LOCRIAN, Infinite Dissolution
David Altmejd è uno scultore canadese nato nel 1974, “The Eye” è un suo lavoro del 2008 ed è anche la copertina del nuovo disco dei Locrian, il secondo inedito su Relapse. “The Eye” potrebbe anche rappresentare il fermo immagine di un’esplosione nucleare, dato che per esso Altmejd si è ispirato ai primi test condotti da Oppenheimer (1). L’artista, inoltre, l’ha realizzato con vetri a specchio, così che, osservandolo, vediamo il mondo e noi stessi in frantumi. Di sicuro il dopobomba è uno dei leitmotiv dell’immaginario dei Locrian, ma – a parte il richiamo visuale al loro album su Utech ispirato da un romanzo di Ballard, “The Crystal World” – l’impossibilità di rimettere insieme i pezzi delle loro influenze sta diventando un altro parallelo possibile con questa scultura, penso soprattutto a Return To Annihilation del 2013, un disco tanto coraggioso quanto difficile da digerire. Il gruppo è sempre stato un magma drone, doom, post-rock, black metal, ma a un certo punto della sua storia era possibile riconoscere due o tre ricorrenze nel sound (tracce che crescevano in modo esponenziale quanto a volume e aggressività o che giocavano su tensione ambientale e rilascio black metal…). Poi André Foisy e Terence Hannum hanno coinvolto il batterista “espanso” Steven Hess e dopo un po’ le cose si sono fatte ancora più complesse, perché si sono messi in discussione, scomponendo e ricomponendo la loro identità come se l’avessero messa davanti a “The Eye” (o a “The University”, altra opera di Altmejd integrata nell’artwork del disco). In qualche modo ritengo che i Locrian si stiano ancora cercando e che questo sia allo stesso tempo il pregio e il difetto della loro nuova vita (se avessero proseguito con la vecchia, invece, sarebbero diventati solo noiosi).
In questo Infinite Dissolution, la band (sponsorizzata finalmente dalla Moog) prova a isolare nei tre, ottimi, “KXL” i suoi istinti destrutturanti, mentre il resto dell’album – sempre con buoni frangenti atmosferici – contiene pezzi o più concisi o quantomeno più costruiti. Il migliore sembra “Arc Of Extinction”, molto somigliante al black metal americano, ma che esce dalle nebbie noise tipiche dei Locrian e si fa forte di una parte di batteria guerreggiante di Hess molto più originale del classico blastbeat. Se la gioca con “An Index Of Air”, nella quale – sempre intorno a un riff in tremolo – la prevedibilità viene spezzata con le giuste invenzioni. Il resto mette in mostra delle buone idee, ma non ancora compiute.
Non so davvero dire cosa succederà la prossima volta, ma sono molto curioso.
1. Contate quante volte band di musica estrema hanno usato la sua frase “sono diventato Morte, il distruttore di mondi”, a sua volta una citazione.