MARLENE KUNTZ, 12/10/2024
Lugano, Studio Foce.
Per avvicinarmi a un nuovo concerto dei MK dopo decenni, riparto oggi come allora. Il Vile a volume spianato in auto per raggiungere la location dove i cuneesi risuoneranno Catartica, esordio del 1994, ma che a me giunse solo con il riflusso del secondo disco e che a consuntivo ritengo il loro migliore (seppure al fotofinish). Sbraito solitario in auto, fiero della mia memoria su testi come “Società da arruolare i suoi filistei/e sa far ridere gli amici che non hai più/è l’arma giusta per schierarti con chi vuoi/slogandoti la resa sale più che mai” (da “Retrattile”) e quel capolavoro che è ancora “L’Agguato”.
Lo Studio Foce di Lugano sarà sold out (circa 400 posti a disposizione), cosa che potrà caricare ma anche mettere pressione a Filippo Dall’Inferno, incaricato di scaldare gli animi degli uomini (a naso stimo un rapporto di 8 a 2 con il gentil sesso) per Godano e soci. All’interno hanno saggiamente sistemato una postazione supplementare per la birra, cosa buona e giusta, ed il pubblico è maturo, tanto che, pur avendo raggiunto la veneranda età di 45 anni, rimango nella parte giovane della folla. Entrata a 40 euro tondi che sono al limite, ma si parla di due pizze elvetiche, quindi si potrebbe anche parlare di prezzo onesto visto il double bill.
Filippo Dall’Inferno si presenta sul palco accompagnato da lungocriniti d’ordinanza (batteria, doppia chitarra e basso) e parte per una tangente psichedelica che profuma di canyon e deserto con un lungo strumentale. Le parole vengono mangiate tra scelte stilistiche e impianto, ma l’approccio quasi sistematico al raddoppio vocale, lasciando il centro del palco a un bassista uscito dalla periferia di Monterey, pare vincente. Col passare del tempo subentra un po’ di manierismo e la mancanza di brani indimenticabili fa il resto. Peccato, perché quando i giri vengono aumentati la stoffa c’è ed i lineamenti alla Marcelo Salas indicano che Filippo il colpo potrebbe anche tirarlo e infatti “Vi Trascino All’Inferno” dal vivo è un pezzo che nelle condizioni migliori potrebbe creare una bella bolgia sotto al palco.
Le band si avvicendano e mi chiedo se in concerti come questi si mantenga la scaletta originale (cosa che sarebbe gradita, lasciando la canzone più bella dei Marlene Kuntz alla penultima postazione) ed attendiamo. Da informazioni dovrebbero esserci Cristiano Godano e Riccardo Tesio alle chitarre, Luca Lagash al basso, Davide Arneodo con annesso accrocchio fra tastiere e secondo tamburo di supporto a Sergio Carnevale (già Bluvertigo) alla batteria.
A fianco a me un giovanissimo col padre (sosia sputato di Riccardo Tesio vent’anni fa, parecchio bizzarro), bella iniezione di energia pronta a colpire. L’attesa si allunga e dietro di me sento gente parlare di testimonianze live dei Negrita (ricordiamo che l’ascoltare o vedere i Negrita live dovrebbe essere vietato per legge in ogni stato illuminato), non bene.
Entrano, si inizia senza discussioni: “Trasudamerica” e siamo dentro. Il suono è buono, le vibrazioni sono quelle anche se il ginocchio cigola come al solito sotto sforzo. Digressioni rumorose e un gran bell’impatto che conquista la platea.
Poi è subito masturbazione, la gioia che mi do rimane una lama sottile che si insinua e punge. “… Noi stiamo per generare l’idea di vomitare sui vostri piatti migliori…” è sempre ipotesi valida e la nervosità di “Fuoco Su Di Te” colpisce a fondo, in comunione fra Cuneo e la provincia ticinese, dove ovunque si muore. Poi “Canzone Di Domani”, che riesce a rompere gli argini facendo ballare buona parte del pubblico e facendogli rispondere ai cori richiesti. Del sano noise bifronte fra Riccardo e Cristiano a specchiarsi. Come da titolo e da destino “L’Agguato” si prende quattro minuti di bellezza in scaletta ed è un piacere, così come “Lamento Di Uno Sbronzo”.
In un intervento parlato, Cristiano spiega come la scaletta contenga altri brani pre-2000 (inglobando quindi anche Ho Ucciso Paranoia, cosa curiosa, visto che lo ascriverei già alla seconda fase della loro carriera), ma ci riporta là con “Mala Mela”, perché “… così sta scritto nel libro “La Mia Vita Nel Sociale””. Mazzate doppie sui tamburi per “Primo Secondo Terzo”, la migliore di tutte, acida, incazzata, furente, stupenda. Tenerezza e piacere con “Infinità”, che permette di librarsi su arie quasi angeliche.
Cosciente che non si scatenerà il marasma tra la folla, recupero a fatica una birra per godermi l’ultima parte del concerto nelle retrovie, “Ineluttabile”. Tutto è caldo ma con mano leggera, “Lieve”, come il brano che diede praticamente l’inizio a tutta la loro notorietà, che si trasforma in un bel marasma sonoro. Con “Festa Mesta” si urla sgraziatamente, tutti insieme, per uno spettacolo sicuramente mediocre dall’esterno ma molto sentito in the bunch. Scelgo di viverla ballando come un ubriacone al bar, snodato come non mai (“… è tutta rigidità! …” canta Godano, ma figurati!) ed il clima è ormai euforico. Urlando su “Sonica” dopo esser corso fra le prime file, temo di aver perso la voce ma ancora non sappiamo, l’importante è viversela a fondo. “Nuotando Nell’Aria” è una canzone sexy oggi come allora, che esplode e fa urlare, e degli over 55 (senza un filo di panza) se la suonano e se la cantano con uno stile che è del tutto ragguardevole.
Osanna, applausi, sorrisi, dovremmo aver dato. No, c’è spazio per un bis, “Come Stavamo Ieri” e l’idea è che si possa andare avanti, considerando come vengono posizionate le chitarre. Ed infatti “Non Parlo Più” parte, irosa e livida. Perdo qualcosa chiacchierando con uno dei fonici, amico di lunga data, fra spore e rumore, rientrando per una MK che chiude ancora in crescendo, rabbiosa ed a fuoco. Potrebbe salire un filo di nostalgia ma non mi sembra il caso, ho i Korn che mi aspettano per la prima volta della mia vita in auto (colpa di Massimo Perasso che me li impone avendo apprezzato i Chat Pile) ed una 10 km di passeggiata domani in famiglia. Spiace non essere riuscito ad intervistarli, pure provandoci con diversi canali.
Ma sono state un paio d’ore molto molto belle.