MARINA HERLOP, Nekkuja
Il silenzio regna sovrano nel vivaio di Marin Herlop. Un giardino magico in cui avviene un rituale occulto, con le energie negative risucchiate dalle foglie rigogliose degli arbusti per poi essere espulse attraverso note che vibrano nell’aria come polline, ripulite dal marcio e finalmente libere di esistere. Nekkuja è uno di quei dischi che rende davvero possibile immergersi nell’ambientazione immaginata dall’artista, che in questo caso ha partorito queste sette canzoni in concomitanza con l’uscita del precedente Pripyat, in un periodo della sua vita dove l’incertezza per la sua carriera musicale la faceva da padrona. Un’instabilità combattuta ricercando punti fermi nella natura, nei raggi di sole e nella dolcezza dei fiori sbocciati nel suo giardino. Un ritorno alla terra che coincide con una verve più folk e acustica, che devia rispetto alla rotta tracciata dal suo predecessore del 2022, allontanandosi dall’oscurità elettronica per carpire i raggi vitali di un nuovo approccio, più “bucolico”.
Il risultato è uno sfarfallio fatato che centellina al meglio incursioni elettroniche e fluttuazioni art pop. La perfetta anarchia della foresta (incapsulata del favoloso artwork della pittrice Mati Klarwein) viene domata dalla soave voce della Herlop, che riesce sempre a fluttuare sopra al suono con l’ormai riconoscibile cadenza catalana del suo cantato. Una ninna nanna fugace come la luce del mattino, che mescolata a battiti ancestrali ci regala “Busa”, prima creatura del biotopo della ragazza di Barcellona. Gli angoli fiabeschi si sprecano, con “La Alhambra” – che incanta con la sua cadenza da ballata futuristica – e i flash di percussioni storte di “Cosset”, che scivolano come rugiada sulla dolcezza acustica della base folk. Archetipi acustici e manipolazioni digitali fanno capolino anche in “Reina Mora”, e in generale risulta essere un sodalizio ben riuscito per convogliare tutta l’emotività del rapporto tra l’umano e la potenza generatrice della natura. Il giardino immaginario di Nekkuja è una boccata di aria fresca nel caotico movimento quotidiano, una parentesi ipnotica e giocosa che risulta essere l’evoluzione naturale della carriera di un’artista che sta continuando nella sua personale ricerca artistica. Peccato per la durata, 26 minuti che volano via con fin troppa velocità. Non resta che premere di nuovo play.