MARIO DIAZ DE LEÓN, The Soul Is The Arena
Torna l’artista americano, questa volta col proprio nome di battesimo, e con una pubblicazione piuttosto diversa da quelle che conoscevo, alludo alla prova noise & drone – a nome Oneirogen – di Hypnos. De León è anche un compositore legato ad ambiti diciamo più “accademici”, vanta una partecipazione come membro aggiunto dei torinesi Quartetto Maurice all’edizione 2013 della Biennale di Venezia, quindi non deve stupire se qui mette in pratica tutti i suoi studi, ad esempio in “Luciform” si fa strada la sensazione di stare ad ascoltare, seppur vagamente, un Fausto Romitelli infatuato di strane atmosfere esoterico-cinematografiche musicate da Ennio Morricone; il flauto della ospite Claire Chase spadroneggia, con gli inserti di elettronica che fungono da sinistro corollario, mentre il finale è una festa di synth fuori controllo. La prima parte dell’album contiene poi la title-track, traccia ancor più nervosa, un pelo confusa per la verità, che parte in quarta con base elettronica e un clarinetto basso (suonato da Joshua Rubin) difficili da seguire, e continua sempre indomabile: in questo caso, insomma, la natura bruitista dell’uomo viene fuori con maggiore intensità, d’altronde il suo passato parla chiaro. Con “Portals” nel secondo lato le due istanze, quella atmosferico/cameristica e quella più votata al “rumore”, tentano di unirsi in una cosa sola: qui De León cerca una via di mezzo per niente facile da oggettivare, lasciando in sospeso, o come davanti a una soglia dalla quale osservare/ascoltare, un disco per il quale è logico usare aggettivi come fascinoso, impenetrabile… ma che in sostanza rimane come una bella scultura sonora non portata a termine, e questo dispiace visto che il suo talento è innegabile. Fosse per me dovrebbe provare a separare le due cose e ne trarrebbe solo giovamento.