MARAL, Ground Groove
È un lungo, nervoso flusso sonoro tanto elettronico quanto materico quello a cui Maral, la trentatreenne musicista iraniana residente a Los Angeles, ci sottopone con l’album Ground Groove, edito dalla Leaving Records.
Da anni molti artisti iraniani sono costretti a vivere all’estero, una lunga lista di nomi da noi poco noti ma estremamente interessanti. Facciamone un breve quanto non esauriente elenco: la decana Sussan Deyhim, Ata Ebtekar in arte Sote, Siavash Amini, Nazanin Noori, Sevda Alizadeh, il duo Saint Abdullah formato dai fratelli Mehrabani Yeganeh, Sabi Alizadeh, Rojin Sharafi, Marjan Vahdat, Lafawndah (moniker di Yasmin Dubois), Hooshyar Khayam, Bamdad Afshar, Darius Dolat-Shahi.
Stabilitasi in California nel 2013 come performer/dj, Maral s’immerge nella scena musicale losangelina, conosce e frequenta gli Animal Collective, la strada è segnata tanto che con Panda Bear registra nel 2021 anche il bel singolo “On Your Way”. Di lei avevamo apprezzato Mahur Club del 2019 e soprattutto il precedente Push del 2020, specie il video di “Sweet Vs. Heavy”, omaggio al maestro del Setar Hossein Alizadeh, ma non vanno tralasciate le presenze stranianti del leggendario Jeremy John Ratter/Penny Rimbaud, fondatore dei CRASS, e di Lee Scratch Perry.
Con Ground Cross Maral accentua l’utilizzo di materiali originali persiani come anche quello delle voci e della lingua “farsi”, servendosi anche di cassette C90 di musica iraniana registrate dai suoi genitori negli anni Novanta, anni a cui risalgono anche i suoi studi del Setar, liuto della tradizione persiana, e il suo innamoramento per il punk! Le undici tracce di quest’album, nato in parte su commissione del festival olandese Rewire di Den Haag, sono un magma sonico pulsante. Da ricordare “Feedback Jam” (limpida optical-art la versione video realizzata con l’artista di Portland Brenna Murphy), “Avaz-e-Ded” (“il suono che canta”), dancefloor fra le moschee di Mashad, e “That’s Okay, Ruin It”, che sembra una bonus track di My Life In The Bush Of Ghosts. Poi ancora “Behind The Rock & Into Tunnel” (come a dire “ribellarsi è giusto”), “Mari’s Groove” e “Walk And Talk”, ipnotiche e lancinanti, l’allucinata “Come Around”, il finale bacio proibito di “Glimmer’s Kiss” a chiudere undici momenti di un solo grido contro ogni regime infame. Dunque anche un disco di musica elettronica strumentale può trasformarsi, oggi, in una testimonianza di libertà e autodeterminazione, opera politica per il semplice fatto che a comporlo e a realizzarlo sia una giovane donna libera, un valore aggiunto di cui si farebbe volentieri a meno, ma che purtroppo ancora oggi nel 2023 non è affatto scontato. Un album bello e importante, indizio di un mondo sonoro, quello di derivazione persiana, in assoluta evidenza.
Un paio di suggerimenti per esplorare la musica elettronica persiana: le raccolte Visions Of Darkness In Iranian Contemporary Music, edita nel 2017 dalla preziosa etichetta italiana Unexplained Sounds Group di Raffaele Pezzella, e This Is Tehran? della 30m-Records del 2021.