MARJA AHTI, The Current Inside
Credo sia una buona idea ascoltare un album per la prima volta in treno, se si può: per qualche ragione che io non mi sono mai sforzato di capire (ma sono certo che la scienza abbia una risposta), una carrozza in movimento sembra incidere i suoni nella memoria. Quando si ascolta lo stesso album la volta successiva, si ricorda lo scenario che scorreva alla finestra, anche se si è sulla terraferma. The Current Inside non delude sotto questo aspetto. È molto adatto per l’attuale viaggio che sto compiendo: sono su di un treno ad alta velocità con scenari mutevoli e il mio viso è mezzo oscurato da una mascherina chirurgica. Qualche volta guardo discretamente e con cautela quelli intorno a me, e loro mi osservano con il medesimo sospetto.
La svedese-finlandese Marja Ahti è molto attiva scena nella scena di Turku, la seconda città finlandese, e ha suonato a molti festival (e venue) in tutto il mondo. Il suo album del 2019, Vegetal Negatives, presentava la natura come artificio: field recordings di spazi urbani e naturali erano intervallati da un intervento di synth o altre manipolazioni elettroniche, il che ti rassicurava sulla presenza di una mente umana a governare il processo. The Current Inside utilizza gli stessi elementi costitutivi, però l’intervento umano è meno percepibile. È un disco volutamente meno confortante rispetto al precedente. Anche i suoni, pur se simili sotto l’aspetto tecnico, sono più difficili da decifrare. Cos’era quel rumore? Una cicogna? Una falciatrice? Un oggetto in plastica microfonato? Ha importanza? Gong appaiono e scompaiono sul giustamente intitolato “The Altitudes”, un brano commissionato dall’INA GRM. Insomma, questo album di toni alti, field recordings e drone multifonici sapientemente messi insieme è la colonna sonora ideale per tempi di ansia generale, in cui la prospettiva di dover convivere con questo virus nel lungo termine diventa sempre più una realtà.