LUDMILLA SPLEEN, Gennariello [+ full album stream]

LUDMILLA SPLEEN, Gennariello

“Decise che non aveva più memoria”, canta Filippo Brandi all’inizio di questo disco, il quarto, per Ludmilla Spleen, ma invece memoria ne aveva, ne hanno, ne abbiamo tutti, di quando abbiamo capito, chi con un disco, chi con un altro, che un certo modo di declinare il verbo fare rumore poteva essere anche intimismo, nitore, poesia. Personalmente io ricordo per questioni anagrafiche (sono nato nel 1975) i primi due dischi dei Marlene Kuntz e di Umberto Palazzo e Il Santo Niente, dove testi in italiano non banali fiorivano su chitarre affilate e strutture piene di fuga e di luce. La stessa luce livida e intensa che si dibatte nelle maglie di pezzi come “My Idea Of Pulp”. “C’è solo un modo per fare le cose ed è drastico”, e allora pochi mezzi, sei corde elettriche, voce, batteria (Niki Fabiano Ruggeri, tosto ed essenziale) e via a capofitto in una selva al bivio tra noise e postpunk, con un’attitudine pugnace e lirica che sa far deviare i pezzi dal consueto canovaccio riff fangoso-groove spaccaossa-esplosione-rilascio. Visto che, come scriveva il poeta cecoslovacco, se sei senza contraddizioni sei senza possibilità, è proprio l’esplosione del pezzo appena citato a spostare gli equilibri e a restare attaccata alla pelle ed alle ossa, come una malattia luminosa, come una pioggia acida. “Non t’intrattiene il rock?”. No, non mi, non ci intrattiene, perché quello che cerchiamo non è intrattenimento, ma migrazione, vertigine, vortice, e qui arriva, come un cazzotto in pancia con lo sviluppo classico e da mandare istantaneamente a memoria, alzando il volume al massimo: “Solo posso darti apatia”. Se in più frangenti brilla la ruggine di A Short Apnea e Six Minute War Madness e  la voce (come i testi, uno dei punti di forza di questo lavoro) ricorda da vicino quella di Federico Ciappini, la personalità del duo comunque emerge ed anzi scappa da ogni parte. La  foga anfetaminica di “Living In Harmony” straborda di domande urlate e rabbiosi inviti: “Avete scaricato l’umanità?”, “Fatti furbo, fatti un Reich, dammi retta, metti un like”. Se l’incedere di “Sinistra Memoria” (“Automatica la tua umanità”) fa tornare a galla proprio il ritmo di “Sonica” dei Marlene Kuntz, comunque satori e furore sono garantiti dall’urgenza avvertibile in ogni secondo di queste dieci tracce, calibratissime e selvatiche, stratificate e immediate, violente e delicate.” Un’apnea/Ho equivocato/un improbabile respiro/branchie/e tutto il resto” (il mantra grigio antrace di “Buon Anno Ragazzi”): come fauna del fondo Ludmilla Spleen non si rassegnano all’Hipsteria (una delle strumentali, assieme a “Nove Secondi”) e cercano,con rabbia e determinazione, di mettere in pratica i consigli che Pier Paolo Pasolini dava ad un ipotetico Gennariello, il destinatario ideale delle sue Lettere Luterane: “Ti insegnano a non splendere, e tu splendi invece”. In mezzo a tanta paccottiglia indie e a tante pappette omogeneizzate che ci vengono propinate come novità, questo disco è una boccata di ossigeno: mescolato a tutti gli altri elementi nocivi, che, è banale sottolinearlo, viviamo in tempi che qualcuno ha definito di scialba apocalisse, e l’aria è sempre meno, e siamo accerchiati, e, come diceva Ferretti prima di friggersi il cervello, “Esiste una sconfitta pari al venire corroso che non ho scelto io ma è dell’epoca in cui vivo”. Ma in questo album indomito, cocciutamente marginale e coraggioso, prodotto dall’etichetta della band, Artista anch’io, assieme a Neon Paralleli di Paolo Cantù/Makhno, e Villa Inferno Records, brilla quella stessa scintilla che non ci fa smettere di credere nel potere dei suoni e di un certo modo di porsi nei confronti dell’esistente. Alterandolo, o illudendosi almeno di farlo, e non subendolo. Chiosando ancora con Pasolini: “Siamo belli, dunque deturpiamoci”.