MACELLERIA MOBILE DI MEZZANOTTE, Adriano Vincenti
Il gruppo romano non ha niente a che fare con mode, chiacchiericci più o meno interessanti o etichette à la page. O meglio, è talmente peculiare, compresa la label che li promuove e ne stampa i dischi, che è facile – paradosso sorprendente, in effetti – distinguerlo dalle numerose band che agitano il piccolo mercato underground italiano. Adriano Vincenti si dimostra affabile e puntuto nelle sue dichiarazioni, e osservando anche le foto dà la sensazione di somigliare a un elegantissimo Caronte che ha messo la voce davanti ad un microfono per cantarci alla sua maniera l’apocalisse. Lasciando dietro di sé fiotti di sangue, immagini di spaesamento e odore di polvere da sparo.
Seguiteli nel buio, non senza aver prima posato le orecchie sui loro lavori nero pece.
Ciao Adriano. Presenta il gruppo ai nostri lettori, credo sia il caso di circoscrivere meglio da dove venite, chi sono i componenti, etc.
Adriano Vincenti: Il progetto MMM nasce nel 2002 come creatura essenzialmente industrial-ambient. All’inizio mi occupavo io di tutto, poi con i primi live-set ho cominciato ad avere vari collaboratori intorno, come Vinz e Flavio DBPIT. Successivamente ci si è allargati, con l’ingresso in pianta stabile di Lorenzo. Ora siamo una vera e propria band, composta dal sax di Pierluigi Ferro e dalla batteria di Paolo Pineschi. Ovviamente non siamo più una industrial band, ma suoniamo una sorta di doom-jazz oscuro e atmosferico ispirato al noir americano, ma non solo.
“Il lago nasconde la nostra colpa”, citazione finale dal videoclip di Paola Favari. Una frase che mi piace molto e che penso vi rappresenti molto…
L’ultimo album è tutto incentrato su di un’atmosfera meditativa, rilassamento e tensione allo stesso tempo. È una riflessione sul tempo, sugli errori, sui successi, tutto in riva ad un oscuro lago nero, simbolo di intimità e introspezione.
Continuiamo a parlare di Black Lake Confidence. È già sold out la prima tiratura in vinile, mi diceva tempo fa Emanuele di Trips Und Träume, ed ha registrato buoni riscontri di critica. Siete soddisfatti della situazione? È venuto fuori come volevate?
È vero, il disco è andato via in un attimo, in meno di un mese le copie si sono volatilizzate, ma per fortuna a settembre c’è una seconda stampa limitata in vinile bianco. Inoltre è sempre possibile acquistarlo in digitale. Il sold out è stato un grande onore, che in parte ci ha presi in contropiede: non ci aspettavamo tutto questo hype per quello che è il nostro disco più “difficile”, e forse più ambizioso. Se ascolti la nostra discografia, sicuramente ci sono episodi più noise, prendi ad esempio Black Rubber Exotica del 2004, un album di cui andiamo molto orgogliosi, e che ancora adesso ci piace riproporre dal vivo in alcuni dei suoi momenti più significativi, ma Black Lake Confidence è il disco anti-pop per eccellenza, con pochissime aperture alla melodia. È un monolite nero, un macigno nello stomaco, un’efferata scena di morte ripetuta a rallentatore per tre quarti d’ora. Ha avuto una gestazione instabile e sofferta, brani come “The Big Nowhere” e “1952” arrivano da lontanissimo, sono cambiati negli anni, e la forma che hanno preso adesso è frutto di un lungo lavoro di fino. Pezzi come “Black Lake Confidence” e “Death Of A Caddie” sono invece nati di getto, quasi a fine lavorazioni, e rappresentano la somma delle esperienze musicali di tutti noi in questi anni: c’è l’oltre-industrial, c’è l’ambient oscuro, un sostrato di noise “adulto” e canalizzato, c’è il drone esistenziale, e l’approccio alla forma canzone in un songwriting che somiglia più alla forma della ballata blues che a quello delle canzone di oggi. Tutto divorato e rielaborato dal nostro personalissimo punto di vista. Dopo Hard Boiled Night Club, il disco del ritorno dopo quattro anni di stand-by, avremmo tranquillamente potuto continuare a compiacere il nostro giro di fan amanti degli stereotipi cui li avevamo abituati. Siamo gente di trent’anni, è ora di uscire senza filtri, e non c’è necessità di compiacere nessuno che non sia noi stessi.
Io credo che la vostra musica sia piuttosto distante da quello che va per la maggiore (sempre in piccolo, certo…) oggi in Italia. Da un lato sopravvive l’indie-rock delle numerose band emergenti, a corredo dei soliti nomi già affermati, e dall’altro si assiste al ritorno di psichedelia, lontani immaginari cinematografici, e voglia di ancestrale di band tipo Cannibal Movie, Heroin In Tahiti… Senti anche tu questa “distanza” o pensi che ci sia qualcosa in comune con i gruppi che ho citato?
Non ci interessa molto quello che succede là fuori, a dire la verità. Non siamo mai stati parte di nessuna scena. In Italia rispettiamo alcuni musicisti che vanno al di là di certe situazioni e del suono della Macelleria, ma non abbiamo chiesto a nessuno di entrare in un circolo. La scena di cui parli va bene per altre persone, non per MMM.
Avete aperto il concerto romano dei Master Musicians Of Bukkake a giugno. Com’è andata, e dimmi se la loro proposta di esoterismi legati a istanze psych e metal vi piace o meno.
È stata una bellissima esperienza, tornare all’Init dopo quasi dieci anni dall’ultima volta, quando ci esibimmo al primo Destination Morgue, il festival industrial che abbiamo promosso e supportato fin dagli inizi. All’epoca fu una performance a dir poco “selvaggia”: erano altri tempi, gli hipster di oggi si “bagnerebbero” al solo pensiero. Se ci piace il genere? Sì, certo, specialmente il suono da dove proviene: High Tide, Black Widow, Black Sabbath. Gli originali sono sempre meglio. Di (black) metal amiamo più che altro il lato “depressive” e oscuro anni Novanta. Tutta gente che s’è suicidata o è morta ammazzata…
Cosa ascolti in questo periodo? segnalaci un’uscita o un’etichetta in particolare…
Personalmente non ascolto niente di questo decennio, e forse neanche di quello precedente. I miei gusti si fermano agli anni Cinquanta. Gli altri componenti del gruppo hanno approcci alla musica forse anche “peggiori” dei miei. Pierluigi, al sax, ha degli ascolti schizofrenici, dalla musica classica contemporanea all’hardcore metal. A Lorenzo invece piacciono techno, garage, dubstep e trance, ma ha un pallino per i Coil e la scuola “oscura” elettronica. Paolo, il batterista, che ha una formazione industrial “classica” più di tutti noi (ed era già noto per il suo progetto ambient-industrial Condanna), oggi ascolta praticamente solo jazz e suona doom metal con un altro gruppo.
Parlami della passione per la letteratura ed il cinema, devono essere ben presenti visto il nome della band e la cover di un pezzo di Angelo Badalamenti e David Lynch (proprio quella del videoclip prima citato, “Just You And I”).
Il clima dei dischi della MMM è parecchio cinematico, ne siamo consapevoli. Molti testi e titoli sono ispirati ai nostri padri putativi, James Ellroy, Giorgio Scerbanenco, JC Izzo, Raymond Chandler. David Lynch è una grande ispirazione, soprattutto per come ha saputo legare un ambiente musicale rarefatto, firmato dalla sua inimitabile spalla Angelo Badalamenti, alle immagini evocative, al limite tra il sogno e la realtà. È un’ispirazione, ma non l’unica, certo. Se ami il cinema e la letteratura noir incrocerai molte citazioni nei nostri dischi. È un gioco per chi ha occhi per leggere tra le righe, e che ci diverte. Siamo gente semplice, noi altri. Il mondo contemporaneo non ci interessa. Che vada giù! Addio.
Toglimi un’altra curiosità: per quello che ne so io non avete mai composto per uno score ufficiale, vero? Con quali registi vi piacerebbe collaborare?
No, mai successo, tu ci sopravvaluti! Non siamo nessuno, la nostra è solo musica rock’n’roll. Un po’ maledetta e morbosa, ma pur sempre solo rock’n’roll. Se Alfred Hitchcock ci scritturasse ora ne saremmo lieti. Anche Fernando Di Leo, per esempio. La colonna sonora del suo “I Ragazzi Del Massacro” era praticamente un disco di Merzbow quando Masami Akita era un bambinetto che mangiava polpette di riso e pesce crudo.
Avete in programma prossime date in giro per l’Italia?
Probabilmente in autunno inoltrato, per ora stiamo meditando sulle future evoluzioni. Non prediligo in questo momento il nostro lato esteriore espresso nei live set. Non ne sento la necessità. Dobbiamo invece sperimentare e confrontarci con noi stessi, sempre, è il motivo per cui ancora suoniamo.
Saluta i lettori di New Noise, se ti va.
Grazie a tutti voi, e seguiteci sulla riva del lago Nero.