermo qua sopra sono in realtà gli Inferno: quando lo facciamo notare i Marnero riferiscono di un lapsus freudiano che merita d’esser lasciato così, ndr).
Il Sopravvissuto è in free download, ma sarebbe bello soffermarsi anche sulla versione fisica che (al solito per voi) dimostra una cura per i particolari e un malcelato amore verso grafiche, artwork e packaging. Chi si è occupato del vinile e come è nata la parte visiva del disco?
La parte visiva di questo nostro racconto è a cura di Robert (www.garadinervi.com). Lui, altro naufrago incontrato in un’altra vita, percorre da sempre i nostri suoni con delle visioni parallele. Parlare lungamente con lui di questa storia ha aperto alla storia stessa nuove prospettive, nuove interpretazioni e punti di vista. E la storia che ha raccontato lui visivamente è davvero imperdibile. L’edizione limitata del vinile si presenta con una busta fatta a mano nella quale si possono ritrovare vari reperti della via precedente del Sopravvissuto, prove, testi scritti con la penna e allagati di vino in qualche taverna di chissaddove e chissaquando, resti del naufragio, frammenti di piani quinquennali falliti, calligrafie del vecchio diario di bordo del Sopravvissuto (i cui lettering sono di padiy.tumblr.com). Un rilascio di pezzi di una vita precedente, che hanno la caratteristica devastante di essere molto carica di significato per chi li rilascia e pressoché vuota di significato per chi li ritrova. A meno che il ritrovatore non sia, anche lui, un Sopravvissuto che a sua volta possa ricostruire da questi frammenti un percorso nuovo, una storia antichissima e allo stesso tempo eterna, originale e nuova.
Coproduzione tra più label, una scelta di vita o un’esigenza? Ha ancora un valore parlare di rapporti umani e amicizie suggellate dal produrre dischi insieme nell’epoca delle larghe intese PD/PDL o è tutta una sporca questione di sopravvivenza?
L’Autoproduzione è una roba che abbiamo nel sangue e nella nostra storia. Ci permette di controllare ogni singolo passo del travagliato parto che abbiamo fatto, e questo è l’aspetto più importante in un disco che, per quanto ci riguarda, non è per niente una roba solo musicale. Per quanto riguarda la distribuzione, ci siamo affidati di nuovo alla cordata in cui ci si smazzano gli sbattimenti e si minimizzano i rischi. Dunque siamo molto grati a Escape From Today, Dischi Bervisti, Mothership, Fallodischi, V4VRecords e To Lose La Track, che ci hanno dato una mano a mettere fuori il disco, e che sono stati molto efficienti e collaborativi. Non ti neghiamo che ancora una volta si tratta di una bieca questione di sopravvivenza. Forse, se ci fosse stata una realtà più grossa, affidabile e in grado di darci qualcosa che ci interessasse e che non siamo in grado ottenere da soli (senza però romperci i coglioni, per dio), non avremmo avuto problemi ad affidargli il parto. La realtà dei fatti è però che robe di un certo tipo di diy evoluto alle nostre latitudini si contano sulle dita di una mano senza dita, e sul loro modus operandi abbiamo parecchio da ridire. E intanto vedo che anche gruppi un po’ più grossi di noi hanno pensato che autoprodursi il disco rimane la soluzione migliore. Quindi è l’ennesima vittoria del diy.
A proposito di compagni di viaggio, c’è qualcosa tra le ultime uscite che vi ha incuriosito o con cui sentite di avere un’affinità? Esiste un disco o un gruppo che mette d’accordo tutti i Marnero, un cd che non può mancare durante le vostre trasferte in furgone?
Non siamo il tipo di gruppo che si tira giù le ultime novità per tenersi al passo con i tempi. Siamo piuttosto retrogradi in questo senso. L’unica cosa che non scontenta nessuno in macchina è un’accoppiata tipo “And Out Come the Wolves In The Throne Room”. Che poi penso ci rappresenti bene perché siamo Neri ma non Metallari, siamo Punk ma senza troppi diti medi. E senza eroina, e questo un po’ ci penalizza. Forse si può dire la parola Black Punk. Oppure ascoltiamo altra roba, ma tutta precedente al 2003. Tipo i Lack, quelli danesi. Chi se li ricorda? Oppure Modulo 25 dei Seed n’ Feed, in particolare la traccia numero 8, “Torrido”. Dobbiamo però ricordare che quest’anno sono usciti una serie di dischi italiani davvero ottimi. Penso a Bachi Da Pietra, Lleroy, Zeus!, Fuzz Orchestra, Ornaments. Dischi maturi, potenti, vitali, con dentro una quantità di idee e attitudine sufficiente a ridicolizzare l’hardrock coi pantaloni a zampa e i serpenti in copertina che da Williamsburg ci insegnano essere l’avanguardia della musica occidentale.
Prossimi concerti o, meglio, prossimi porti che toccherete per presentare la vostra ultima fatica? Cosa dobbiamo aspettarci dalle vostre prossime incursioni live, vi schierate con chi preferisce suonare l’intero disco, magari rispettandone la tracklist, o proporrete anche dei salti nel passato?
Il Sopravvissuto è un racconto e va raccontato dall’inizio alla fine. In questo senso lo proporremo dal vivo, ma se sia vivo davvero dipenderà solo dalle molteplici possibili letture che gli ascoltatori non passivi vorranno trovarci. L’intenzione di chi lo ha scritto, ormai, si è persa fra le righe del diario di bordo…. più interessante, forse, è sapere quello che questi ritrovamenti raccontano a chi ascolta questa storia: come già abbiamo avuto modo di scrivere “a meno che non sia solo una roba tonda con le righe morta dentro una scatola inutile di cartone”.
Lasciate un messaggio in una bottiglia, da affidare al mare…
Questo nostro disco è il nostro foglietto nella bottiglia. Abbilo. Dentro c’è il violento rotolare degli eventi verso l’inevitabile. “Dopo il primo passo oltre la prima soglia tutto è già dietro di miglia”.