LATHE OF HEAVEN, Bound By Naked Skies
Debutto direttamente su Sacred Bones per i newyorkesi Lathe Of Heaven, dopo una brevissima trafila composta da una demotape e da alcuni live che hanno attirato l’attenzione dell’etichetta di Caleb Braaten. Il mondo creato dai quattro è oscuro, in bilico fra il post-punk più malato e il synth-pop. In questo mix si entra grazie al muro di caligine di “At Moment’s Age”, quando il tono baritonale del vocalist ci rinchiude in una cantina nella quale resteremo sudati e scossi per l’intera durata dell’album. Influenzati dalla letteratura sci-fi (il moniker riprende un libro di Ursula K. Le Guin, in cui un medico sfrutta la capacità di un uomo di cambiare la realtà per mezzo dei suoi sogni) riecheggiano di oscurità e ritmo, e a salirci in mente sono i nomi dei grandi del passato – Esplendor Geometrico, Christian Death e Soft Cell – e quelli del presente, come SDH e Belgrado. Il suono è drammatico, violento e urgente quanto basta, ma anche rifinito, con una “Moon-Driven Sea” che potrebbe piacere, molto, a chi è cresciuto con il mito di Ian Curtis. I quattro sanno suonare, hanno una personalità e, parafrasando il titolo del loro album, il limite è solo il cielo nudo. Potenzialmente potranno attirare un pubblico eterogeneo, di sicuro il primo passo è stato fatto nella giusta direzione e il disco contiene dei potenziali classici (sentire “Entropy” e “The Faithful Image”). Ben fatta, Sacred Bones… ancora una volta…