Maison Gainsbourg, 5 bis Rue de Verneuil

“La stella gialla a sei punte cucita sulla giacchetta durante l’occupazione nazista? La lucidavo, mi faceva sentire forte come uno sceriffo!”

“Cinque pacchetti di Gitanes al giorno mi stanno consumando i polmoni ma cos’altro potrebbe darmi un orgasmo ogni cinque secondi”

“Il sesso? Onanismo per interposta persona”

Je t’aime, moi non plus vi sembra un inno alla liberazione sessuale ma in realtà canta la disperazione dell’amore fisico”

“Mi sarebbe piaciuto sperimentare il movimento Dada, penso che avrei avuto successo nella pittura e nella poesia Dada: era assoluta derisione e cinismo”

“Per la vita non esiste un antidoto”.

“Gli ospedali psichiatrici sono dipinti di bianco. Per me il nero è rigore assoluto, il colore dello smoking”

(Serge Gainsbourg)

“Mio padre era un uomo solitario che detestava la solitudine” (Charlotte Gainsbourg).

“Je suis venu te dire que je m’en vais”: puoi farla suonare dal piccolo carillon che tra graffiti, foto, e scritte spunta dul muro accanto alla porta d’ingresso di quella ex stalla trasformata in casa, là dove Serge Gainsbourg visse dal 1969 al 2 marzo 1991, quando morì solo nella notte (avrebbe compiuto sessantatré anni un mese dopo). Il referto medico recitava: arresto cardiaco dovuto a cancrocirrosi, cecità diabetica, deficienza cardiaca. “La mort a domicile: Gainsbourg è morto per aver bevuto troppe sigarette”, scrisse Liberation in un numero speciale che il 4 marzo vendette 800.000 copie.

5 bis Rue de Verneuil: un appartamento su due piani di 130 metri quadrati, aperto da circa un anno alle visite (due persone alla volta per 45 minuti di tempo) e gestito da una fondazione – con a capo anche la figlia Charlotte – che però versa in cattive acque finanziarie, dunque l’idea è “cogliere il momento”, perché la visita alla casa e al museo, lì di fronte, è emozionante e imperdibile per capire uno dei grandi innovatori della musica contemporanea tout-court, sempre pronto a rischiare in prima persona per scelte di vita e musicali imprevedibili, da “La Javainese”, scritta per Juliette Greco (lei abitava al n. 33 della medesima strada), al reggae, al rock più duro, al funk nichilista degli ultimi dischi Love On The Beat e You’re Under Arrest su tutti!

Finalmente, in una fredda mattina parigina di dicembre, varchiamo la soglia di questa dimora da sempre meta di pellegrinaggio. Ad accoglierci, in fondo allo stretto corridoio d’ingresso, c’è la scultura di Claude Lallane, “L’Homme À Tête De Chou”, acquistata al volo cash in una galleria del centro e superata la quale emerge, nell’apparente casino generale, l’ampio soggiorno/studio di registrazione dove Gainsbourg riceveva amici, colleghi, giornalisti. Questo era il suo regno assoluto con tutti gli attrezzi del mestiere, dal sacro Steinway&Sons, l’organo elettrico Lowrey MXI presente in tutti i suoi dischi dal 1980 in poi, una tastiera Rhodes Seventy Three, vari tipi di Revox, di lato una panca veneziana del Diciassettesimo Secolo, al muro incorniciata la copertina originale (quella censurata in Italia) di “Electric Ladyland” di Hendrix. Addentrandosi, si rivelano le passioni/fisse più dark dell’uomo con la testa di cavolo: un imponente rostro di pesce sega, la collezione di proiettili e distintivi della Polizia con annesse manette (in tutto oltre 150 pezzi) tutte ordinate, teschi un po’ovunque, un manichino da anatomista a dimensione 1/1 in stile Fragonard fine Ottocento, ai piedi della poltrona la ventiquattrore dove custodiva i suoi testi, subito dietro la valigia destinata al cash sempre disponibile in quantità, poi – incorniciato – il manoscritto originale de “La Marsigliese” di Rouget de Lisle (comprato all’asta alla faccia dei fascisti francesi che durante un concerto a Strasburgo avevano impedito l’esecuzione della  mitica versione reggae de “La Marsigliese”), un disegno, “La Caccia alle Farfalle”, di Salvador Dalì, del quale visitò la residenza parigina con le pareti foderate di astrakan, accanto un altro prezioso disegno, questa volta di Paul Klee, e poi pistole, pipe, calumet, foto della progenie ebreo-russa, una magnifica grande foto-ritratto della Bardot accanto ai numerosi dischi d’oro conquistati durante la carriera, abat-jours, lampade antiche e moderne fra cui spicca familiare una “Parentesi” di Castiglioni/Manzù, l’archivio che racchiude tutte gli articoli a lui dedicati da Le Monde e Liberation. Diceva: “Questa casa è il mio posto ma non so cosa sia, un salotto, uno studio di registrazione, un bordello, un museo”. Le pareti sono tappezzate di stoffa nera, quando gliene chiedevano ragione rispondeva: “avete mai visto le stanze dei manicomi: sono tutte bianche, ecco perché queste sono nere!”.

Prima femme-fatale a superare clandestinamente la porta nera d’ingresso fu nel 1968 Brigitte Bardot, sposata a Gunter Sachs, miliardario playboy. Dopo soli tre mesi, sarebbe tornata a più miti consigli (“Bardot? Has always been a perfect idiot!”, riassunse Marianne Faithfull che la conosceva bene). L’amore e la convivenza in Rue de Verneuil arrivano con Jane Birkin e la piccola Kate, il bull terrier Nanà e Charlotte, nata nel 1971, che ricorda “qui ci siamo stati insieme per 12 anni molto, molto felici, felicissimi”, con aspetti creativi straordinari come la composizione di due album capolavoro (La Histoire De Melody Nelson nel 1971 e L’Homme À Tête De Chou nel 1976) e di consapevole dissipazione: “mio padre non  aveva la patente”, ricorda Charlotte “ma un giorno comprò una Rolls-Royce, facendosela posteggiare sotto casa, per il solo gusto di fumarci dentro almeno uno dei tre, cinque se doveva lavorare a un disco, pacchetti di Gitanes giornalieri. La notte i miei genitori la passavano fuori nei club (Castel 15 rue de Princesse, lì dove Jane gli sbatte una torta in faccia, l’Elisée Montmartre 72Blvd de Rouchechouart, il locale russo Raspoutine, il Madame Arthur club en-travestì dove per anni suo padre aveva suonato, questi i posti preferiti, ndr) quindi a scuola ci portava la tata, all’uscita mia madre era lì a prenderci mentre papà cominciava a lavorare nel soggiorno-studio”.

Dopo dodici anni prima che il sogno si trasformi in incubo-vero (una pistola carica è in giro per casa) Jane prende le due figlie (Kate l’ha avuta nel 1967 dal compositore inglese del tema di 007, John Barry) e lo molla. Anno dopo anno, disco dopo disco, storia dopo storia, senza la protezione (da sé stesso) della Birkin, Gainsbourg si trasforma definitivamente in Gainsbarre, autodistruttivo alter-ego. “Usciva raramente”, racconta Charlotte “e quando nei fine settimana stavo qui con lui non lasciavamo quasi mai casa, giusto per comprare dischi o i film in vhs agli Champs-Élysées ma niente cinema, musei o altro perché tutto il suo mondo stava qui, la collezione di cataloghi dei pittori che più amava, Turner, Bosch, Rembrandt, Caravaggio, Van Eyck, le eterne passioni del pittore mancato che egli fu. I film li guardavamo sul un grande schermo che veniva giù dal soffitto della camera da letto. Non parlavamo tanto, più che altro mentre preparava la cena nella piccola cucina da dove si accedeva anche alla stanza di quando eravamo piccole, ma ci intendevamo bene, ci facevamo delle belle partite a flipper o con i primissimi video-game. Poi naturalmente col pianoforte è stato il mio primo insegnante, ma era cauto perché il padre (pianista professionista) era stato tremendo con lui e non voleva farmi passare la stessa tortura. La televisione in cucina era sempre accesa-muta, guardavamo solo i telegiornali o se si parlava di lui!”

Continuiamo la visita: nel disimpegno, appena dopo la cucina, ci sono due marionette di Gainsbarre fatte da un artigiano belga, accomodate sulla seduta fiorentina accreditata alla famiglia dei Medici. Si salgono pochi gradini accedendo, in una atmosfera fantasmatica ferma nel tempo, a un cabinets de curiosités barocche fra le pareti sempre rivestite di feltro nero, camminando su un pavimento in marmo cabochon bianco e antracite che lascia il passo ad una moquette liberty. Si costeggiano foto che ritraggono Edith Piaf, Marilyn Monroe, Catherine Deneuve, Jane Birkin, B.B. e l’ultima compagna Bambou (Caroline Paulus), giungendo a un armadio con, in basso, le famose scarpe bianche Repetto, sopra i jeans logori e qualche camicia del medesimo tessuto, guardaroba minimale completato dall’indimenticabile gessato striminzito da pappone/gangster à la Gainsbarre. Accediamo dunque alla zona più intima della casa, nella camera che fu di Jane: a terra giacciono un piccolo violino e una fisarmonica giocattolo, bene in vista sul letto le bambole antiche di stoffa (una è sulla cover di Histoire De Melody Nelson). Qui, dopo la separazione, dormivano le figlie. Ancora pochi passi ed ecco il minuscolo studio privato di Serge con ancora volumi d’arte e pittura, una tarantola imbalsamata del XIX secolo, mille altre piccole reliquie, portacenere ovunque, poi a destra la toilette con un enorme sfavillante lampadario di cristallo che sovrasta la consolle zeppa di innumerevoli boccette di profumi svaporati, un cappello da marinaio, un piccolo bidet dove – Charlotte dixit – Serge si lavava da capo-a-piedi con gran uso di borotalco italiano, in fondo la vasca da bagno in marmo dove invece le due bimbe e Jane “passavano le ore”. La camera da letto è accanto, con una parete a specchio adombrato e mentre sull’altra appeso un antico tappeto persiano fa bella mostra di sé, di fronte il ritratto della sua ultima compagna Bambou formato da 160 polaroid (opera di Stefan de Jaeger), un magnifico tavolo d’ebano con intarsi geometrici in avorio, ai piedi del letto una scultura lignea italiana raffigurante una fragile sirena.

Charlotte ricorda che la notte del 2 marzo lei e la sorella Kate Barry (1967-2013) erano qui accanto al cadavere del padre: “tu jambe nue sortrait du drap sans pudeur et le sang froid – la tua gamba nuda sporgeva dal lenzuolo senza vergogna e sangue freddo” sono i dolenti versi che canta in “Lying With You” ,con un video ambientato proprio lì, in Rue de Vernuil n.5 bis.

“Quando ero adolescente – dunque un po’imbecille – fui molto colpito da una frase scritta da Chopin, solo le bestie a sangue freddo hanno il veleno. Io voglio essere una di quelle bestie, sono piuttosto “raggelante”, gelido, né passionale né generoso ma spugna che prende che non lascia andare”. (Serge Gainsbourg, 1967)

Note: le riflessioni, i ricordi citati sono raccontati dalla voce di Charlotte Gainsbourg nell’audio-guida consegnata all’ingresso.

Nei sotterranei del museo che si trova dall’altro lato della strada sono visitabili le mostre temporanee, mentre al piano terra una collezione permanente di opere, dischi, filmati, spartiti, oggetti, libri è sistemata per ordine cronologico in otto capitoli. C’è un accogliente bar che rimane aperto fino a mezzanotte. Il negozio del museo vende libri, gadget e dischi, quest’ultimi a caro prezzo mentre nei vari Fnac te li tirano letteralmente dietro! Il sito ha aperto a settembre 2023, dal settembre 2024 è in amministrazione controllata per mancati pagamenti e disordine finanziario. Al momento della nostra visita in dicembre ci hanno assicurato sul futuro della casa-museo.