MARISSA NADLER, 20/12/2016
Ravenna, Bronson.
Si parte in sordina al Bronson con la giovanissima Jess Williamson, cantautrice statunitense alle prese con il suo secondo album Heart Song, accompagnata dal chitarrista Shane Renfro aka RF Shannon. Presenza scenica ai minimi (i due texani sono piuttosto statici, fatta eccezione per quel loro ondeggiare lentissimo e ipnotico), ma il loro folk tenebroso sembra comunque catturare e contagiare il pubblico, che si lascia andare cullato da una delicatissima e bisbigliata versione di “Into My Arms” (Nick Cave And The Bad Seeds).
L’atmosfera ormai si è scaldata e Marissa Nadler fa il suo ingresso sul palco in un elegante abito in velluto verde a strascico, protraendo l’attesa sulle note di “Dying Breed”, tratta dal terzo disco Songs III: Bird On The Water. Gli accordi, lasciati vagare dentro un crepuscolo rosso sangue, danno inizio al lisergico rito musicale, al quale il pubblico prende parte in un silenzio quasi religioso. Ad accompagnare Marissa per il resto dell’esibizione c’è una band al completo: Don McGreevy (Master Musicians Of Bukkake, Earth) al basso, Milky Burgess (Master Musicians Of Bukkake) alla chitarra solista e alla steel-guitar, Steve Nistor alle percussioni e alle tastiere. La backing band riproduce i brani di Strangers, ottavo album in dodici anni, e del precedente July, intensificandoli e rivisitando in modo convincente anche gli episodi più delicati, senza mai sottrarre delicatezza o spazio alla voce della cantante. La sottile tensione generata dagli arpeggi di chitarra si spezza solo negli intervalli fra una canzone e l’altra, quando la Nadler cambia accordatura e quando si avvicina al microfono per sussurrare ringraziamenti sibillini e tremolanti come una fiammella esposta a piccoli colpi d’aria improvvisi. “All The Colors Of The Dark” condensa in sé l’essenza della serata, la voce di Marissa striscia lentamente verso il basso e risale su per la schiena, mentre le luci soffuse la mettono a proprio agio, facendole superare la timidezza iniziale. Da qui in poi è un crescendo di foschi riverberi con “Hungry Is The Ghost”, una rarefatta versione di “Cortez The Killer” (qui Burgess si concede un lunghissimo assolo finale) e poi ancora un’attenta selezione dei brani più struggenti di Strangers. In linea con l’immaginario apocalittico e surreale della cantautrice americana, la conclusione è affidata alla cover di “Solitude” dei Black Sabbath (tripudio di cuori che palpitano…), seguita dal bis in solo di “Firecrackers”, che ci riporta al passato e al clima iniziale, profondamente intimo.
Nadler è indubbiamente una presenza ammaliante e con questo live ha offerto l’ennesima conferma di un talento sincero e per niente lascivo. Abituarsi all’oscurità mentre la sua voce e il pizzicare delle corde riecheggiano non è poi così strano.
“Was it a dream or something sinister?”
Setlist
Dying Breed
Drive
Dead City Emily
I’ve Got Your Name
Strangers
All The Colors Of The Dark
Hungry Is The Ghost
Cortez The Killer
Was It A Dream
Katie I Know
Waking
Divers Of The Dust
Solitude
Encore
Firecrackers
Grazie a Chiara Viola Donati per la foto.