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LUIGI TURRA, Alea

alea

Luigi Turra, nato nel 1975, è compositore e graphic designer. Arriva, nello stesso anno di Fabio Perletta, su un’etichetta prestigiosa e ben distinguibile esteticamente: Line. Con Alea anzitutto prende come riferimento “L’amante della Cina del Nord” di Marguerite Duras, di conseguenza non è difficile immaginare quel tessuto rosso in copertina come un richiamo alla stanza dove il cinese figlio di papà s’incontrava con l’autrice, all’epoca dei fatti adolescente e mezza in disgrazia (esiste un libro-audio francese di questo romanzo e Turra qui ne utilizza spesso campioni). Lo stile della Duras era ben lontano dalla prosa iperdescrittiva della precedente letteratura francese e allo stesso modo Luigi pare ridurre al minimo gli elementi in gioco. Come Duras, inoltre, non deve amare le regole grammaticali: il titolo stesso del suo disco lo suggerisce, al pari di un mix a sua firma che ha diffuso in Rete tramite Farmacia 901 di Perletta, nel quale trovano dimora il Sylvian sperimentale di questi ultimi anni, una serie di “improvvisatori” giapponesi con in testa Toshimaru Nakamura, col quale certo però non sembra condividere strumentazione e abrasività, e – last but not least – l’accoppiata Henry/Schaeffer, a rivelare l’influenza della musique concrète sul suo lavoro. Spesso chi si muove lungo territori noise satura prima la nostra capacità uditiva, per poi interrompersi e gettarci in un improvviso silenzio, il che, essendo l’udito collegato all’equilibrio, ci dà sempre un senso di vertigine. Turra ribalta quasi questo modus operandi e ci immerge nel silenzio, che taglia di colpo con brevi accenni dissonanti di piano, parole sottovoce, fruscii e basse frequenze assortite. Una specie di dialettica tensione-rilascio, che contiene la richiesta di concentrarci e soppesare ogni singolo frammento che porge alle nostre orecchie. Complice Duras, Alea finisce per porre l’ascoltatore in un contesto intimo e adatto alla riflessione, con qualche sussulto che sembra quasi messo lì per deviare il corso dei nostri pensieri verso una conclusione inattesa.

Al netto dei soliti discorsi su quanto sia necessario mettersi di buzzo buono per affrontare un disco a suo modo estremo, Alea pare ben architettato.