Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

LOW, The Invisible Way

The Invisible Way

Ai migliori si chiede sempre il meglio, ed ecco perché ogni nuova uscita dei Low porta con sé tonnellate di alte aspettative. C’mon era stata l’ennesima, graditissima sorpresa: un lavoro in linea con quanto fatto in passato dal gruppo, ma al contempo spiazzante per quelle sue atmosfere a momenti serene e primaverili, aggettivi che vanno ovviamente limitati e circoscritti all’universo-Low, che tutto è meno che variopinto e accomodante.

Oggi The Invisible Way rimescola di nuovo le carte in tavola: il gruppo di Duluth fa uscire un disco del tutto declinato in chiave acustica. Un disco in cui ci si dimentica dell’elettricità, praticamente quasi assente se non in qualche momento sporadico, e dove si lascia spazio alle chitarre folk, ai pianoforti, alla batteria suonata più con le spazzole che con le bacchette. L’ultima fatica dei Low non eguaglia la bellezza del capitolo precedente e non stupisce, ma riesce comunque a inanellare undici ottime canzoni, alcune delle quali splendide e magiche nelle loro scarne sonorità, nelle atmosfere soffuse e buie, sempre e comunque da ascoltare a luce spenta. Colpisce la solennità del cantato, alle volte accostata a ritmiche che denotano pesantezza e un incedere talvolta marziale. Gli intrecci vocali di Alan Sparhawk e della consorte Mimi Parker non mancano e si fanno via via più intensi: ormai, un marchi di fabbrica, al cento per cento Low.

Dunque, un riuscito disco di slowcore acustico, con gli amplificatori abbassati o staccati, inciso da un gruppo che ancora non se la sente di lasciare a casa l’ispirazione e di dare nuove luci e nuove forme a una loro già collaudatissima idea di forma–canzone. Anche ‘sta volta, commuovono.

Tracklist

01. Pale Green Ghosts
02. Black Belt
03. GMF
04. Vietnam
05. It Doesn’t Matter To Him
06. Why Don’t You Love Me Anymore
07. You Dont Have To
08. Sensitive New Age Guy
09. Ernest Borgnine
10. I Hate This Town
11. Glacier