LUCA SIGURTÀ, Goddess
Goddess di Sigurtà è un omaggio alle dive (appunto) del muto, realizzato usando un Revox, registratore che – banalmente – rende soprannaturali le musiche che gli passano attraverso. Non è strano che questo “strumento” sia riemerso dal passato, perché oggi non tutti considerano il digitale l’unica strada possibile, anzi alcuni sono molto perplessi. Ad esempio, lo adottano Valerio Tricoli ed Anthony Pateras, insieme o da soli. Quando lo abbiamo intervistato, inoltre, Pateras ci ha anche detto chi considera il suo maestro di Revox: il francese Jérôme Noetinger (Cellule d’Intervention Metamkine). Insomma, c’è tutto un mondo da scoprire anche in questo caso.
In questo disco Sigurtà si muove lungo il confine tra sonno e veglia, tra conscio e inconscio: ecco, non dico nulla di nuovo su ambient e psichedelia, e se conoscete i Luminance Ratio, di cui lui fa parte, sarete avvantaggiati. La sua musica compie dei cerchi e questi cerchi si stratificano e si ingrandiscono, trasmettendo la sensazione di trovarsi in spazi sempre più ampi e indefiniti. Se all’inizio, giusto durante la prima traccia, sembra di sentire Fennesz nei suoi momenti più sereni (e ovviamente meno glitch, se no mi casca tutto il palco), a un certo punto si slitta ancora più indietro verso Steve Roach e Dreamtime Return, e forse si potrebbe andare ancora di più a ritroso con le somiglianze. Quasi tutto Goddess vive in questo limbo, tranne forse quando si arriva a “Empty Saddies”, molto più intensa e invasiva, sempre con quel qualcosa di cosmico, ma di quello che dà le vertigini.
Goddess non è male, forse Luca dovrebbe solo ricordarsi di osare di più in termini di contaminazioni, come in Grunge o Warm Glow.