LIGHT BEARER, Alex e Matthew
I Light Bearer arrivano con Silver Tongue a toccare il nucleo del loro discorso in musica, parole e immagini, ovverosia l’apparizione di Eva come protagonista centrale delle vicende raccontate. Se, infatti, la prima fase del progetto si era soffermata sull’ascesa della falsa autorità e sulla ribellione – seguita dalla caduta – di Lucifero, con il nuovo album la prospettiva cambia ancora ed entra in gioco il vero punto focale e la figura preminente, soprattutto per quanto riguarda la portata ideologica dichiaratamente anti-patriarcale del concept. Quale momento migliore per un faccia a faccia con la band (nelle persone di Alex, voce, e Matthew, chitarra), così da provarea cogliere a fondo l’essenza di una realtà che denota, in ogni sua singola sfaccettatura, un’attenzione e una profondità a dir poco fuori dall’ordinario. Buon viaggio e un grazie di cuore ai nostri disponibilissimi interlocutori.
È impossibile parlare dei Light Bearer senza introdurre il loro concept e il loro immaginario. Credo sia uno dei rari casi in cui, musica, testi e visuals siano pressoché allo stesso livello come parti del tutto. Mi sbaglio?
Alex: Light Bearer è un concept sulla nascita dell’illuminazione ed è parte racconto allegorico, parte fantasy e parte una lettera d’amore al racconto “His Dark Materials” di Philip Pullman. Abbiamo provato a veicolare ideologie femministe e anti-patriarcali attraverso i nostri testi e la nostra musica, ma vogliamo sia presente anche una forte componente visuale, perché la storia rappresenta un aspetto importante della band. Suonerà profondamente pretenzioso, ma siamo un gruppo di punk nerd che amano la fantascienza e il fantasy, la musica dura e le idee politiche di sinistra. Quando abbiamo creato la band, io ho tracciato l’interpretazione visuale di come volevo affrontare determinati aspetti politici e di come ciascun personaggio dovesse rappresentare differenti punti di vista. Questo, affinché gli eventi della storia fossero rappresentati (per quanto possibile) sotto forma di scene sulle varie superfici del vinile, in modo da dare un forte senso di continuità tra artwork, testi e – ovviamente – musica. Credo che il processo ora sia molto fluido: spesso il senso di un’emozione e di una tonalità sono intuitivi, così è facile per Matthew comporre una volta stabiliti i presupposti. Gerfried, Jamie e Joe possono da parte loro aggiungere o creare qualcosa di completamente differente. Infine, io e Lee discutiamo le impostazioni e le varie scene perché lui possa avere una base per creare i suoi paesaggi sonori. Come band condividiamo il desiderio di creare qualcosa di appassionato e ricco di significato, il che comporta spesso una montagna di duro lavoro e un traguardo ben più difficile di quanto previsto. Aggiungi che abbiamo strane dinamiche interne ma in genere armoniose.
Gli stessi personaggi sovvertono le consuete opinioni, con il Light Bearer (Lucifero) che rappresenta la forza positive e l’Autorità (il divino) che interpreta il cattivo di turno. Ti va di andare un po’ più a fondo sulla tua visione circa aspetti come la religione e il controllo delle persone da parte dell’autorità? Possiamo definire i Light Bearer una band politica?
Alex: I Light Bearer sono una band politica. Direi che i nostri testi sono in linea di massima femministi o, al limite, anti-patriarcali e atei. Scrivo con molte di queste idee in mente, anche se la resa è spesso in forma allegorica. Credo che il punto sia di demolire i valori patriarcali e un sistema che supporta queste ideologie e cambiare il punto di vista sulle religioni costituite. Sono stato molto ispirato da Philip Pullman e da come ha inserito con perizia le sue idee nel libro cui rendiamo omaggio. L’utilizzo dell’immaginario scelto e della storia è stato invece dovuto molto al caso: avevo in mente di scrivere una storia e così ho creato le scene. L’idea del falso dio e di Lucifero che volevo rappresentasse il prologo alla fine è arrivata a coprire tre dischi prima di raggiungere il nocciolo della questione, ovvero il concept su Eva, che inizia con Silver Tongue. Volevo raccontare la prima caduta, parlare di Lucifero come prima entità a sollevare il dubbio, deciso a diffondere la conoscenza. Nel corso della storia, proprio la conoscenza è sempre stata considerata come l’antitesi della fede. Che la religione non tenti nemmeno di mascherare questa realtà è ridicolo. I primi tre dischi gettano le basi per la storia di Eva e dell’emancipazione di tutti coloro che non si ritrovano nei dogmi del falso dio. Pensa a tutto l’odio stereotipato che riceviamo dalle bocche dei teisti conservatori, ai livelli cui abbiamo – ad esempio – assistito nelle passate elezioni negli USA e in Canada, ma anche nel Regno Unito, con i diritti delle donne che vengono dibattuti su un piano meramente elettorale e l’oppressione è ancora considerate un’arma per conquistare voti. È uno strumento spuntato che ha fallito, perché si è dimostrato come la maggior parte della gente non accetti più queste idee arcaiche. A un livello più globale dobbiamo essere consapevoli di come l’oppressione sulle donne – e su tutti quelli che non rientrano nei binari basati sull’eterosessualità e sul genere – distrugga vite ogni giorno.
Venendo alla relazione tra il diavolo e la donna, sembra che l’ideologia monoteista abbia sempre dipinto ciò che riguarda il femminile come impuro e guidato dal mero istinto, mentre le religioni politeiste sembrano avere spesso un approccio più aperto. La Luna era la controparte del Sole e madre natura è spesso in posizione di prestigio nel loro pantheon. Quale è la tua opinione a proposito e quali, per te, i motivi di questo cambiamento radicale?
Alex: Credo che ogni religione, politeista o monoteista, abbia sofferto di misoginia. In senso lato ciò ha a che vedere con l’idea patriarcale secondo cui gli uomini fanno le leggi e stabiliscono la religione di stato. Ci sono esempi di misoginia in molte religioni politeiste e credo che tutto sia riconducibile al concetto di potere: gli uomini non hanno la facoltà di dare la vita, di crearla da soli, la creazione della società deriva da questo potere definitivo, senza persone non hai una popolazione da governare e per questo aspetto gli uomini devono affidarsi alle donne e pertanto possono solo limitarsi a controllarle e opprimerle. È un dato di fatto che questi uomini si considerino pii e ritengano il desiderio sessuale una cosa sporca, di cui incolpare le donne. Che la loro purezza e abilità di governare sia ostacolata dall’essere adescati dalle donne, per cui questo desiderio non va ritenuto colpa dell’uomo. Basano il loro sistema di credenze sul fatto che le donne sono solo uno strumento, o al limite una tentazione, quindi non uguali agli uomini. Dalla concezione della donna nella religione di Abramo, nella quale Eva è creata da una piccola parte dell’uomo, la costola di Adamo, si basa il loro essere inferiori, un frammento adatto a servire ad uno scopo. L’idea di Eva che sfida la legge di Dio e che tenta Adamo a mangiare dall’albero della conoscenza afferma ancora una volta il concetto secondo cui la donna è causa delle mancanze del maschio, un capro espiatorio.
Prima della nascita del sistema patriarcale si suppone ci fosse una struttura dei gruppi familiari condivisa e egualitaria. Il patriarcato è cresciuto nella religione, probabilmente prendendo spunto dalla figura del padre, il capo della famiglia e il dio monoteista. È stato un comportamento appreso, il condizionamento sociale ha insegnato alle masse a considerare le donne inferiori agli uomini, una cosa falsa dal punto di vista sociale e biologico. Con ogni nuovo uomo al potere, nessuno ha osato o pensato di mettere in discussione lo status quo e questi vincoli della società religiosa sono divenuti intoccabili. Ho già detto che noi utilizziamo ancora i pregiudizi, che ancora interpretiamo questo comportamento appreso anche di fronte alla verità e, anziché rimuoverlo, abbiamo trasformato l’odio e l’oggettivazione della donna da potere di controllo a potere di controllo e vendita. Nei media e nelle pubblicità lo usiamo per vendere e guadagnare, è una cosa insidiosa, basta che vai per strada e guardi i cartelloni pubblicitari. Consideriamo ancora le donne oggetti, proprio come vediamo le forme di vita non umane come cose atte ad essere dominate e consumate. Seguiamo questi principi assoluti, perché la misoginia è perpetuata da tutti noi, non solo dagli uomini. I ruoli sociali sono riaffermati da chiunque supporti o permetta le pratiche sociali o religiose che denigrano la donna.
Ma quando hai i grandi pensatori e le maggiori religioni che reiterano questi punti di vista misogini – ovverosia che ci sia un determinismo biologico e che in qualche modo il patriarcato sia ereditario – ciò viene accettato come la maggior parte delle tradizioni. Pratichiamo rituali bizzarri e senza utilità (mutilazioni genitali, la comunione, i sacrifici animali) e li consideriamo normali o, al massimo, da rispettare senza obiezioni. Con i ruoli sociali funziona allo stesso modo. Siamo dovuti arrivare fino ad oggi per riprenderci un po’ della democrazia che avevamo prima dell’avvento della religione, in ogni forma. Ma abbiamo ancora società che considerano la donna inferiore all’uomo e ne vediamo i risultati in molti modi barbari e orrorifici, con abusi e omicidi quali risultato della misoginia.
L’ideologia cristiana divide il mondo femminile in due categorie opposte: le pure/asessuate e le peccatrici, impure, spesso dipinte come prostitute da redimere. Perché il sesso è visto come una minaccia dalla religione cristiana e monoteista in generale?
Alex: È un aspetto innato della nostra natura desiderare il sesso, come un precursore naturale della procreazione, mentre la mente religiosa lo condanna, vedendo sia il sesso che il desiderio come pieni di peccato e la procreazione come un mero strumento. La riempiamo di fasto e luccichii, come l’idea che sia necessario sposarsi e trovarsi in stato di grazia, che la donna debba restare vergine prima che ciò avvenga, che la verginità sia “dovuta” al marito e che un figlio nasca da questa unione, che è solo una formalità. È una mente divisa a metà, la stessa religione è contro la carne e vuole avvilirla. Non puoi combattere la biologia, ma le religioni tentano di controllare e sopprimere ciò che è naturale. L’odio degli uomini per le donne deriva anche dal fatto che il desiderio sessuale è visto come qualcosa di sbagliato e quindi opprimere le donne è opprimere ciò che l’uomo vede di sbagliato in se stesso: quindi, condanna le donne, non il tuo desiderio sessuale, così tu resterai santo mentre è la donna che va punita per questo atto. Tutto ciò permea il monoteismo, anche ai giorni nostri, perché è colpa delle donne se gli uomini stuprano, o tradiscono, La religione insegna che è la donna a offrire questi desideri sessuali, che la loro essenza è tentare. Le donne muoiono per questi atti compiuti dagli uomini. Questa idea è stata adottata oltre la stessa religione, guarda alla cultura dello stupro: la gente crede davvero che le donne debbano vestire in modo morigerato e che se voglio evitare lo stupro devono vestire in maniera modesta. Questo è un passaggio ancora più malato della misoginia. È impossibile sopprimere il desiderio sessuale perché siamo entità biologiche, non esseri angelici asessuati. La religione in questo senso è assolutamente innaturale, tenta di imprigionare la natura animale e in questo fallirà sempre.
Anche nel nostro mondo cosiddetto libero/progressista, le donne sono spesso usate come un’esca per attrarre potenziali compratori o, comunque, forzate ad indossare caratteri fittizi di perfezione per compiacere i loro partner. Quindi siamo passati da un ruolo sottomesso di moglie/madre a un qualcosa che da una falsa illusione di libertà ma è sempre guidata dalla volontà dell’uomo di controllarle. Sembra ci sia ancora molto cammino da fare…
Alex: Esatto!
Persino nella nostra scena musicale “indipendente” sembra sempre prevalere un’attitudine machista, con le ragazze che devono combattere duramente per non essere la persona carina nelle foto della band o sul palco. Non credo sia cambiato molto da qualche decennio fa, almeno non su una scala ampia. Qual è la tua esperienza, visto che sei spesso in tour e hai incontrato molte band e molte persone differenti?
Alex: Nulla è al sicuro dalle norme sociali, una scena musicale, politicizzata o meno, deve comunque relazionarsi con queste cazzate, quindi non mi sento di dire che forme di pregiudizio non esistano nella scena diy. Il più delle volte se si presentano situazioni simili le persone vengono ritenute responsabili e condannate, ma queste idee devono comunque essere costantemente riaffermate e vanno seminate sempre di più. La nostra musica è apprezzata anche da persone esterne alla scena diy e spero che queste persone che ci ascoltano e leggono le nostre idee, sappiano apprezzare il nostro punto di vista quando vengono a vederci dal vivo, anche se purtroppo so che non è sempre così. Le band con un forte messaggio politico hanno spesso fan che se ne fregano davvero poco.
Pur mantenendo un approccio decisamente personale e introducendo alcuni punti di vista differenti, il vostro concept sembra seguire il percorso di alcuni artisti importanti. Mi riferisco in particolare a coloro che hanno trattato la religione in modo non convenzionale e illuminato, soprattutto se paragonato al pensiero dominante. Chi vi ha inspirato mentre creavate la vostra musica?
Alex: Credo che tutti concordiamo sul fatto che far parte di una band sia un modo meraviglioso per veicolare emozioni. Così, è accaduto che alcuni abbiano amato dei libri a tal punto da volerne convogliare le sensazioni, da voler trasmettere questo incontrollabile amore e passione per un’idea. In molti modi i Light Bearer sono un veicolo per questo concept originario. Tutti noi andiamo e scriviamo le nostre storie o raccogliamo i nostri pensieri, ma credo che tutto nel contesto di questa band no-profit sia una ben ragionata reazione a un sentimento profondo, all’idea che qualcuno abbia covato un pensiero fisso in mente e abbia voluto trasmetterlo al di fuori di sé e che tu, a tua volta, provi ora il desiderio di riproporlo a modo tuo, aggiungendo le tue idee e pensieri e, così, costruire partendo da lì. Quello che ha fatto Pullman è stato simile, ha voluto trasmetterci i suoi pensieri sul libro di qualcun altro, quindi è una sorta di passaggio continuo di idee. La musica è anch’essa ispirata da altri artisti, in modo cosciente o meno. Ciò che dobbiamo fare è prendere tutte le influenze e renderle qualcosa di degno di avere una vita propria.
Qualcuno potrebbe pensare che la vostra storia sia influenzata da una concezione spirituale, anche se non di tipo religioso. Vi potete davvero definire dei puri atei o siete in qualche modo attratti dalla dimensione spirituale dell’esistenza? È davvero possibile dipingere il Light Bearer come un puro simbolo senza provare alcun sentimento religioso?
Alex: Siamo atei o almeno anti-teisti, non c’è assolutamente nulla di spirituale nei Light Bearer. Credo sia facile fraintendere qualcosa di bello e profondo con la spiritualità. Come Carl Sagan ha ben sottolineato, la religione ha sempre tentato di dipingere l’universo come una forma di bellezza inspiegabile e ancora più bella proprio perché sconosciuta, così come ha tentato di attribuire ad un creatore lo splendore di corpi celesti e di fenomeni naturali, che oggi invece cominciamo a comprendere. La religione ha portato via la nostra capacità di comprendere e ci ha chiesto di limitarci a crogiolarci nella bellezza, perché le spiegazioni portano via la meraviglia. Credo che conoscere qualcosa sia la vera bellezza, ci fa usare la mente, il dono della vista. Il dono della comprensione. Credo che sia bello e profondo, piuttosto che perderci dietro semplicistiche nozioni di dei e religioni e aldilà. L’idea dei Light Bearer trascende il monoteismo, esso stesso un concetto incorporato nella Bibbia e non una creazione originale dei cristiani. Considera come l’immaginazione e le credenze trasmutano proprio come il linguaggio: chi crede prende da esse ciò che vuole. Il Light Bearer come ogni cosa nella religione è aperto all’interpretazione, quindi, noi diciamo che il Light Bearer è la ricerca della conoscenza, sia esso Lucifero che ha messo in discussione il falso dio o Eva o, infine, coloro che ne hanno seguito le orme.
Hai già l’intera storia in mente o si tratta piuttosto di un work in progress, che può variare in base a fattori esterni o interni?
Alex: La storia è scritta, sì, ma le lyrics stanno prendendo forma, la maggior parte del lavoro avviene mentre mettiamo insieme le idee sulla musica. Il mio momento preferito per scrivere i testi è quando Matthew ha un’intuizione, la porta alle prove, tutti cominciano a jammare su quella, il rumore ci circonda e io mi siedo con il mio laptop e lascio che la musica prenda parte alla creazione delle parole. Tutto comincia in una forma realmente fluida e solo in seguito cominciamo a creare le strutture, discutiamo la narrazione e come debba giocare un ruolo nel brano. Matthew costruisce intorno a quell’idea oppure suggerisce un suo proprio percorso, Gerfried, Jamie e Joe fanno lo stesso. Credo che l’ispirazione arrivi per ciascuno di noi da un luogo differente. Con Lee parliamo del ruolo che avranno i suoi soundscape praticamente dall’inizio, spesso anche prima che la canzone prenda forma, così da creare un mood o una base su cui possa sorreggersi il tutto.
Mi immagino il vostro processo creativo come una continua interazione tra musica e parole, con la musica che si sviluppa attorno ad una trama generica e tu che formi le strofe perché si adattino alla musica.
Alex: No, direi che in realtà è un processo più fluido, a volte è la musica che si piega per adattarsi alle parole. Gran parte di Silver Tongue è stata scritta per adattarsi alla storia. Quando la gente ritiene che alcune parti si trascinino troppo o che avrebbero potuto essere scartate, noi rispondiamo “questa è una storia” e tu non scarti capitoli o personaggi perché non vuoi sapere dei loro percorsi, ogni parola è necessaria, il che ci può anche rendere schiavi di ciò che scrivo, ma tutto ha un suo scopo. Hai bisogno dei bassi per apprezzare gli alti, hai bisogno di parti sobrie per apprezzare i crescendo. Non dico che questo sia giusto, infatti, ammetto che alcune parti di Silver Tongue non hanno preso la forma esatta che ci eravamo prefissati, ma ripeto che questo è ben lontano dall’essere qualcosa di perfetto, siamo limitati dal tempo e dai soldi e, anche, dalle nostre carenze. Stiamo tentando di raccontare una grande storia con mezzi limitati. Parte del divertimento risiede nel vedere dove possiamo arrivare con quello che abbiamo a disposizione. Tre mesi prima di registrare Silver Tongue eravamo terrorizzati dall’idea di non riuscire a fare tutto in tempo.
La vostra musica segue un approccio aperto e libero dai consueti limiti stilistici, senza un bisogno specifico di assecondare i codici o le regole di qualche scena in particolare. Direi che potremmo definirlo un vero e proprio approccio “post”, nel senso dell’incontro tra differenti personalità e background, uniti dalla sola voglia di evolvere la propria musica in qualcosa di diverso. C’è, però, qualcosa che proprio non lascereste entrare nella vostra musica o che, comunque, preferireste evitare?
Matthew: Non direi. Almeno finché si adatta alla storia che stiamo tentando di raccontare. Non abbiamo un piano preciso su ciò che andremo a scrivere, ma quando componiamo inseriamo tutto ciò che ci viene in mente e che sembra andar bene. Ci sono molte band che cercano di creare generi ibridi e, se da una parte è un bene perché si tengono distanti da formule ormai abusate e sicure, non ha senso se poi ti guardi indietro e scopri che hai dovuto fare forzature nel momento di comporre. Non possiamo realmente dire di avere evitato qualcosa, almeno finché non avremo finito questo progetto, e se lo faremo vorrà dire che non poteva entrarci. Se componessimo cinquanta dischi, chi lo sa, magari un giorno potremmo anche toccare ogni genere e suono per rendergli giustizia.
Alex: Non penso che evitiamo qualcosa, ma ci sono sicuramente degli stili che non usiamo semplicemente perché non si adattano al nostro sound. Per quanto riguarda i generi, ciascuno di noi ha i suoi gusti differenti, per cui se vogliamo suonare ad esempio in un gruppo hardcore prendiamo e formiamo un gruppo hardcore o, come Matthew, che ha composto un disco black metal perché aveva voglia di suonare black metal. I Light Bearer sono più legati al creare suoni e sensazioni, per cui ciò che Matthew scrive ha più a che vedere con il prodotto di queste pulsioni che non con il cercare di seguire un genere. Credo che tutti coloro che sono coinvolti con la musica “post” siano spaventati dal calzare scarpe usate o annoiati da questo. Sebbene molta gente troverà la nostra proposta derivativa , cerchiamo comunque di creare qualcosa che meriti di esistere.
Avete da poco pubblicato Silver Tongue, che mi dite delle sensazioni che provate una volta che il processo creativo è terminato e tenete tra le mani il suo risultato? Iniziate a lavorare immediatamente al nuovo disco o vi prendete un po’ di tempo per assaporarlo e rilassarvi? State già lavorando al nuovo album?
Matthew: Visto che siamo una band piena di idioti nevrotici, la fine di un capitolo, in realtà, non differisce molto da come ci sentiamo il resto del tempo in cui ci lavoriamo sopra. Siamo incredibilmente critici circa ciò che componiamo. In alcune occasioni, dà dei frutti e la parte verso cui eravamo più scettici finisce per suonare alla grande una volta su disco. Dopo Lapsus, abbiamo iniziato immediatamente a lavorare su Silver Tongue e, a dire il vero, era una sensazione alquanto strana. Un album può sembrare poca cosa nel contesto di quattro dischi, ma questo era anche il nostro primo, ci è sembrato come se un peso enorme ci fosse stato tolto dalle spalle e poi, tutto è ricominciato di nuovo. È stato come passare da una padella ad un’altra. Ora abbiamo qualche idea su cosa dobbiamo fare: stiamo programmando un ep da realizzare, si spera, entro al fine dell’anno e subito dopo inizieremo a lavorare su Magisterium. Il prossimo disco sarà completamente diverso da quest’ultimo, per cui è un bene lasciare che tutto il lavoro precedente esca dall’organismo prima di cominciare a scrivere in una maniera totalmente diversa. Ma, in realtà, non ci riposiamo quasi per nulla. Molti di noi hanno progetti differenti tra cui musica, scritture per film… Quindi i Light Bearer sono come un enorme mostro addormentato che viene fuori quando è pronto a ricominciare.
Alex: Silver Tongue è stato estenuante per tutti noi. C’è voluto molto tempo per entrare nel disco, per prendere coscienza di come ci sentivamo rispetto ad esso. Gran parte dello scheletro è stato scritto prima di entrare in studio, ma abbiamo fatto un enorme lavoro durante le registrazioni. Alcune canzoni erano delle semplici idee prima che ci sedessimo per lavorarci sopra in studio. Ci sono state un sacco di agitazione e preoccupazioni. Abbiamo registrato all’ultimo momento, c’era davvero poco spazio di manovra. Col senno di poi, ci sono alcuni punti che avremmo potuto migliorare, molte occasioni sprecate, o parti che avrebbero potuto suonare differentemente. Ma credo anche che dopotutto possiamo definirci soddisfatti di ciò che abbiamo realizzato. Finora, l’unico sforzo che abbiamo fatto per il prossimo capitolo è stato chiedere al nostro pubblico di contribuire con la sua voce. Penso che sia fin troppo facile perdere il contatto tra chi suona e chi ascolta, così abbiamo cercato un modo per mantenerlo vivo. I Light Bearer sono diy e punk nonostante la musica che suonano, e per noi tutti è importante che questo aspetto non si perda. L’ep sarà la seconda parte di “Celestium Apocrypha” e si chiamerà “The Future Lot Of The Righteous And The Wicked”.
Parlando di esibizioni live, come lavorate per far si che partiture così ricche e complesse ottengano il giusto impatto dal vivo? Ri-arrangiate i brani o cambiate l’ordine per creare una set-list funzionale o, al contrario, scegliete le vostre track preferite del momento per crearla?
Alex: Le set-list sono spesso limitate dal tempo a disposizione, abbiamo in genere dai cinquanta minuti all’ora e cerchiamo di creare una scaletta dinamica che piaccia a tutti noi. La storia non è qualcosa di ovvio o che viene considerato durante un concerto, per cui quando suoniamo siamo più che altro una live band e le canzoni sono abbastanza malleabili da essere cambiate per seguire questa impostazione. Il nostro suono sul palco è per forza di cose molto più grezzo, per cui trattiamo la band in modo più energico e vigoroso, tanto che molte parti sono urlate. Lee ci permette di unire le parti differenti con sezioni noise studiate appositamente, per cui cerchiamo di mantenere un sound coeso. Credo che nella maggior parte dei casi funzioni.
Se consideriamo le attività in studio dal vivo, quale credete siano le più importanti o, comunque, le vostre preferite come musicisti e come persone? Sentite maggiormente la pressione degli ascoltatori quando registrate un nuovo disco o quando lo presentate dal vivo?
Matthew: Direi che sono entrambe parimenti importanti. Non suoniamo poi così spesso dal vivo, per cui quando accade vogliamo che sia speciale e che lasci una forte impressione sui presenti. Comunque, registrare vuol dire creare qualcosa destinato a restare per molto tempo e qualcosa che deve essere quanto più perfetto possibile, perché raccontiamo una storia lineare su cui non possiamo tornare sopra. La storia si dirige verso un finale e non ci saranno seconde chance di rifarla, per cui questo ci mette parecchia pressione circa ciò che stiamo facendo. Ma non credo che sia una pressione legata alla reazione della gente, anche se è piacevole avere chi ti fa i complimenti e così via, ma è anche un aspetto decisamente egoistico. In realtà, se fai una cosa devi amarla tu per primo, altrimenti non ha senso. Una volta che sei contento di ciò che hai realizzato, è un successo anche prima che una singola persona lo abbia ascoltato.
Alex: Credo che ciascuno di noi abbia un punto di vista differente su questo argomento e ne parliamo spesso. Alcuni di noi preferirebbero evitare di suonare spesso dal vivo, altri starebbero costantemente in tour, ma penso che a tutti piaccia creare con i Light Bearer. È un gran progetto, molto più grande di quanto avessimo pensato all’inizio. Siamo a metà strada e, a volte, è scoraggiante, altre vale la pena fare un passo indietro apprezzare ciò che abbiamo realizzato. Abbiamo ansie e limiti personali che a tratti rendono difficile lo stare in una band, ma ne vale davvero la pena. È un’esperienza meravigliosa da condividere. Siamo una manica di nerd goffi dal punto di vista sociale e l’audience è sempre una variabile sconosciuta. È emozionante quando la gente può apprezzare i Light Bearer, ma nel mio caso c’è sempre la paura di deludere le aspettative di qualcuno. Questo è il momento di ricordarmi che lo facciamo principalmente per noi come band. Ho sempre visto i gruppi come amicizie costruttive, per cui ti permettono di passare del tempo con le persone cui tieni e, anche, di lasciare una traccia fisica di questa amicizia.
La prima cosa che mi ha impressionato nella vostra musica è stato il songwriting così ricco e curato, con un occhio sempre attento ai dettagli e ai singoli passaggi. Vi va di tornare un attimo al processo creativo per quanto riguarda la parte strumentale del progetto?
Matthew: La maggior parte consiste nel far casino in sala prove. Proviamo per circa otto ore a volta, quindi un sacco di idee possono andarsene in giro per poi depositarsi quando pensiamo sia il momento giusto. Comunque, non proviamo così spesso, il che è insieme una cosa buona e cattiva. Sarebbe bello ritrovarci per suonare insieme più spesso, ma è molto importante per quello che facciamo anche avere il tempo per riascoltare registrazioni del cavolo e pensare alle varie possibilità di estrarne anche una piccola porzione di musica. Cerchiamo di mantenere le canzoni più corte possibili per tenere alti gli stimoli. Siamo una band che suona brani lunghi ma sappiamo anche quanto possiamo annoiarci con brani troppo elaborati, proprio come succede a tutti. Essenzialmente, i pezzi sono tanto lunghi quanto devono essere e quanto la storia richiede lo siano.
A volte, sembra che stiate lavorando con un’intera orchestra e non una tipica formazione metal. Ogni singolo suono/effetto appare come il frutto di un processo decisionale davvero approfondito su ciascun singolo aspetto affinché si adatti all’insieme. Che mi dite degli strumenti e degli effetti utilizzati in fase di registrazione?
Matthew: Ci sono delle emozioni che rivestono un valore primario nella nostra musica ma che, al contempo, possono essere davvero difficili da catturare con gli strumenti più tradizionali che utilizziamo. Non riuscendo a catturarle con chitarre, basso e batteria, ci sforziamo di capire cosa poter usare per ottenere ciò che cerchiamo. Per Silver Tongue, queste emozioni si sono appoggiate maggiormente su strumenti a fiato, per cui siamo stati fortunati che il nostro amico Mark ci abbia raggiunto e abbia lavorato duro con noi per renderle reali. In più, abbiamo sempre Lee che costruisce quella che è forse la parte più grande del nostro suono. I suoi paesaggi sonori formano il letto di suoni su cui i brani si adagiano, occasionalmente irrompendo e creando questi effetti incredibili. Tutto ciò che fa Lee è ragionato e lui spende ore e ore per creare le fantastiche atmosfere che si sposano con ciò che suonano gli strumenti.
Sembra che in alcuni momenti prevalga un approccio sinfonico, quasi affine a quello dei compositori classici e non al solito background rock. Mi sbaglio?
Matthew: Una cosa che mi ha sempre appassionato è il cinema. Amo la narrazione e come la relazione tra storia e suono lavorino insieme. Ho sentito qualcuno affermare che la colonna sonora può fare anche il 60% dell’intera esperienza creativa e credo sia abbastanza vero. Mi fa piacere leggere recensioni in cui ci si sofferma sulle qualità orchestrali e cinematografiche delle composizioni e sul fatto che le emozioni prodotte dalla musica siano in sintonia con la tensione del racconto. Ascoltare le colonne sonore di compositori quali Clint Mansell, John Murphy e Hans Zimmer, per citarne solo alcuni, ha una grossa influenza su quello che facciamo.
Allo stesso tempo, siete riusciti ad evitare ogni tipo di approccio ridondante o ampolloso, dimostrandovi capaci di adottare un’attitudine “less is more” quando necessario. Non deve essere facile bilanciare tutti questi aspetti durante la creazione di un disco. Penso ci sia un enorme lavoro sui brani prima che raggiungano la forma definitiva anche in fase di post-produzione.
Matthew: A volte ci troviamo a buttare giù di tutto fino a far affondare le nostre canzoni, per cui ci dobbiamo frenare. Anche se abbiamo tutti questi elementi extra che possiamo usare (violini, fiati…) dobbiamo ricordarci che siamo limitati dall’essere una band con una formazione rock, quindi dobbiamo fare in modo che il nucleo di ciò che suoniamo sia la parte più dura del brano, altrimenti tutto collassa. Passiamo molto tempo a tagliare cose di cui siamo soddisfatti ma che non aggiungono nulla al brano una volta finito. Per quanto riguarda la produzione, molte cose, come i finali con i feedback, o cose simili, sono solo errori fortunati. Fortunatamente lavoriamo con Peter Miles e James Bragg e queste persone capiscono bene cosa stiamo tentando di fare e ci spendono sopra del tempo.
Immagino che i nostri lettori vorranno avere qualche anticipazione sulle prossime mosse, mi riferisco a nuovo disco, ep e concerti. Avete già qualche programma definito?
Alex: L’ep conterrà due trace, “Regent” e “The Lovers”, abbiamo già qualche idea sulla parte musicale, qualcosa di differente per contrastare con i nostri dischi precedenti e con il prossimo album. Credo, invece, che cominceremo a lavorare su Magisterium quando ci sembrerà arrivato il momento opportuno: abbiamo attraversato varie fasi decisamente faticose e, in più, Gerfried sta tornando in Austria, il che renderà le prove un po’ più difficili, ma anche su questo lavoreremo sopra. Cerchiamo di trattenerci dal programmare troppo in avanti, ma di sicuro abbiamo varie idee per tour e progetti vari prima di impacchettare i Light Bearer.
Grazie mille per la vostra pazienza e disponibilità nel rispondere alle mie domande. Vi lascio liberi di concludere con un messaggio ai nostri lettori o come preferite. Spero di incontrarvi presto sulla strada.
Alex: Grazie a te per l’intervista, Michele, e grazie a chiunque si prenda del tempo per ascoltare la nostra musica, lo apprezziamo davvero molto. All the best!