LAWRENCE ENGLISH, Even The Horizon Knows Its Bounds
Otto movimenti, un solo titolo: Even The Horizon Knows Its Bounds ossia la più recente fatica firmata Lawrence English, compositore e sound artist australiano nonché fondatore della Room40.
Sensibile alle relazioni tra spazio e suono, architettura e vibrazioni acustiche, spesso ai confini tra materialità e impalpabilità, English rielabora i contributi forniti da un cospicuo numero di artisti per un’installazione sonora del 2022 alla Art Gallery of NSW, mutuandoli in una texture ambient-drone dal respiro profondo ed etereo (talvolta vicino al rumore bianco) su cui stilla note di un piano riverberato. Concettualmente ritroviamo anche in questo album i temi ricorrenti su cui English indaga ormai da molti anni: il rapporto tra l’esperienza umana e la memoria, e come questi elementi si intersecano all’interno e all’esterno di luoghi (naturali e artificiali) che fungono da scenari immutabili.
Da un punto di vista prettamente musicale, il disco non fa sobbalzare dalla sedia: l’espediente della melodia infinita al piano in tutta onestà è abusato e manca di personalità. Ciononostante da metà disco in poi l’interesse si alza notevolmente: English decide di allontanarsi dal piano e dedicarsi alla sola manipolazione sonora, offrendo una lezione rigorosa in merito a come costruire in studio texture di impeccabile eleganza.
“Place is an evolving, subjective experience of space”, scrive English e senza dubbio accogliamo il suo invito ad indagare sulle misteriose relazioni che intercorrono tra suoni e luoghi, corrispondenze sfuggenti che – se intercettate – raccontano storie di esistenze mutevoli nel tempo e nello spazio. Una ricerca, quella di English, monolitica nelle sue implicazioni concettuali che però il tiepido Even The Horizon Knows Its Bounds non riesce a riaffermare con la dovuta forza. D’altro canto, l’album può essere un invito ad esplorare l’articolata discografia di English, in cui non mancano certo le eccellenze.