LUDWIG VAN BOLOGNA, L’Arte Della Fuga
Lapo Boschi, boss di questa piccola etichetta divisa tra l’Italia e la Francia, si ripresenta cambiando intestazione e prova a mettere a punto una quadratura del cerchio che non è per niente semplice praticare (scrivere un pezzo pop rimane una delle cose più difficili al mondo). La canzone in apertura dice molte cose, del progetto, della musica che viene proposta, delle personali passioni e del resto della band (oltre al fido Luca Mariani, vanno menzionati i collaboratori Luciano Chessa e Griselda Masalagiken in un paio di pezzi) e dal canto suo riesce nell’intento, almeno per quello che ho potuto capire (ed apprezzare). Chi conosce bene quello che seguo di solito, mi può comprendere, Boschi compreso. La scrittura quindi sembra essere migliorata, i testi si sono fatti più schietti e la melodia dell’interessante e intimista “Idea Balorda” si fa ricordare. Il passo avanti c’è stato, è indubbio, l’unico elemento che latita un po’ è chiaramente un’evidente originalità, ma non credo che i musicisti perseguano particolari evoluzioni stilistiche per sembrare o dimostrare chissà cosa, penso invece che ai ragazzi piaccia solo (si fa per dire) suonare, con gusto, piglio il più professionale possibile, e senza tante pretese. Rock and roll semplice, dunque, venato anche di funk (il basso quadrato e quasi post-punk di “Signori E Signore”), di sottile nervosismo (“San Francisco Solo Andata”) e dalla chiara ed onnipresente matrice Novanta. Disco piccolo e intimista, che piacerà a nostalgici (e romantici) di un tipo di rock diremmo “gentile”.