Let’s kick some ass! Intervista ai NOFU e presentazione del nuovo ep Qui Ed Ora

Nofu

Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con tre dei quattro membri dei NOFU (Emanuele alla voce, ex-Nappies e Olim Palus, Bitto al basso, ex-Nappies, Claudio alla chitarra, ex-Shred tutt’ora Drömspell). Animatori di lunga data della scena punk hardcore romana, abbiamo parlato delle loro esperienze nel circuito do it yourself, della commistione tra musica e politica, dei gruppi di ieri e di oggi, ma sopratutto del nuovo ep Qui Ed Ora. Uscito in occasione del  secondo tour americano in una versione limitata in cd e tape, vedrà una seconda release in 10” a giugno, grazie a una cordata di etichette (Annoying Records, Assurd Records, Carr’Armato Records, Impeto Records, Inferno Store – Roma, MAD Productions Nuclear Chaos, Pirate Crew Records, Rockout Fascism, Timebomb Records e ZAS Autoproduzioni).

Visto che è la prima volta che si parla di voi su The New Noise, iniziamo con la domanda canonica: ripercorrereste la storia del gruppo da quando è nato fino a oggi?

Emanuele (voce): Nel 2011 ho cercato minuziosamente tra i miei amici più stupidi… io volevo formare un gruppo hardcore con i testi in italiano, vecchia scuola anni ’80. Quindi ho pensato a Claudio per la chitarra, dato che era il più anni ’80 di Roma, a Bitto perché era il più logista nonostante ancora non lo sapesse, e a Riccardo perché aveva la catena. Registriamo una demo un paio di anni dopo, ci sono stati mille cambi di formazione, anche se noi tre siamo sempre rimasti, pur partendo e poi tornando alcune volte. Alla fine ci siamo ritrovati con Gianluca alla batteria e con questa formazione abbiamo registrato sia Mito Ciclicità che Interruzione (i due lp). Con Gianluca abbiamo fatto anche tre tour: uno in Europa centrale, uno negli Stati Uniti e un altro tra Portogallo, Spagna e Francia. L’anno scorso Gianluca se n’è andato…

Bitto (Basso): E poi abbiamo scelto Curzio perché era il batterista più cazzuto della scena. In realtà l’abbiamo scelto perché aveva il mullet, quel taglio di capelli lunghi dietro con la frangetta corta!

In questo lasso di tempo siete cambiati parecchie volte. Oggi ho riascoltato i dischi e mi sembra che ci siano almeno tre periodi diversi: fino a Mito Ciclicità è una fase abbastanza compatta, eravate un gruppo old school, scarni veloci e diretti. Poi Interruzione è un po’ una fase a sé, avete proprio cambiato modo di comporre: le canzoni erano diventate molto più lunghe, c’erano tanti assoli… anche la voce in quel disco era molto diversa.

Bitto: Interruzione per la prima volta si avvicina veramente ai Negazione, che ci avevano sempre ispirato. Ci avevano invitato al Coverkill, che è una serata dove si suona un set di cover di un solo gruppo. Noi abbiamo scelto di coverizzare i Negazione e per due o tre mesi ci siamo studiati i loro pezzi per bene. Da lì abbiamo capito molte cose.

Emanuele: Sì, anche perché abbiamo suonato tutte cover dei Negazione del secondo periodo, da Lo Spirito Continua passando per Little Dreamer fino a 100%. Ci siamo ispirati a quello stile compositivo lì in Interruzione.

Claudio (batteria): Tutti i gruppi che ascoltiamo sono cambiati tanto negli anni, ti ispiri ai gruppi degli anni ’80 ma anche al modo in cui si sono evoluti.

Sembra che con quest’ultimo ep ci sia un’altra fase ancora, no? La voce l’ho trovata più simile alle prime uscite, la struttura delle canzoni però è ben architettata.

Claudio: Anche secondo me, mi dà molto di più l’idea che siano delle vere e proprie canzoni. Meno dispersive di quelle di Interruzione, dove ci sono dei pezzi strumentali lunghissimi che abbiamo eliminato.

Tutti questi cambiamenti erano voluti?

Bitto: Non è che li abbiamo costruiti proprio a tavolino, ma è facile che andiamo in fissa tutti con la stessa musica, uscendo tanto insieme ci influenziamo molto.

Emanuele: Penso che sia anche il riflesso di un periodo di passaggio per i Nofu, da quando Gianluca se n’è andato.

Bitto: Anche se i pezzi sono stati scritti tutti e quattro con Gianluca. Poi Curzio li ha modificati molto. Lui è più grande di noi, è un batterista con un suo background, che studia il suo strumento.

Per questa terza fase, al di là dei Negazione, a chi altro vi siete ispirati?

Bitto: Hüsker Dü e Kina.

Emanuele: Secondo me la svolta rock di Claudio si sente molto in queste canzoni, anche se poi va a convergere verso Kina e Hüsker Dü.

Anche per quanto riguarda i testi mi sembra che ci siano stati dei cambiamenti. Ci sono dei temi che tornano sempre: la finitezza, l’apatia, i social… però fino a Mito Ciclicità c’era ancora la scena hc come un rifugio, una sorta di fratellanza che fa vivere momenti importanti. Invece Interruzione l’ho trovato molto più pessimista e disilluso. L’interruzione è sempre violenta, c’è sempre bisogno di una violenza da applicare.

Emanuele: È molto interessante quello che mi stai dicendo. Mi viene in mente la critica nel romanticismo: Schlegel e Novalis dicevano che era il completamento dell’opera. Chi si fa “tramite” dell’arte, anche se la nostra non lo è assolutamente, può arrivare fino a un certo punto. È la critica invece, che rompendo la forma dell’opera singola, riesce a connetterla con altro. Quindi è molto interessante che tu stai notando questi aspetti che noi non avevamo mai notato. Effettivamente la scena hc e tutto ciò che le è legato in quegli anni mi sembrava un rifugio e pensavo che potesse cambiare qualcosa… invece a partire da Interruzione non l’ho più vista come una fonte di cambiamento. Ho iniziato a essere disilluso, vedevo che i concerti erano solo eventi accanto ad altri eventi… non avevo più quel tipo di speranza.

Bitto: Io ho scritto solo un testo in Interruzione, che è quello dell’ultimo pezzo, “Interruzione pt. 2”. Anche quello parla di questi argomenti, nonostante non ci fossimo confrontati prima.

Emanuele: Il bello con Bitto è che molte delle cose di cui parliamo poi riemergono, siamo spesso sulla stessa lunghezza d’onda, si crea un’affinità. Poi devo dire, sto leggendo questi tre dischi anche un po’ a un livello autobiografico. Mito Ciclicità arrivava in un momento un po’ di stanchezza, non per quanto riguardava la scena hc, ma nella mia vita personale. Tante cose che si stavano ripetendo già da un po’. Interruzione ha aperto tutto un periodo di interruzioni, e Qui Ed Ora… eccomi! Comunque i tre dischi sono legati tra loro, a livello concettuale. Non so se quello di metterci tutta questa pretenziosità sia il giusto modo per fare hardcore, che dovrebbe essere un genere molto diretto. Ma è venuta naturalmente e quindi la accettiamo così, anche se a volte i testi danno fastidio anche a me!

Non penso che ci sia un metodo giusto e penso anche che sia un po’ la vostra particolarità, non vi avrei mai definito pretenziosi.

Emanuele: Mi fa piacere! Comunque Mito Ciclicità vuole descrivere una situazione di mancanza del nuovo. Un mondo chiuso e asfissiante che è quello del mito, dove vige la coazione a ripetere. Il disco doveva rappresentare metaforicamente il mondo del capitalismo spettacolare in cui ci troviamo. Interruzione doveva appunto cercare di interrompere un mondo come questo. Perciò i testi sono molto più espliciti e violenti. Ci si scaglia contro l’alienazione, contro il diritto, contro il fascismo, contro le guardie, la burocrazia, contro la volontà dell’uomo di eternizzare tutto. Doveva essere l’interruzione del mondo descritto in Mito Ciclicità. Per quanto riguarda Qui Ed Ora… non volevo fare una composizione triadica, tipo tesi antitesi e sintesi. Alla fine potrebbe essere anche venuta così, ma non è detto che non ne venga un quarto dopo! Qui Ed Ora comunque non doveva dare delle soluzioni, del tipo “il mondo bello dovrebbe essere così”. Infatti si sente un’afasia, una mancanza di parola. “Siamo singhiozzi che inclinano al silenzio”. Volevo descrivere la situazione in cui siamo, senza tutta la stratificazione ideologica che può dare false speranze. Per poter ricominciare qualsiasi tipo di lotta o azione penso che bisogni prima eliminare tutti i fantasmi che coprono la tua situazione, perché se li rimuovi soltanto riemergeranno poi da qualche altra parte. È come tentare di guardare con occhi “puri” l’abisso. Prendere questa pesantezza così com’è, è già un’emancipazione. Qui Ed Ora dovrebbe essere questo. Era partito in un altro modo in realtà, ma magari ce lo riserviamo per il prossimo disco! Avevo avuto un’idea sugli abitanti dei mondi intermedi, come gli aiutanti di Kafka o Tom Bombadil nel Signore degli Anelli. In quanto abitanti del limbo sono già redenti, non hanno mai subito la colpa. Qui Ed Ora indica in quella direzione ma viene un po’ prima.

Bitto: Interruzione era il momento in cui ho ascoltato tanto i Negazione e il metal. Era quindi un’interruzione anche a livello musicale. Ci siamo chiusi almeno sei mesi per scrivere quel disco. Prima le canzoni erano molto spontanee e disarticolate, invece lì per la prima volta abbiamo voluto fare le cose per bene. Una linea di continuità c’è, soprattutto nei tesi e nella voce…

Anche se la voce in Interruzione la trovo molto strana!

Emanuele: In realtà lì c’è stato un altro problema… tornavamo dal Fluff Fest, ero senza voce e Bitto mi ha consigliato di farmi i risciacqui di acqua e sale, che me ne hanno data tantissima! Abbiamo scoperto che il sale è vasorestrittore, restringe le corde vocali, e per questo mi ha dato tutta quella forza sulle note alte. Comunque la questione è che il motore dei Nofu è l’odio. Appena abbiamo fatto Mito Ciclicità, ed è iniziato a piacere a qualcuno, ci siamo detti: che schifo sta roba! Dobbiamo fare qualcos’altro. Interruzione ce lo hanno recensito delle fanzine metal e allora no, dobbiamo essere melodici e rock!

Ho una domanda per Claudio sugli artwork. Li disegni tu e quindi volevo chiederti se ti ispiri a qualcosa in particolare, se c’è un legame per te tra l’artwork e il disco.

Claudio: Mi ispiro a molte cose diverse. Fumettisti degli anni ’70 e ’80 come Moebius e Andrea Pazienza, pittori, illustratori. Non penso che siano molto legati alla musica che facciamo, li disegno in modo un po’ spontaneo. Vorrei che fossero qualcosa di poco visto nelle grafiche dei gruppi contemporanei. Pochi propongono copertine pittoriche oggi. Quella creatura che si vede in Interruzione, una specie di tentacolo che esce fuori dall’acqua, l’ho inserita perché c’era anche in Mito Ciclicità. Era un particolare per richiamare la copertina precedente ma in modo diverso, così come è diverso il disco.

Ora state partendo per il vostro secondo tour americano. Considerando che state organizzando tutto da soli, senza booking agent, in puro spirito d.i.y., è una gran cosa e dimostra che se ci sono la voglia, la passione e l’impegno, si riescono a fare tante cose anche da soli. Se vi va, raccontate com’è stato organizzarlo, trovare i contatti.

Bitto: Rispetto al tour che abbiamo organizzato in Europa è stato più semplice. In quel caso sembrava che alle persone non andasse molto di mettersi in gioco, erano più chiusi. Invece negli Stati Uniti appena conosci qualcuno, ti riempie di contatti. Il primo tour che abbiamo fatto lì lo abbiamo organizzato tramite passaparola, magari partendo da alcune pagine Facebook come “Texas punk hc”. Questo tour lo stiamo costruendo più o meno nello stesso modo, anche se abbiamo deciso di entrare un po’ meno in situazioni d.i.y. come quelle dell’anno scorso, dove abbiamo suonato nelle case, nei garage, ovunque. Quest’anno abbiamo spese logistiche molto più alte e quindi abbiamo puntato un po’ più sui locali. Negli Stati Uniti c’è questo cosa assurda del limite di età dei 21 anni, purtroppo quasi tutte le date stavolta saranno così. Comunque è stato ancora più semplice, perché stiamo andando in California, in Oregon, in Nevada e in Messico, non in posti come l’Arkansas!

Però anche l’anno scorso nella Bible Belt avete avuto un’ottima accoglienza, se non sbaglio.

Bitto: La cosa molto diversa è che qui in Italia il punk hc si trova spesso in situazioni politicizzate, al contrario di là, dove ai concerti puoi incontrare anche persone che hanno votato Trump…

Emanuele: Sì, o comunque là normalmente incontri persone che hanno votato Sanders, che va bene ma insomma, un punk qui in Italia non va a votare Pannella in ogni caso!

Bitto: Quindi lì non c’è l’aspetto della politica ma sentono molto il fatto di supportare la scena, il d.i.y., c’è questa rete di contatti che si aiutano molto tra loro. Il che è molto bello, anche se a volte vorresti fare quella domanda in più… solo una volta l’anno scorso ho incontrato un ragazzo molto intelligente a Pensacola, che suona nei Dark Star Coven, molto attivo in realtà come FoodNotBombs, a cui sono riuscito a chiedere come mai negli USA non esistono gli squat. Lui mi ha risposto che lì la proprietà privata è sacra, che se occupi un posto non puoi farlo pubblicamente, perché appena ti beccano ti mettono in carcere. Normalmente non si fanno questi discorsi, la situazione è di altro tipo, come a Birmingham Alabama…

Emanuele: Dove tra un gruppo e l’altro c’era la “spicy meatball fight”, ovvero chi partecipava doveva mangiare una polpetta ultra piccante, stare fermo per un minuto senza bere nulla e poi rincorrere gli altri e menarsi con delle spade di plastica!

Visto che abbiamo toccato questi temi… voi siete sicuramente parte della scena hardcore romana, però nello specifico suonate quasi sempre nelle occupazioni o in posti caratterizzati in questo senso. Come lo vedete il legame tra musica e idee libertarie?

Bitto: Sicuramente Emanuele c’è sempre stato dentro. Io ho avuto un cambiamento negli anni, adesso è un periodo in cui sono più legato a questi discorsi. Al di là di voler sostenere questi posti, è bello suonare in un contesto fatto di amici, dove non ci sono barriere… sono le situazioni che ci piacciono di più. Sai che se vai a suonare in un locale, il tizio ti paga e finisce lì; invece negli anni ci siamo fatti un sacco di amici in tutta Italia.

Emanuele: A volte sembra che suonando nei locali, dove non c’è connessione con le persone, perda un po’ di senso. Cantando te ne accorgi molto, perché sei più esposto. All’inizio del concerto in genere faccio un piccolo discorso, in cui dico che è bello stare in un posto liberato dove si cerca di scardinare la logica dell’ordine giuridico e delle merci. “Qui e ora, citazioni dal mondo che vorremmo”… ogni volta che pratichiamo l’autogestione, in quel momento stiamo mettendo in pratica quello che vorremmo, al di là dello svolgimento lineare del tempo. Ovviamente questo tipo di discorso si può fare in certi luoghi, zone autonome, squat… non si può fare ovunque. E già privarmi di questo discorso a inizio concerto è un po’ una nota negativa. Ci sentiamo più a nostro agio in determinati ambienti, insomma, per coerenza. Per carità, la musica deve avere uno statuto suo e tutta una sua dignità indipendentemente da ogni altro fine, però quando ti viene a mancare qualcosa il problema si pone.

Bitto: In spazi asettici, sia per come sono fatti che per come vengono gestiti, magari ti trovi bene dal punto di vista tecnico, si sente bene ogni strumento e cose del genere, ma se manca il calore umano non riesci a dare il meglio di te. Da come ti accolgono quando arrivi alle persone che sono al concerto… c’è professionalità ma non c’è scambio.

Emanuele: Il localetto poi mi mette a disagio, è proprio una cosa di pancia… sarà che noi ai Risto-pub di Latina ci abbiamo suonato una vita!

Bitto: Non è che la musica debba sempre essere politicizzata, ovviamente, ma questi giorni penso tra me e me che siamo in un momento storico in cui una posizione va presa. La gag di Salvini non fa più ridere. Penso veramente che ci stiamo avvicinando a una dittatura… prima magari ero più giovane e pensavo che ci sarebbero stati i “grandi” a fare le cose al posto mio. Ma adesso tocca a me, ecco. I 30 anni e il momento storico si sono allineati insomma… per cui ho voglia di suonare negli spazi in cui si portano avanti un certo tipo di discorsi, come l’autogestione e l’autoproduzione. Poi appunto, se capita di suonare nei locali non è un problema.

Spesso si dice che questa scena è un po’ in declino. Voi che suonate molto in giro, cosa ne pensate?

Emanuele: Non è vero, per quanto riguarda la scena punk è un momento floridissimo secondo me. Per la prima volta dopo tanti anni ci sono nuove etichette, nuovi gruppi, nuovi festival come il K-Town Hardcore.… a volte in maniera un po’ fighetta forse, ma il punk più rozzo è tornato quasi di moda. E questo ha riportato linfa vitale, attenzione maggiore. Anche a Roma è un momento buono, nel bene e nel male… non sempre questi gruppi ci piacciono, sia musicalmente che per attitudine. Se fai una cosa ultra grezza con attitudine fighetta, non hai problemi! Questo è il revival raw punk… poi ci sono da fare tante distinzioni, alcuni di questi gruppi mi fanno impazzire, altri sono solo simulacri di simulacri, dove magari neanche c’è sincerità ma solo arrivismo. Fatto sta che tutto ciò ha riportato grande attenzione, e se le cose si muovono è sempre positivo.

Bitto: La cosa che vedo è che spesso si dà troppa attenzione alla parte scenica e poca alla musica. A volte non si conoscono le radici di quello che si ascolta, e quindi si va avanti per manierismo e tutto risulta svuotato rispetto alle intenzioni originali. Come tanti gruppi emuli dei Sottopressione, ad esempio. Mi piacerebbe che oltre al fermento del momento si potesse parlare un po’ più di musica. Anch’io in passato magari ero così eh… un po’ qualunquista. A me poi la passione è venuta però.

Claudio: È pieno di gruppi, ma poi se li conosci non tutti stanno così in fissa con la musica. Se non ti piace così tanto, non farlo, ecco. Suonare questi generi è forse troppo facile, fai tre prove e suoni, nessuno ti dice di no… ci vorrebbe più gente come me che ti dice: lascia perdere, il tuo gruppo fa schifo!

Trovare etichette che vi co-producano il disco in questo momento è abbastanza semplice, quindi?

Bitto: Col fatto che suoniamo da un po’ di anni, non abbiamo molti problemi. Certo, con Interruzione abbiamo provato ad agganciarci anche ad un filone metal. Adesso sarà un po’ diverso…

Emanuele: Il fatto è che se sei indecifrabile non ti co-producono. Si ok strillano come i pazzi, ma non vanno veloci, non sono cattivi, che cavolo è? Il circuito, appunto, è un po’ oberato da questo raw punk…

Bitto: E noi abbiamo fatto l’opposto, come al solito. Abbiamo fatto una registrazione molto chiara e hi-fi, analogica. I pezzi sono molto melodici. Invece adesso vanno le registrazioni fatte male e i pezzi super violenti. Trovare etichette che capiscono quello che stiamo facendo, che riprendiamo da Kina e Hüsker Dü… magari in Italia è più semplice ma fuori non so. Ci piacerebbe avere poche etichette, se non una, che investano un po’ sul disco e che ci aiutino anche con i preventivi e cose di questo genere, invece di sentire mille persone come facciamo normalmente… anche se questo è il bello del “mondo punk”, come ho detto.

Visto che l’avete accennato, parlatemi di queste registrazioni un po’ atipiche. Sembra che vi piacciano molto i formati vintage! Avete fatto le cassette più di una volta, e ora le registrazioni analogiche. È una scelta legata al suono?

Bitto: Sì. Volendo far uscire un disco che suoni come quelli degli anni ’80, devi registrare come facevano loro.

Claudio: Ci piacciono quelle sonorità lì, e quindi quello era il modo migliore per entrarci dentro e per farci piacere anche quello che suoniamo noi. Lo ascolti e pensi “suona come vorrei che suonasse”!

Bitto: Poi è stata un’esperienza molto istruttiva, registrare con il nastro ti dà dei limiti. In digitale registri 80 volte, poi puoi aggiustare dei dettagli, puoi fare i copia e incolla. Invece in analogico hai il formato fisico, ogni volta che la puntina registra scava, quindi non puoi neanche ascoltarlo troppe volte perché c’è il rischio che perda di qualità. Lo registri un po’ di volte e poi te lo fai piacere insomma. Anche per sovraincidere, devi aspettare che il disco si riavvolga e non puoi sforare con i tempi, altrimenti rischi di coprire la traccia successiva.

Puntate a crescere anche per quanto riguarda la tecnica musicale?

Bitto: Sì, considera che questi pezzi sono molto più lenti rispetto a quelli del passato, e quindi abbiamo dovuto essere più precisi. Se vai a 200 allora la sbavatura non si sente… e in più registrando in analogico, è stata una sfida per noi.

Tornando al discorso di prima, ci sono dei gruppi di oggi che sentite vicini per quello che state facendo, con cui condividete tanto, sia musicalmente che non?

Bitto: Sicuramente con alcuni gruppi napoletani come i Radsters e i Motosega c’è un rapporto molto bello a livello umano e sono anche veramente validi. Anche con le Hyle di Bologna, con cui siamo andati in tour, abbiamo condiviso tanto. I Deaf, che sono metà Meatball Explosion e metà Antares, hanno fatto questo gruppo heavy metal che mi piace molto. Nella nostra zona i LVTN e gli Education senz’altro. Claudio poi sta in fissa con gli Small Jackets.

Emanuele: Gli ANF e i Negative Path di Palermo. Per quanto riguarda gli USA, i Silent Era di Oakland e i Waxed, fantastici. Sono un gruppo di Nashville che suona alla Black Flag e alla BL’AST!, non è facile qui trovare un gruppo che faccia quelle cose in modo personale.

Frase finale?

Tutti: Let’s kick some ass!