LAMANTIDE, Lamantide
Rasoiate di suoni distorti e straziati aprono l’omonimo lavoro dei Lamantide, racchiuso in un curatissimo slimcase firmato Sibilla Graphics e Finger Prints, una bordata ai confini tra postcore, furia grind, math e deviazioni varie di scuola estrema. Le vocals si arrampicano su onde anomale e si contorcono tra sciabolate di chitarra, supportate da una sezione ritmica instancabile, che solo a tratti si placa per una momentanea tregua. Tanta violenza non appare fine a se stessa, anzi sembra esserci la volontà di darle un senso finito, di plasmare la materia per farne uscire le sfumature. L’alternarsi di furia e apparente stasi, più che riflettere le ultime tendenze, sembra ricordare l’idea di “post” propria di una macchina da guerra come i Burnt By The Sun. I fantasmi di Dave Witte e soci compaiono tra i molti ingredienti di questo lavoro, che nella voce ha come immediato punto di riferimento persino certo screamo, e affonda le proprie solide radici nella scena hardcore più coraggiosa, senza per questo negare frequenti rapporti incestuosi con metal e noise. Un disco transgender, quindi, non avulso da quanto già tentato in campo similare ma dotato di una personalità ben delineata e marchiato a fuoco da una passione pulsante, evidente da come la rabbia viene estratta dagli amplificatori. Tutto gira bene e si fa perdonare anche la rivisitazione di “O Fortuna” dai Carmina Burana, davvero ormai sfruttata in ogni modo, non fosse altro che per il giro di basso che ricorda una formazione seminale del crossover thrash/hardcore come i Détente e dona tiro al rifacimento in salsa core. Il resto è puro godimento, carneficina senza tregua e nichilismo iconoclasta per una manciata di minuti da vivere in apnea. Resta da vedere come i Lamantide sapranno evolvere e rifinire la loro formula senza rinunciare alla ferocia dimostrata oggi.