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LEON VYNEHALL, Rare, Forever

Mesi di ritorni elettronici di un certo peso, questi ultimi, dal Clark più orchestrale di Playground In A Lake all’Andy Stott in ottima e cupa forma techno-r&b di Never The Right Time. Nel mezzo, tra cambiamenti in progress e riconoscibilità, c’è anche Leon Vynhehall con Rare, Forever, marchiato per la seconda volta Ninja Tune, che è poi in pratica il suo terzo album. Il primo era stato Rojus (Designed To Dance), eloquente sin dal titolo e infatti sfacciatamente ballabile su fresche traiettorie house. Nothing Is Still, del 2018, addirittura un concept basato sulle vicende emigratorie di famiglia, aveva invece cambiato decisamente rotta, assecondando soluzioni d’atmosfera e la passione per i grandi compositori del minimalismo, da Philip Glass a Terry Riley, ampliando la palette strumentale, tra inserti neoclassici e tentazioni jazz.

Il producer inglese, di Brighton, trasferitosi a Los Angeles proprio come avevano fatto i suoi nonni arrivando a New York negli anni Sessanta, è adesso giunto probabilmente a tirare le fila di tutte le sue capacità in Rare, Forever, spirale discendente nella sua psiche, dice lui, così come nelle sue molteplici influenze. L’uroboro in copertina si adatta in maniera ottimale a linee di musica che riescono a fondere ritmo, nostalgia e sperimentazione in un moto senza limitazioni temporali, in un loop di rimandi esistenziali e sonori eppure con un forte slancio verso il rinnovamento che segue ogni assimilazione. Entrambi già ascoltati come primi estratti, “Ecce! Ego” è introduzione al pari sinuosa e sinistra, “Mothra” è uno slancio di infinite possibilità. Possibilità che, interiorizzate, animano i successivi episodi in scaletta, quando più riflessivi (i fiati sulle trame per l’appunto jazzy di “Alichea Vella Amor”, il downtempo comunque sia ossessivo di “Worm (& Closer & Closer)”, gli archi evocati nella fantasmatica “Farewell! Magnus Gabbro”), quando più fisici (l’irregolarità frammentata e frammentaria di “Snakeskin ∞ Has-Been” e “Dumbo”). Dal dancefloor alla ricerca, con un’eleganza non rivoluzionaria ma davvero rara. Speriamo, allora, per sempre.