LUDMILLA SPLEEN, Acephale

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Filippo Brandi (chitarra, voce) e Niki Ruggeri (batteria) sono i Ludmilla Spleen, origini marchigiane, forse è per quello che citano Leopardi, base a Bologna. Si fanno produrre l’album d’esordio da Fabio Magistrali (A Short Apnea, Arrington De Dionyso Quartet, Weimar Gesang) e lo pubblicano anche grazie a Neon Paralleli (quindi Paolo Cantù, quindi Makhno, A Short Apnea, Afterhours, Six Minute War Madness, Tasaday, Uncode Duello…). Non si tratta come logico di una scelta casuale e questi sono nomi che aiutano a inquadrare il discorso del duo senza ancora aver sentito uno dei loro pezzi scorticanti. I Ludmilla Spleen sono una roba brutta, buttata per terra sporca e scheggiata, un matto ingestibile che mette tutti a disagio e che nessuno vuole guardare (anche se certe volte non si riesce a voltarsi dall’altra parte). Esprimono moltissima frustrazione e un grande senso d’impotenza rispetto alla vita e a tutto, senza sembrare artefatti. Chiaramente, come capita quando uno sceglie di parlare italiano, ci sono passaggi in cui sono troppo ricercati e non dicono le cose come realmente stanno, ma le poetizzano appena un po’, però è bello lo scavo che hanno fatto per trovare quasi sempre le parole giuste e solo quelle, senza niente intorno, quasi ungarettiani.

Acephale è un disco molto ben riuscito, da molti punti di vista. È forse parte di un fiume che osserviamo scorrere ormai da molto tempo, ma – se non c’è l’effetto novità – di sicuro c’è il calcio nei coglioni del rumore e dei significati.

non m’affeziono
a niente io
a niente