LUIS VASQUEZ, A Body Of Errors
Tolti alcuni teaser, di una claustrofobia semplice e in verità bellissima, il primo album a nome Luis Vasquez è arrivato a sorpresa, lo scorso 15 gennaio sempre via Sacred Bones. Soltanto un vezzo per il musicista californiano in libera uscita dal progetto principale The Soft Moon, che gestisce per di più autonomamente dal 2010? Diremmo di no. Di certo non imprescindibile ma apprezzabile, A Body Of Errors nasce dal corpus principale di Vasquez, ovverosia da una produzione artistica che affonda le mani nelle musiche più cupe in circolazione, ma è una creatura a sé stante, una terminazione in chiave più intimista di un’autoanalisi portata avanti da tempo, lottando contro i propri demoni, scavando dentro se stesso, percorrendo gli intricati labirinti della mente in una sorta di spirale verso il basso. Una spirale verso il basso via via sempre più accostabile, anche a livello sonoro, a quella dei Nine Inch Nails.
Interamente strumentale (giusto in un episodio, “Used To Be”, compaiono dei vocalizzi senz’altro provenienti da un mondo perduto), A Body Of Errors si ricollega dunque alle origini allontanandosi dal post-punk ben esplorato con gli ultimi lavori targati The Soft Moon, dove le linee canore acquisivano un ruolo importante: Deeper del 2015 e Criminal del 2018, quest’ultimo legato a temi scomodi come la vergogna e il senso di colpa. Vasquez è diventato un cult hero del dolore, un control freak abituato a comporre e suonare tutto in prima persona (eccezion fatta per il supporto del fido Maurizio Baggio), proprio come lo è stato a lungo Trent Reznor: l’unico modo per imparare qualcosa di me stesso è fare da solo, perché quel che proviene dal mio corpo, dalle mie mani, mi trasmette una reale conoscenza di chi sono, dichiarò anni fa Vasquez. Ecco, A Body Of Errors è per l’appunto un concept di quattrodici brani dedicato alle innumerevoli sfumature percettive del vivere all’interno del corpo umano: si entra “all’Interno”, anche molto cinematograficamente, tanto che si può parlare di una colonna sonora immaginaria, e poi le migliori visioni arrivano con il groove malato di “This Guilt” (ancora!) e la freddezza metronomica di “Surgery”. Ma non dimentichiamo il terrore evocato in “Poison Mouth”, “Under My Teeth”, “In A Cage”.
Realizzato tra Berlino (città che ha fornito notevoli spunti in ottica elettronica), Havana, Fougeres, Bassano Del Grappa, Los Angeles, Joshua Tree e Tijuana, A Body Of Errors bilancia trame ambient e staffilate industrial, retaggio inevitabilmente darkwave ed esplosioni noise, le macchine e la (non più) umanità (“No Longer Human”). Vasquez compie un viaggio – l’armamentario di synth è la sua vettura – e le tracce si disfano sotto al sole, in un’allucinata, tribale “Decomposition” (in due parti) che potrebbe essere quasi un “On The Road” in cronenberghiana salsa body horror. Alla fine il deserto, geografico ed esistenziale, prende fuoco: “World On Fire” fa terra bruciata con una post-apocalissi semi-sinfonica. Rimane un vuoto, un ronzante silenzio, da riempire. Sentiremo come.