MARCO COLONNA – CRISTIAN LOMBARDI, Medea
Una febbre sottile di percussioni su cui si staglia il profilo ieratico di un sassofono, ad aprire letteralmente mondi. Successivamente lo strumento a fiato inizia la prima delle sue molteplici e felicissime trasformazioni. Un loop, un canto roco e poetico, dolente (il popolo del blues abita dentro queste note, si intravede l’ombra di Roland Kirk annuire da lontano), poi al minuto 4 un’altra mutazione, suoni distorti e chitarristici mentre l’ansia ritmica resta sospesa e circospetta: questo il primo pezzo di Medea, un live registrato a Latina che vede Marco Colonna a sax sopranino, alto e baritono e cheap electronics (un cellulare, un korg monotron ed un monotron delay) e Cristian Lombardi alle percussioni, pubblicato dalla sempre ammirevole Setola Di Maiale. Il materiale è tutto improvvisato, per cui a ogni ascolto (ho attraversato quest’ora di musica molte volte senza mai annoiarmi nemmeno per un secondo), come nelle migliori session estemporanee, regala nuove prospettive e nuovi spigoli: ora, in questa domenica uggiosa e padanissima, dopo aver assistito a un deludente concerto degli Art Ensemble Of Chicago, mi colpisce il tono sicuro e il discorrere fluido del baritono nella seconda traccia, che avrà anche un finale su cadenze quasi funk, con il sassofono a sdoppiarsi e triplicarsi di nuovo, in un felice gioco di specchi rotti, per poi esplodere in lava noise, ma senza strafare. Misura, equilibrio, poesia, epica e controllo sono termini chiave per queste indagini sempre dense, come pedinamenti e agguati da seguire col cuore in gola, o mitologie rivisitate, tradimenti devoti, con la perenne curiosità di scoprire cosa succederà un passo più in là. Nella terza traccia il clima di apertura ha un che di ambient acustica, drammatica e urgente senza essere retorica, l’ottimo lavoro di Lombardi alle percussioni dialoga alla perfezione col plurilinguismo delle ance, che si fanno tempesta e preghiera nello stesso momento, rumore e voce, in un rincorrersi di echi che ha il fascino del canto delle sirene e trasmette nitidamente la forza e la convinzione di una ricerca fatta con amore, studio e devozione intorno alle possibilità timbriche degli strumenti. Tematico senza essere scontato, profondamente lirico e politico, il suono di Colonna è una scoperta, per chi scrive. La quinta traccia riprende il mood cinematografico della terza, l’inizio suonerebbe benissimo come versione alternativa del tema di “Taxi Driver”, poi si spalanca un precipizio free dove tutto rotola in basso e sale verso l’alto allo stesso tempo, ed è ancora una volta il miracolo del non ripetersi del ripetersi, corpi, viscere e respiri avvinghiati agli strumenti, per un’ispida selva che ricorda le spericolate salite cosmiche di Coltrane con Rashied Alì. La sesta improvvisazione ha un che di classico, di orchestrale: l’uso dei loop e degli effetti è qui davvero magistrale, dà nuova linfa e vita ad idee melodiche comunque molto interessanti, sorrette da una pulsazione sempre vitale. Si vira addirittura verso insospettabili lidi drum’n’bass con la settima traccia, dove il sax si trasforma in un synth analogico ruvido e spaziale al tempo stesso, il groove è potente e libero, il suono vaga senza meta trascinandoci con sé, ancora e sempre space is the place. Fantasmi di Steve Lacy, ombre di Stravinsky ed Albert Ayler, un gusto peculiare nel costruire cattedrali di loop, come nel finale della penultima traccia, dove i vari registri dei sassofoni si intrecciano in una babilonia di voci, col baritono a portare i massi più pesanti in cima alla torre, mentre stridori e canto si e ci avvolgono in una spirale di rara, enigmatica bellezza.
Chiude il disco la nona esplorazione, di nuovo il sassofono, come la divina Medea assume altre fattezze, siamo dalle parti dell’organo di Ratledge dei Soft Machine, un loop scuro e sospeso sopra il quale far fiorire ancora una volta mille invenzioni (sottolineiamo di nuovo la bravura di Lombardi, che si esprime con piglio libero e sicuro, senza essere mai didascalico, e con grande padronanza di timbri e dinamiche). Fate vostro questo manufatto (puntuali e vive le note di copertina di Ettore Garzia, che aggiungono poesia ad un lavoro che ne è già colmo), pubblicato in sole 50 copie dalla sempre coraggiosa e libera Setola di Maiale di Stefano Giust, un’etichetta dedita da anni all’improvvisazione, da conoscere, seguire e supportare. Marco Colonna ha per il mondo infinito del suono la devozione antica di un samurai e una preparazione e uno studio notevoli, nonché qualcosa da dire; siamo al cospetto di un musicista da seguire con estrema attenzione, capace di muoversi in contesti diversi, rispettoso del passato ma aperto al futuro, con un grande cuore e un cervello fino. Restate sintonizzati, ne sentiremo senz’altro delle belle.