LEE GAMBLE, Mnestic Pressure
A tre anni dal voluminoso Koch, il producer/dj nato a Birmingham sperimenta un approccio decisamente più dinamico. Mnestic Pressure, messo a confronto col suo predecessore, appare di sicuro più snello, ma i punti focali intorno ai quali la ricerca sonora di Lee Gamble si è sviluppata in questi anni rimangono gli stessi. Quest’ultima prova appare come un nuova riconfigurazione di quegli elementi con cui ha cercato di costruire una strada che attraversa in egual misura territori da dancefloor e realtà di natura più astratta. Strada che in questi tredici brevi pezzi diventa quasi più un vivace dialogo, sempre mutevole, tra accelerazioni jungle e fugaci stasi ambientali, tra geometrie non euclidee alla Autechre e ricorsivi fraseggi di synth acidi che riportano direttamente alla IDM anni ’90. Un lavoro estremamente sfaccettato in cui si passa facilmente dai classicismi urbani da vecchia scuola drum’n’bass di “Ghost” alle profondità ambientali da grotta sottomarina di “You Hedonic”, dai rompicapi ritmici di “Swerwa” e “UE8” agli accenni di blues elettronico di “A Tergo Real”. Nel mezzo c’è di tutto, e Gamble riesce a tenerlo insieme in uno svolgimento non solo coerente, ma capace di traghettare l’attenzione dell’ascoltatore attraverso le mille declinazioni di un percorso che a un primo ascolto potrebbe sembrare, a torto, eccessivamente dispersivo. A tratti malinconico e quasi introspettivo ma scevro dalle derive ipnagogiche utilizzate talvolta in passato, Mnestic Pressure non delude le aspettative e riconferma gli alti standard qualitativi a cui l’inglese ci ha abituato fin’ora.