LACOLPA, Post Tenebras Lux [+ full album stream]
Vi avevamo già parlato dei LaColpa ai tempi di Mea Maxima Culpa (2017), che avevamo descritto come una discesa negli inferi della propria coscienza, quasi un rituale di espiazione nel corso del quale doom, sludge, black, ambient e noise si accavallano e sovrappongono in layer di puro dolore. Oggi vi presentiamo il nuovo Post Tenebras Lux e, per quanto possa sembrare difficile crederlo, si direbbe che la caduta sia proseguita verso punti ancora più bui e danneggiati della mente umana. Lo si potrebbe definire un processo di smantellamento progressivo di ogni certezza, che spegne anche le residue speranze di vedere una luce in fondo al tunnel.
L’obbiettivo dei LaColpa è ottenere una sorta di catarsi attraverso il dolore, consci che esistere vuol dire abbandonare ogni superomismo o volontà di potenza: l’unica salvezza per l’essere umano è accettare questa condizione ed elevarsi a martire ovverosia testimone del fallimento del divino. Per rendere questo concetto attraverso la sua musica, la band ricorre all’esaltazione del noise – l’errore per antonomasia – che si distende sull’intero disco per creare un’immagine distorta del doom, quasi ci si trovasse di fronte a uno specchio che riflette in modo deformato i brani per renderli ancora più sofferenti, ancora più oscuri. L’espediente funziona e l’ascoltatore viene catapultato in un paesaggio in cui ogni squarcio – seppur minimo – di luce è assente e lascia spazio a una coltre di ombre in cui si muovono lamenti e urla, frasi farneticanti e litanie, il tutto ricoperto da un fango maleodorante (la deriva sludge) che ne rende ancor più asfissianti gli effetti. A dar manforte ai LaColpa entrano in gioco dietro al banco di regia Dano Battocchio, Paul Beauchamp, Cecco Testa e, al mastering, tal James Plotkin, nome che qualcosa dovrebbe dirvi. Quando una melodia sembra farsi strada attraverso un vecchio disco lasciato andare in sottofondo (“Welcoming The Agony”), la band la fa interagire con il pianto di un neonato, rendendo il tutto – se possibile – ancora più inquietante. Di nuovo non si possono che citare tra gli illustri maestri Facedowninshit e B.S.oN. (Black Shape Of Nexus), già indicati come precursori di questa ricerca, ma il tempo passa e i mezzi per esprimerla si fanno sempre più raffinati e precisi nel sigillare ogni fessura con una varietà di soluzioni atte a rendere la discesa varia e mai uguale a sé stessa. La luce del titolo non deve fuorviare, l’unica è quella della presa di coscienza del rappresentare un fallimento vivente, un errore che cammina, a citarli: nessuna speranza. Nessuna salvezza. Colpevoli di esistere.