MALHEUR, Dulcia Cum Amaris

Malheur

E io che mi aspettavo – giudicando dalla copertina con quella sottospecie di quasar – l’ennesimo trip drone/space ambient. Dulcia Cum Amaris, invece, non è niente di tutto ciò, e avrei dovuto capirlo subito, perché dietro c’è quella stessa Knockturne che in pochi mesi ha intrapreso le strade musicali più disparate, dall’ambient sperimentale di Dot Tape Dot & David Cordero alle improvvisazioni freak-contemporanee di Taaru (Marco Serrato). Questo lavoro dei Malheur segue la stessa linea discografica all’insegna dell’eterodossia (se si può considerare linea discografica eterodossa la ricerca non per generi ma per qualità), proponendo un sound né del tutto post-rock (di quello un po’ tortoisiano) né del tutto rock-commisto-a-jazz, di quello che potrebbe ricordare i Muddy World di Finery Of The Storm. Ciò che qui interessa dire è che il trio Juan Acosta (chitarra), Juan Miguel Martín (basso) e Manuel Montenegro (batteria), oltre a qualche invidiabile sussulto tecnico, ha saputo creare, a dispetto di questo, un disco la cui caratterica più importante, per i quasi quaranta minuti di ascolto, è quella di non essere mai troppo stucchevole. Da “Die Bestellung” in poi Dulcia Cum Amaris è tutto un crescendo strumentale culminante in “El Gran Abogado”, con un tripudio di chitarra e wah-wah della più squisita indole rock. Il tutto con fattezze stilistiche che ricordano il Marc Ribot di Requiem For What’s-His-Name o di altre collaborazioni zorniane (Asmodeus su tutte) su cui sono allo stesso tempo palpabili le impronte jazz di Sonny Sharrock.

Consigliato.