Live Arts Week III: giovedì 10 aprile 2014
Bologna, MAMbo.
Il terzo giorno di Live Arts Week genera molte aspettative e riserva altrettante sorprese. Oggi, come ieri, i tre protagonisti oscillano fra performance pura e musicata, con la differenza che l’ingresso non è aperto fin da subito e l’attesa sale nella mezz’ora che si trascorre nell’atrio.
È proprio quest’attesa l’oggetto preso in analisi da Maria Hassabi nella sua “PREMIERE”, una prima italiana che lascia sconvolti quasi tutti gli spettatori. Oggi il MAMbo subirà molte variazioni spaziali, la scena verrà modificata in continuazione. In questo caso, nel momento in cui ci viene concesso di entrare, in mezzo alla sala troviamo cinque personaggi immobili che ci guardano. Veniamo fatti accomodare sulle panche alle loro spalle e, una volta sistemati, inizia una lunga attesa cage-iana. Le luci si affievoliscono, per qualche minuto sembra non accadere nulla, il silenzio è incomparabile e lo spaesamento ha inizio. Dopo averci fatto un po’ l’abitudine, inizio a scorgere dei lievi movimenti quasi impercettibili: non tutti rimangono nella stessa posizione, sempre più si vede il movimento cristallizzato, immobile, un insieme di micro-spostamenti dei singoli arti che per essere notati pretendono completa attenzione. La performance, che dura un’ora e un quarto, è scandita di tanto in tanto da alcuni suoni o effetti di luce, entrambi estremamente fievoli. Questo fa si che la nostra concentrazione, fino a quel momento sviluppata nel più totale silenzio, venga deviata verso una componente nuova, aliena, che io ad esempio seguo anche senza volere, più per riflesso che per curiosità. Al ritorno del mio viaggio alla ricerca delle fonti, noto che i corpi, fino a quel momento apparentemente immobili, si sono spostati, e ci si chiede di continuo come abbiano fatto ad arrivare in quella posizione. In principio due performers erano in piedi e il resto a terra: questa disposizione non consentiva una totale visione d’insieme, quindi forse mentre uno stava fermo, un altro si muoveva. L’atto finisce con tutti e cinque gli artisti girati verso il pubblico, nella stessa posizione iniziale ma “specchiata”… non poteva essere altrimenti. Il lungo ed estenuante susseguirsi di mini-azioni rivela una fatica immane (ad esempio nelle posizioni di disequilibrio, dove i muscoli sembrano cedere) e la stessa fatica può essere riscontrata in qualsiasi tipo di azione, o vita, che nella sua impossibilità ci fa ritornare sempre nella condizione iniziale di quiete, e l’unica cosa che cambia è l’orientamento, visto che, in ogni caso, un passaggio è avvenuto, come se fosse una concezione astratta di narrazione. Ottimo inizio, forse poco capito o – meglio – poco interpretato. Di sicuro evento fra i più estremi, ma con una durata minore non sarebbe riuscito a imprimersi in modo così forte.
Continua il progetto “Cassette Spectacle” di Aki Onda. Come precisato nel report del mercoledì, la ricerca del musicista nipponico è legata all’esplorazione della sede del MAMbo, delle sue sale, dei suoi interni e, stasera, nel suo parco, il Cavaticcio. La consapevolezza scenica è maggiore, Onda riesce a sfruttare meglio il terreno. La forte presenza dell’acqua (che ieri era stata solo simulata) aiuta l’intreccio con il suono. Le tecniche utilizzate dal giapponese negli ultimi vent’anni non cambiano: ci rende partecipi delle sue testimonianze audio del mondo, catturate in cassette di inestimabile valore affettivo. Tramite più walkman e amplificatori, dispone i nastri in vari punti del parco (entro un raggio di una decina di metri), dialogando con rumori naturali come vento e gorgoglii acquatici. Con la torcia illumina particolari delle mura storiche bolognesi o crea giochi di riflessi – a lui cari – con il liquido che scorre accanto. L’immersione in uno spazio aperto è concretizzata da un uso di drone molto ripetitivi, scalfiti solo da scaglie di rumore generate dallo stesso Onda sul ponticello che unisce le due coste dei giardini, e segnano la fine di un live che ha saputo farmi apprezzare la diversa locazione di suoni di simile timbro.
Fino a questo momento non c’è stata occasione di contemplare le terza parte delle raccolte di video di Canedicoda. Oggi l’appassionato di YouTube ci illustra il tema degli animali, uno dei più seguiti su internet. Infatti la risposta da parte del pubblico è maggiore di ieri: quasi tutti i presenti al Live Arts Week si accomodano sulle eccentriche costruzioni – create sempre da Giovanni Donadini – per farsi distrarre dalle proiezioni di cani bizzarri e mucche ammaestrate. Il contenuto è divertente e la disposizione dei video e delle sculture lignee è affascinante, tant’è che bisogna spegnere il tutto per far allontanare la folla e farla proseguire verso l’ultimo grande live di stasera.
La costruzione dell’ambiente, con le panche poste a X (il cui punto d’intersezione è il tavolo dove si trova Ben Vida) e le luci blu orientate sugli amplificatori posti ai quattro angoli della sala, propone già un perfetto piano per godersi appieno il concerto. La breve durata si bilancia con la tridimensionalità delle vibrazioni che si incontrano nel centro della stanza e fanno muovere l’intestino come se ci si trovasse su una barca che si schianta contro una scogliera. Quasi fossi su una giostra, i miei sensi vengono stuzzicati dal percorso delle onde sonore, e persino le panche di legno tremano. La pecca sta nell’assenza di un vero e proprio live: laptop e mixer sono gli strumenti, ma le tracce sono pre-registrate, e le modifiche si limitano alle variazioni di volume, infatti il set si presenta più come sound art, ma – vista la location – la cosa è tutto sommato comprensibile. L’effetto sperato, pur se del tutto diverso che su disco, soddisfa le pance di molti curiosi.
Grazie a Massimiliano Donati per le foto.