IL LUNGO ADDIO, Fuori Stagione
Vita bagascia
Un uomo e le sue ossessioni. Così potrei sintetizzare il secondo parto de Il Lungo Addio, moniker “chandleriano” per antonomasia dietro il quale si cela Fabrizio Testa (anche l’etichetta Musicacruda è cosa sua). Fuori Stagione è un cd dalla durata breve dove si affrontano i temi a lui più cari: la riviera romagnola e il suo mondo decadente costellato di turisti, piadine, odore di salsedine e ruggine. Rispetto all’esordio spiccano certamente gli arrangiamenti, che si sforzano di risultare più complessi e variegati, non fosse altro che per la presenza di strumenti diversi dalla chitarra: la tromba solitaria di Mario Cosottini in “Le Sei Del Mattino”, l’arrangiamento ye-ye della frenetica e irrisolta title-track, le note di xilofono (o una tastiera?) di “Una Tedesca”, mentre la voce è al solito profonda e “disperata”. Dicevo delle ossessioni: oltre a quei paesaggi immortalati in milioni di cartoline, e numerose pellicole e canzoni, va sottolineata una forma quasi morbosa di attaccamento al sesso, sovente incluso in quadretti più che malinconici (sempre in “Una Tedesca”, dove alla fine viene fatto ascoltare un breve gemito femminile). Testa non lo nasconde per nulla, anzi calca ironicamente la mano. D’altronde è tipo schietto lui (i lombardi mi sono sempre sembrati così, spero di non affermare solo una banalità), i suoi testi fuori dai denti lo dimostrano. Lui è insomma un cantautore d’altri tempi, ingabbiato in questa contemporaneità che sembra accettare di buon grado solo perché così va il mondo (“In Tre Su Una Uno”, ad esempio, dove pare di ascoltare un arrangiamento del Battiato più pop). Se in Pinarella Blues spiccava la generale atmosfera afosa e tetra, qui prova a portare avanti il discorso con maggiore coraggio espositivo, in sostanza fatto di meno “maledettismo” e più “canzone”.
Ho sempre pensato che in quella riviera, dietro ai paraventi del celebre “divertimentificio”, si celassero tristezza e il forte odore del sesso.