MALADÉ, Mezz’aller
La parola futuro è immancabile nella vita di ognuno di noi, in termini personali e come tema spendibile in contesti differenti, perché il non sapere cosa sarà ci spinge a cercare di capire come potrebbe essere. Ed il futuro è – tra le ultime novità in campo tecnologico e la paura di un domani distopico – sempre più vocabolo usato quotidianamente per cancellare il presente un attimo dopo che è diventato passato. Proprio dal passato parte l’album di Vincenzo Guerra, al suo esordio a nome Maladé, il cui significato è raccontato in Mezz’aller, pubblicato ad ottobre per la Funclab Records. Guerra usa innanzitutto il proprio strumento per raccontarsi, la batteria, come collante necessario per imbastire ogni struttura melodica e armonica. Ma lo fa anche attraverso le voci sparse nei brani, spesso maltrattate, distorte, usate come strumenti che evocano momenti, nomi, luoghi o quel piccolo Maladé (termine dialettale per indicare una piccola peste dall’animo buono). Con le chitarre ispirate dalla tradizione folkloristica della sua terra o dal mare che in “Ripagnola Alle 19” diventa canto di nostalgia grazie alle splendide voci di due artiste e donne del Sud, Orelle e Martina Primavera, moderne sirene tentatrici nel tentativo di ricondurre Maladé nella sua terra di origine.
La malinconia per quella “vita lenta” – tema caro a quel mondo di influencer pronto a speculare su una condizione non sempre così rosea – che può essere limitante quando la si vive e fonte di ispirazione nel momento del distacco. Da quel rapporto tormentato viene fuori Mezz’aller, come una mappa dei volti che hanno accompagnato l’infanzia e quelli che hanno spezzato il rapporto stretto di Vincenzo con la sua terra: nel disco anche le coordinate che portano in Piazza Duomo a Milano, ciò che rappresenta oggi il suo presente. Maladé è un album strumentale, ritmato, con tratti ossessivi e pause lunghe, spinto da un’impostazione Jazz più sperimentale e moderna, come molti dei lavori della International Anthem, etichetta di Chicago che si pone come terra di approdo per chi vuole portare il Jazz oltre (Makaya McCraven, Jaimie Branch, Tom Skinner, Irreversibile Entanglements). Ma è anche un disco di tradizioni sonore del Sud Italia, di quei suoni mediterranei, espressione che pur racchiudendo contesti diversi rende l’idea di quella inquietudine di base trasformata in musica dove il ritmo, le pause, i vuoti, le accelerazioni, le dissonanze, i lunghi bordoni, sono ciò che rappresenta chi guarda al passato proiettato verso il futuro.