Le Guess Who?, 7-10/11/2024

Utrecht.

Giovedì 7

Kim Gordon at TivoliVredenburg by Jelmer de Haas

Citiamo il benvenuto di Bob Van Heur, co-fondatore e lead-programmer di LGW?: Dopo i primi tempi, quando LGW? era diffuso in varie location di Utrecht, oggi sono giusto dieci anni che facciamo base qui al TivoliVredenburg. In realtà fu una scelta difficile e controversa. Eravamo, io per primo, molto scettici sul riunire in questo enorme edificio la maggior parte della programmazione del festival, ma proprio ora, a dieci anni di distanza, possiamo dire che fu la scelta più giusta per farci decollare definitivamente. L’invito che faccio a tutti è quello di lasciarsi guidare dalla curiosità, andate ad ascoltare i musicisti che non conoscete, quelli che in effetti nemmeno io conosco e che i curatori (Arooj Aftab, Bo Ningen, Crystallmess, DARKSIDE, Mabe Fratti e Hannah Elsisi con  il progetto Chromesthesia) hanno deciso di invitare e condividere con tutti noi; perché poi il fine di tutto questo è proprio parlarne, informarsi e avere cognizione delle infinite  possibilità che le musiche del mondo, di tutto il mondo, possono offrirci con ripetute poetiche epifanie… anche perché se non fosse per questo a che servirebbe all this fuckin’mess?!

È con queste premesse – e la consapevolezza che è assolutamente impossibile assistere all’intero programma – che ci siamo mossi già dal concerto inaugurale, schedulato h 18 nella gotica Jacobikerk, della giovanissima autrice e voce camerunese AstrØnne. Poi via di sala in sala, chiesa, hangar e club, rintracciando le nuove leve come i veterani. In primis l’emozionante set in quartetto di Kahil El’Zabar (Chicago, 1953) e a seguire Wadada Leo Smith, il concerto al fulmicotone di Kim Gordon in splendida forma come il maestro dell’avanguardia portoghese Rafael Toral, la mistica Amsterdam Andalusian Orchestra, l’ensemble di Liliane Chlela, il quartetto “world” Hizbut Jamm, il rock scuro e barricadero della band di WU-LU da Brixton, III Japonia & Masumi Saito, due fenomenali performer pazzi totali dal Sol Levante, il duo greco-giapponese Helen Papaioannou & Noriko Okaku, sofisticate, concettuali, intellettuali come poche, i lituani Merope, la festa nel deserto della band di Noura Mint Seymali, voce della Mauritania libera. Dunque questo e quel che segue è il resoconto di quello che siamo riusciti ad intercettare.

Venerdì 8

ASA CHANG & Junray by Tim van Veen

Il venerdì ha visto “prevalere” su tutti due live preziosi: il primo, Asa-Chang & Junray dal Giappone, è stato una vera gemma rara, inclassificabile meraviglia giocosa, a tratti commovente nel rivelare aspetti nascosti, intimi della “natura e del carattere jap”, merito del maestro dadaista percussionista e trombettista Asa-Chang (ex Tokyo Ska Paradise Orchestra) e dei suoi due giovani sodali, il multistrumentista Hidehiko Urayama e la violinista Anzu Suhara. Tutt’altra musica da Austin (Texas) per i Water Damage di Mari Maurice Rubio (More Eaze) con ospite al sax Patrick Shiroishi (Black Sun Sutra) nel clamoroso, definitivo live dal nuovo album “In E”… (terryriley meets glennbranca meets tonyconrad meets lamonteyoung, ndr), mentre trascurabile, seppure assai partecipata, “l’esibizione” pseudo-psichedelica dei DARKSIDE (Nicolàs Jaar, Dave Harrigton, Tlacael Esparza): un grande boh! Non mi hanno convinto nemmeno Actress, in balia del solito dinoccolato sintetico andazzo digitale, e Asher Gamedze con l’Another Time Ensemble, cioè il batterista titolare del progetto e ospiti eccellenti come Alan Bishop e Maurice Louca, ma a volte la somma di individualità forti non crea un amalgama coerente, in particolare se si parla di una sorta di jazz-rock (aiutooo) che mi è da sempre indigesto… però ammetto che in questo caso è veramente questione di gusti.

Sabato 9

Kevin Martin by Jelmer de Haas

Arriviamo a sabato con il primo concerto pomeridiano previsto nella Jacobikerk del quintetto di Ibelisse Guardia Ferragutti (boliviana, bisnonno piemontese) e Frank Rosaly (americano di origini portoricane), autori del celebrato esordio “MESTIZX” (termine che metaforicamente sta per un auspicato meticciato culturale e non solo) su International Anthem. Live che conferma tutte le entusiastiche pagine scritte per loro, proponendo una originale lettura in chiave elettroacustica dei canoni della musica tradizionale boliviana, brasiliana e oltre, perciò cumbia, bomba, plena, andina, senza tralasciare melodie decisamente inconsuete nel paradigma musicale sud-americano (e qui forse c’entra il lavoro svolto negli ultimi anni da Lucrecia Dalt) per liriche ballate dove l’incantevole voce di Ibelisse guida magicamente le danze. Si rientra nella “bolgia fragrante al curry” del Tivoli, all’interno dell’auditorium Grote Zaal per l’incipit della performance collettiva, della durata-monstre di 13 ore, “Chromesthesia – A millennium of Afro-diaspora Musicking and Migration”: una sequenza ininterrotta di concerti, scanditi in nove capitoli, di cui vanno segnalati almeno quelli del compositore e dj egiziano 3Phaz con le straordinarie voci di MSYLMA e Kukii (Yasmine Dubois/ fka Lafawndah), del duo astratto e ipnotico di Maurice Louca, della ginnica ed incendiaria performer ghanese PÖ, che non avrebbe sfigurato perfino in un episodio del ciclo “Cremaster” di Matthew Barney, senza dimenticare il soul politico del quartetto guidato dalla voce di Yaya Bey, figlia di cotanto babbo, il rapper Gran Daddy I.U. (Queens, Nyc 1968-2022). A questo punto, e siamo appena alle nove di sera, tocca veramente usare l’ascia per scegliere cosa ascoltare e cosa no, iniziando una frenetica serie di traiettorie fra scale mobili e scale non-mobili per i live dell’ensemble, allargato a un coro dutch, della violoncellista guatemalteca Mabe Fratti… insomma… Poi al Cloud Nine, venue su al sesto o settimo piano in cima al Tivoli per il gruppo dell’iraniana Sheherazaad… insomma 2… Ok, si scendono un paio di piani fino al Pandora per l’irresistibile rito gnawa tenuto da Asmâa Hamzaoui & Bnat Timbouktou (in assoluto la prima suonatrice donna di guimbri a esibirsi nel tempio della musica Gnawa al Festival di Essaouira edizione 2018, e c‘eravamo: fu un evento storico), con tre suonatrici di qraqeb-clacks accanto, un live entusiasmante senza un attimo di tregua. Finito, si corre per un assaggio di Dawuna, fragile neo-soul da Brooklyn, ma soprattutto si va in ChiesaGicobbe a pregare per il live di sua onnipotenza Kevin Martin: forerunner/foreigner con KMRU: due generazioni affiancate per una versione ultramoderna del suono ambient più dark, di cui Martin da anni è padrone e sovrano assoluto. Poco prima, sempre in Jacobikerk, non da meno erano stati il nostro Guido Zen/Abul Mogard e Rafael Anton Irisarri con un ipnotico set ad alto volume, un bordone di suono incessante che rimbalzava fra gli ampi volumi ecclesiastici e le navate immerse nelle luci blu-Klein. Si corre al Tivoli, al Ronda per la precisione, dove ci attendono i Demdike Stare, due vecchie conoscenze da Manchester: Sean Canty e Miles Whittaker, che prima, chiacchierando col pubblico, sembrano il gatto-e-la-volpe e quando salgono sul palco lo diventano per davvero con una miscela di elettronica surrealista corroborata da filmati d’epoca, espressione visuale di quella rivoluzionaria e insuperabile estetica novecentesca. Finiscono e si sale in quella che sicuramente è la sala più amata ed accogliente, non a caso denominata Hertz, con il sorprendente concerto di una artista nata al Cairo che avevamo visto qualche anno fa, ben prima del covid, al Berghain, dove aveva debuttato in Europa per il festival berlinese CTM: parliamo di Nadah El Shazly, allora “in-solo” ultra sperimentale e che qui ritroviamo in una rinnovata, sensuale veste con al suo fianco il super dj cairota 3Phazz (di cui abbiamo parlato poco sopra) e Sarah Pagè,  arpista del giro avant di Montreal, dunque un progetto con sfumature ampie che traggono origine nella musica classica araba per giungere a una elettronica dura e pura che proprio al Cairo ha trovato originalissima  linfa creativa in quel melting-pot che rende la metropoli nord-africana uno dei centri internazionalmente più rilevanti per la musica elettronica contemporanea. Al Ronda intanto sono partiti a razzo gli australiani Tropical Fuck Storm con la loro miscela vintage che attraverso echi di New York Dolls, B-52s, Zappa, Reed ci trasporta nei meandri insani e divertenti del vecchio Rock n’Roll. A tal proposito grande dispiacere per non aver potuto assistere al live dei loro compatrioti Party Dozen, sistemati il giorno prima in una venue assurda e fuori-mano r per di più coincidenti con il concerto di Asa-Chang & Junray, peccato!

Ciliegina sulla torta del sabato l’intera nottata al WAS, hangar/locale nella zona industriale di Utrecht, con l’ottava e ultima “esibizione” dell’anno (così ce l’hanno presentata) per il Maestro indiscusso della House, Theo Parrish (nato a Washington D.C. nel 1972, cresciuto a Chicago, esploso a Detroit nei 90s), con le sue alchimie sonore sempre up-to-date. Sei ore di musica e loop incandescenti, passando naturalmente anche per le riletture di classici di Nina Simone e Bob Marley!

Domenica 10

Arooj Aftab at Tivoli by Jelmer de Haas

L’ultima giornata cala quattro pezzi da novanta: dai “D.S.A. (Divided States of America) not anymore U.S.A.”, come li definisce prima di suonare Aja Monet (NYC 1987), bellissima, elegante ma piglio da poetessa di strada, anima jazz & soul di purissimo talento, che canta o legge poemi della cultura afro-americana senza paura di citare il genocidio della popolazione palestinese comparandolo ai crimini del colonialismo, “per esempio quello olandese”, o alle carneficine subite dalle popolazioni afro-americane e indiane native nel Nuovo Continente fino all’incubo della deriva politica degli, appunto, D.S.A.. Aja Monet, una scoperta magnifica e potente per chi non frequenta quell’ambito musicale.

Altra generazione – ma stesso carismatico talento – sul palco della Grote Zaal: il mitico compositore Brian Robert Jackson (Brooklyn, 1952), per anni in glorioso sodalizio con Gil-Scott-Heron, di cui traccia la storia con ricordi personali, aneddoti e devozione da amico fraterno, un concerto il suo che ci ha riportato ad una epopea musicale, quella di Chicago e New York dei Seventies con in primo piano la lotta per i diritti civili, un pezzo di Storia così straordinaria quanto tremendamente attuale “The Revolution will  not be televised”.

Non c’è tempo da perdere: il concerto della band di Meshell Ndegeocello è appena cominciato nella sala Ronda, con la presentazione dell’album-capolavoro No More Water: The Gospel Of James Baldwin, e allora dalle atmosfere funky del Brian Jackson Quartet ora ci si cala in un mood dilatato, stratificato a tratti decisamente psichedelico per la celebrazione laica dello scrittore newyorchese James Baldwin (1924-1987). I sette musicisti sul palco, di cui sicuramente citiamo alla voce Justin Hicks, Jebin Bruni alle tastiere e Chris Bruce in Telecaster Deluxe, sono su un altro pianeta e noi con loro per settanta minuti di musica che diventa esperienza e godimento totale. File under “concerti indimenticabili”.

Pochi minuti ed in Grote Zaal nuovamente immersa nell’immancabile luce Blu-Klein arriva una delle curatrici di LGW?, voce di velluto Arooj Aftab (1985, Riad) in quartetto: violino, chitarra acustica, contrabasso, batteria. Il suo album Night Reign è stato appena nominato ai Grammy e Arooj, a dispetto di un integerrimo e stiloso  total-black, occhialoni da star inclusi, in pochi istanti torna ad essere quella che avevamo conosciuto alla Biennale Musica di Venezia 2023: assolutamente una ragazza auto-ironica, divertente e dissacrante, canzonando anche il pubblico europeo che prende in genere troppo sul serio gli artisti sul palco arrivando a dire, testuale, se ora ascoltandoci aveste esperienze spirituali/meditative profonde… ah beh aiuto nooo, noi  le respingiamo al mittente! Sorry no, no, ok fate come vi pare, ma attenzione, questi musicisti qui con me ed io come loro, se non fosse per il culo del “talento”, si starebbe sicuramente a marcire tutti in prigione! Poi il concerto si sviluppa con modalità intensissime sui registri sofisticati della sua voce, naturalmente influenzati e trasfigurati dalla tradizione musicale pakistana qawwali, per la scrittura di composizioni sul tema dell’ineluttabile e sicuro fallimento di qualsiasi relazione amorosa, con qualche via di salvezza giusto attraverso l’alcool, il vino e il whiskey, in particolare con gli shot che Arooj offre ripetutamente alle prime file del pubblico fra un brano e l’altro. Grande!

Di questa ultima giornata vanno inoltre segnalati i concerti di artisti amati dalle nostre parti come: gli inglesi Ex-Easter Island Head Band, Klara Lewis nel progetto con Nik Colk Void, apprezzate in verità già lo scorso anno in quel del Klang/Hacienda di Cristiano Latini, il duo libanese/siriano Beduin Burger e certo l’inedito trio GAISTER, progetto formato da Coby Sey (synths, wurlitzer e voce) assieme ad Akihide Monna, batterista dei Bo Ningen, e la nostra sempre più brava Olivia Salvadori (Tutto Questo Sentire) che della sua voce soprano fa strumento assoluto. I GAISTER hanno presentato l’album d’esordio con Rashad Becker al mastering, uscito il primo novembre e  registrato a Reykjavik nei celebrati Greenhouse Studios.

Brevi considerazioni finali: LeGuessWho? è ormai il Festival di riferimento più completo non solo per le musiche avventurose, eterodosse oltre qualsiasi confine visibile ed invisibile, ma soprattutto, grazie alla formula di curatori indipendenti provenienti ogni anno da continenti diversi, offre la possibilità di ascoltare, conoscere e diffondere la musica da ogni angolo del pianeta, anche il più remoto, connettendo in tempo reale conoscenze e consapevolezza di questo disastroso momento storico. La musica non salverà il mondo ma può salvare ognuno di noi, dice qualcuno!

NB: durante le giornate del festival – sia fra il pubblico che fra gli artisti – si è subito palesato molto più esplicitamente rispetto all’anno scorso un forte sentimento di solidarietà con la causa palestinese, con le kefiah sempre più diffuse e indossate, bandiere, manifesti ovunque in città, proclami, testimonianze, che non si è attenuato neanche dopo l’aggressione ai tifosi israeliani avvenuta ad Amsterdam il 7 novembre (attenzione che nel giorno precedente i tifosi del Maccabi  Tel Aviv si erano resi protagonisti di numerose provocazioni culminate con il bruciare bandiere palestinesi in piazza Dam, aggressioni e slogan intonati anche al rientro come “IDF will f… the arabs. Why are school out in Gaza? There are no more children there”, video pubblicato sul sito del quotidiano Times of Israel.

La certezza è che 76 anni dopo la nascita dello Stato di Israele, politiche di apartheid nei confronti degli arabi-israeliani e della popolazione palestinese tout-court, ulteriori occupazioni illegali di territori palestinesi da parte dei coloni, tutto questo contesto storico se da una parte ha servito su un piatto d’argento ad Hamas il nefasto 7 ottobre 2023, dall’altra è altrettanto vero che di questo passo la catastrofe in atto è senza via d’uscita tranne nella remotissima eventualità di tagliare gli estremi e mettere ad un tavolo di negoziato le residuali parti “moderate” di entrambe gli schieramenti. Le artiste e gli artisti medio orientali con cui abbiamo parlato erano del tutto sconfortati ma schierati su questa ipotetica linea, mentre quelli americani, d’altronde, erano ancora tutti sotto hangover da elezione del fellone Trump. Un esempio?  Le lacrime di Kahil El’ Zabar dopo un concerto eccellente e l’invito dal palco a “restare umani, non rassegnati”. Il Festival è stato un successo, ma tutto il resto? No-Future, diceva qualcun altro.