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LORENZO FELICIATI / MICHELE RABBIA, Antikythera

LORENZO FELICIATI / MICHELE RABBIA, Antikythera

“Geometrie liquide di ignoti spazi profondi” potrebbe essere il sottotitolo degli otto racconti sonori contenuti in Antikythera.

Con il nome greco del più antico planetario meccanico mai inventato (I sec. A.C.), un calcolatore dentato che serviva a determinare le fasi lunari, i movimenti dei pianeti e a calendarizzare l’anno, accediamo alla settima release come leader per l’etichetta RareNoise del bassista, produttore e arrangiatore Lorenzo Feliciati. Le otto composizioni, firmate da Feliciati stesso e Michele Rabbia (batteria ed elettronica), che si avvalgono di collaborazioni mirate e sempre proficue, sono il risultato della selezione e della riorganizzazione di un lavoro di sedimentazione di più di due anni, nei quali sono state fissate e raccolte in studio intuizioni tematiche, idee timbriche, combinazioni ritmiche e momenti improvvisati. L’interazione empatica e magnetica tra Feliciati e Rabbia viene così testimoniata per la prima volta da questa release che ora andremo a perlustrare più nel dettaglio.

Il respiro largo e rarefatto in stile tardo coltraneano, elettrificato in un ambient prog rock con inconsce riemersioni lisergiche: così ci accoglie “Irregular Orbit”, che dopo un’introduttiva misurazione dello spazio orbitale, piuttosto interlocutoria, si sviluppa tra gli arpeggi pianistici irregolari e tesi di Alessandro Gwis, le distorsioni pulsanti di Feliciati e il fast ai piatti di Rabbia. Nell’escursione astrale del trio Feliciati/Rabbia/Gwis si percepisce chiaramente un desiderio di visionarietà anni Settanta, ma con la precisione razionalistica del Ventunesimo Secolo.

“223 Teeth” è una sorta di perpeetum mobile dalle tinte svenssoniane con basso e batteria/sound generator che sostengono un ipnotico ticchettio da ingranaggio meccanico, sul quale il pianismo effettato (Rita Marcotulli) armonizza sempre più densamente (con un culmine su figurazioni in semicrome in tre su quattro), mentre il sax soprano (Andy Sheppard) disegna in contrappunto ritmico una melodia di laconica nostalgia.

Ascoltiamo il duo Feliciati/Rabbia, senza partner aggiunti, soltanto in “Corrosion”, una composizione di puro paesaggio sonoro. Qui l’ampio uso di campionamenti, tastiere e synth da parte di Feliciati, in accordo con la sintassi puntillistica di Rabbia, va nella direzione di un immaginario lunare dove tutto è rallentato, deformato, fluttuante, estatico. Noi ascoltatori veniamo riportati all’antico stupore fondativo che si prova di fronte al tutto che emerge dal nulla (e che dal nulla è perennemente minacciato); torniamo dunque al thaumazein, allo stupor mundi, al sense of wonder.

“Prochronistic” (che vede la partecipazione del trombettista Cuong Vu) si presenta come l’ideale prosecuzione della traccia precedente, nel senso che su quel nulla generatore di mondo e di essere si innestano ora voce e presenza umana (non a caso a circa metà del pezzo la tromba è lasciata quasi totalmente da sola a fraseggiare). Feliciati e Rabbia qui mostrano una sapiente costruzione in divenire della drammaturgia, con grandissima ricchezza di effetti, timbri e articolazioni.

La quinta traccia “Sidereal”, la più lunga (8:38) dell’album, ha come punto di leva e legamento principale il groove al basso, impreziosito da un minuzioso lavoro sulle ghost notes, tratto caratteristico del bassismo di Feliciati; dal canto suo, Rita Marcotulli introduce timbrature da hammered dulcimer al piano preparato,  per poi sviluppare in graduale intensificazione un’improvvisazione pianistica di grande efficacia, e concludere con un effetto di raddoppiamento echeggiante alle arpe del piano. La tromba di Cuong Vu è qui al massimo della rarefazione, con micro-interventi sparsi e dispersi che forniscono la misurazione perimetrica dell’orbita descritta dal quartetto; Feliciati sovrappone alla sua linea di basso squarci à la Fripp di chitarra elettrica. Da sottolineare come la chiusura di questo pezzo in maggiore sia totalmente inattesa.

Con “Perigree” è di nuovo la volta del trio Feliciati/Rabbia/Gwin, ma nel nuovo assetto di chitarra/ batteria/piano-elettronica, che confeziona una composizione tutt’altro che prevedibile: armonia darkeggiante su due accordi portanti, pianismo lirico-etereo, batterismo essenziale ed ossificato su una dinamica figurazione di quasi-marcia. Figuratevi un ipnotico pezzo dark wave in versione ambient-jazz ed avrete la chiave d’accesso alla bellezza gorgonica di questo pezzo.

La penultima traccia è “Apogee”: Roy Powell (già con Feliciati nei progetti Naked Truth e Mumpbeak) è determinante nel marginare e incurvare in maniera liquida la superficie acida e sintetica della composizione con l’uso dell’Hammond e del Moog.

Il tango saturnino e sospirante di “Parapegma” chiude il disco, con Sheppard e Marcotulli a distillare e centellinare le ultime gocce di questa benefica miscela sonora qual è Antikythera, raffinato mekané che si rivela capace di sondare gli ignoti spazi profondi dell’anima mundi.