La strada dei McCorman
Con pugni, dita e fili incrociati riusciamo a mantenere la linea per raggiungere via Skype gli autori di uno dei dischi più brillanti e lucidi di questi ultimi mesi. I McCorman, trio formato da Stefano Calderano, Nicholas Remondino e Francesco Panconesi, sono riusciti a regalarci un vero e proprio viaggio immaginario in grado di emozionarci e scuoterci.
Ciao McCorman, grazie mille della disponibilità e dell’attesa! Voi siete formalmente al debutto con la recente uscita su Kohlhaas Records, ma suonate insieme da diversi anni, a quanto so eravate già attivi sotto un’altra nomea, Below-Fi, anche se non ho mai avuto occasione di ascoltare altra vostra musica oltre a questo disco. Cosa vi ha portato a questo cambiamento?
Francesco (sax): In realtà forse (dico la mia, che intervengano pure Nicholas e Francesco) è stato semplicemente il rendersi conto che il lavoro lungo negli anni alla fine aveva costruito della musica nella quale quel nome non suonava più.
Il nome McCorman come nasce?
Stefano (chitarra): Faceva parte di questa rosa di nomi che giravano un po’ tra di noi da tempo ed è un po’ una sorta di – non lo chiamerei nemmeno omaggio – ma la sua reference è Cormac McCarthy. Ci siamo palleggiati soprattutto “La Strada” come libro, poi il fatto della musica strumentale dà sempre un po’ di libertà, pensando anche ai titoli del disco, a i titoli “Meccanismi”, dove c’era una volontà precisa nel fare questa cosa, gli altri nomi hanno attinto anche ad una rosa di vari titoli che girano e giravano fra di noi.
Francesco: Soprattutto ci capitava di chiamare un determinato brano con diversi altri nomi sempre riconoscendolo, prima di metterlo scritto.
Stefano: Sì, “Whistle” lo abbiamo declinato per anni, almeno l’abbozzo del pezzo, a seconda della città dove fossimo. Se stavamo suonando o facendo residenza diventava fischi torinesi, fischi romani… Questa cosa doveva prendere una forma e anche se avevamo già girato con il nome precedente, potevamo permetterci di cambiarlo e trovarne uno che ci rispecchiasse un po’ di più in questo momento.
L’impressione che ho avuto ascoltando il disco è quella di un album parecchio notturno e quasi disabitato, però non so mai, soprattutto con certi suoni, quanto l’ascolto venga condizionato da titoli, comunicati stampa, imboccate che ci fanno fossilizzare su alcune immagini. Io posso ascoltare un disco strumentale del quale non ho nessun comunicato stampa ma una citazione di Cormac McCarthy, ma se per lo stesso disco trovo la dedica … in ricordo del mio gatto, lo scenario cambia completamente. Chiamandovi McCorman il campo di gioco lo avete già scelto ed è confermato dall’ascolto del disco. Leggendo i vostri curricula sembra però che le vostre esperienze divergano anche di parecchio, mentre insieme avete questo mood notturno. Vi chiedessero cosa fate con i McCorman, come potreste rispondere?
Nicholas (basso): Sicuramente abbiamo lavorato partendo da quello che ci accomunava come percorso in generale. Da un aspetto magari più improvvisativo, session di improvvisazione che ci hanno però portato a comporre delle cose, o comunque a delimitare tantissimo il campo, quindi muovendoci liberamente dentro a range molto ben stabiliti, diciamo che abbiamo cercato di trovare una via. Il fatto che avessimo nomi diversi, una storia che comunque si è evoluta tanto negli anni, ci ha fatto dire “ok, dobbiamo trovare una direzione che sia rappresentativa il più possibile del progetto”, tralasciando anche aspetti che magari venivano più dal singolo e dal gesto, arrivando a cercare un linguaggio comune, un terreno che fosse assolutamente tripartito, senza una prevalenza di qualcosa ed infatti secondo me sul disco si sente come i timbri si perdano e si mischino in un senso di fusione creativa, creandone uno unico e andando a giocare su contrasti, immersioni e i loro opposti. La forma lunga del primo lato del disco ed i momenti invece più brevi della seconda parte, tutto è stato guidato moltissimo dai luoghi dove facevamo queste residenze, in varie parti d’Italia, che sono state sicuramente molto importanti a livello evocativo. L’immaginario è come tu mettevi in risalto quello notturno, naturalistico e bucolico, ma in un senso minimale.
Francesco: Ho pensato un po’, forse proseguendo il discorso, quando facciamo musica insieme è un po’ una ricerca e il disco lo descrive bene. L’ordine dei brani lo descrive e mi vien da dire, “Filo Rosso”, dove ci sono tre fili, tre persone che si incontrano e cercano di far musica insieme, di ritrovarsi in maniera spontanea e partire da lì per crearsi un’identità insieme. Da lì McCorman, che è comunque il nome di una persona. Aggiungerei notturno sì, ma però non cupo… della notte, quello sì.
Stefano: Non posso che accodarmi. Vero che siamo stati molto influenzati dai posti dove abbiamo deciso di trascorrere abbastanza tempo assieme: questo è un gruppo che ha fatto diverse full immersion e la scelta di fare delle improvvisazioni andando molto a fondo (da musicista posso dire di come questo forse sia il progetto con il quale scavo di più) musicalmente. Scavo perché forse so di incontrarmi con loro in una dimensione molto profonda, sembra uno stereotipo ma forse questo avviene in un livello notturno, molto poco pensato, che si rispecchia anche nella necessità di dover metter ordine a un tratto (i tioli, il nome del gruppo). Abbiamo cesellato le cose senza porci un obiettivo iniziale, ma ci siamo resi conto (e sta succedendo tutt’ora) che il materiale che abbiamo tra le mani è super coerente e si può raccontare. Il lato A lungo e disteso, il lato B che col bisturi entra direttamente con le musiche.
Francesco: Mi viene da aggiungere anche, rispetto alla precedente domanda, che i pezzi non fossero proprio scritti. Voler registrare le improvvisazioni e poi avere il desiderio di raccontare quanto fosse successo risuonandolo è stata la magia di questo disco e mi è successo solo con loro, ed è incredibile.
Com’è nato questo disco? Quando avete capito che queste improvvisazioni avrebbero potuto prendere la strada della compiutezza?
Stefano: Prima di Marco di Kohlhaas in realtà noi avevamo pensato a una persona che questo disco avrebbe potuto produrlo, quindi registrarlo e riprenderlo. Abbiamo quindi chiesto a Giuseppe Ielasi, che sapevamo aveva preso questo spazio… lui non si dedica moltissimo alla ripresa, si occupa per lo più di mix e master. Gli abbiamo mandato delle produzioni di buon livello fatte da noi durante le varie residenze e una certa idea di composizione (le due facciate, la forma del disco). Le giornate di registrazione da Giuseppe sono state incredibili perché lui ci ha anche spinto a registrare molto dal vivo, cosa che noi per molto del materiale non avevamo considerato. Lui nelle filate del primo lato ci ha incoraggiato a fare queste improvvisazioni elettroacustiche che funzionano suonate, mettendo bocca su questa cosa qui, considerando quindi il suo contributo come una produzione di questo materiale.
Nicholas: Sì, diciamo che Monza, dove Giuseppe ha lo studio, è stato un altro luogo dove McCorman è stato, formandosi nella registrazione. La risposta che abbiamo avuto da Giuseppe Ielasi è stata quella di riuscire ad estrarre un suono che ci ha colpito moltissimo e lui è stato il quarto nostro elemento, trovando una via intelligente e cristallina per definire questo lavoro. Conoscendo gli spunti che dà in maniera continuativa sono state giornate molto vivaci e Monza è stata un luogo importante. Il suo studio sembra una succursale nordica in un territorio che non gli appartiene ed ha creato una dimesione, degli snodi che hanno portato a dare al disco questa forma, così come la magia che si era venuta a creare ad Alba nella nostra prima residenza, da dove tutto era partito, seguendoci nei diversi luoghi della nostra storia fino ad arrivare a Marco, del quale il buon Francesco ti racconterà.
Francesco: Sì, siamo riusciti a parlare con Marco di Kohlhaas che era entusiasta. Abbiamo iniziato a parlare di come far uscire questo disco ed il suo entusiasmo ci ha letteralmente travolti, molto prima, purtroppo per vari problemi, dell’uscita del disco.
Stefano: Una nota a parte, secondo me importantissima perché un altro dei nostri luoghi è la copertina di Fabio Barile, perché credo sia riuscito a donarci un immagine che a sua volta è un luogo fisico, notturno. Pensare ora a quella musica senza quell’immagine a me viene difficilissimo.
Confermo di come sia bellissima e perfetta come copertina, l’esatta espressione visuale della musica. Come ci ha lavorato? In corsa oppure ascoltando il disco terminato?
Stefano: No, in realtà lui ha ascoltato il disco ed aveva già quell’immagine, che aveva appena fatto. Ci aveva sottoposto diverse immagini e tutti quanti, Marco e Fabio compresi, convergevamo su quella. Lui ha lavorato tanto sulla mineralogia, le rocce ed i paesaggi naturali; questa è un po’ diversa da quanto fa di solito, comunica una calma incredibile, lui lavora con queste macchine super analogiche, con un’otturazione aperta millenni che riesce a raccogliere tutto. Quella roba lì è polvere e questo insomma è successo.
I luoghi dove McCorman va e lavora segnano le sue azioni. Dal 2021, quando avete terminato le registrazioni del disco ad ora, dove siete stati?
Stefano: Abbiamo suonato un po’ in giro questo lavoro, anche se siamo stati molto in attesa uscisse fisicamente, anche se poi siamo comunque partiti per diverse tournée in attesa del disco. Volevampo il vinile perché si sposava con la nostra idea dei pezzi e quindi abbiamo aspettato. Di recente abbiamo fatto una residenza dove abbiamo già lavorato a del materiale nuovo ed a breve partiremo per un’altra residenza a Roma, unita ad una data che a breve comunicheremo, la prima presentazione con il disco fisico in mano (siamo molto contenti di questa cosa). Suoneremo anche all’Aquila per le Terre del Sisma a settembre e questo per il momento è quanto.
Se doveste citarmi un disco che rappresenta tutti e tre?
Stefano: Woh, difficilissimo!
Francesco: Forse le playlist che faceva Nicholas in macchina, roba da tour.
Nicholas: In realtà si giocava sempre a mettere un brano ognuno ispirandosi l’un l’altro come ispirazione, un po’ come il telefono senza fili… pensando a un disco mi vengono in mente i vinili di Stefano, che guardiamo sempre tutti insieme.
Stefano: Sì, stavo pensando al momento in cui, in trio, ascoltavamo la roba di Hubro, questa etichetta norvegese. C’è stato un momento in qui eravamo “leggermente” in fissa, era il 2020, c’era il COVID.
Nicholas: A tratti era uscita questa cosa delle Microtubes, non so se vi ricordate, ci eravamo fissati su questo trio di tube microtonali, norvegesi se non sbaglio. Fanno questa cosa drone acustica superpiena e con i nostri vuoti ci starebbe benissimo.
Stefano: Quoto!
Francesco: Anch’io!
Abbiamo detto del disco. Secondo voi la musica va spiegata ed accompagnata oppure ha vita sua? Avete già avuto dei rimandi dagli ascoltatori?
Francesco: Il disco è uscito ed ha già avuto qualche recensione, ma, stranamente e sorprendentemente per me, abbiamo ricevuto moltissimi feedback da altri musicisti e e colleghi. Rimandi potenti, messaggi anche un po’ commossi, è stata una cosa che mi ha fatto pensare tanto, quindi sarebbe molto bello riuscire a guidare nell’ascolto con delle immagini che siano le tue, però sono consapevole che la musica è un suggerimento ed il viaggio che ogni ascoltatore fa poi alla fine è singolare. Anche quello che ci hai letto della recensione è bellissimo e mi ci ritrovo ma è una cosa tua. Non la immagino così, la leggo, mi risuona e dico “Sì, è vero?”, ma sono consapevole ci sia pochissimo controllo su quello che facciamo e ci sto.
Per il discorso dei molteplici feedback come vi comportate? Sono opinioni che possono spostare i vostri ragionamente iniziali oppure rimanete fermi sulle vostre idee rispetto ai brani? Riascoltate il disco?
Stefano: Questa è una cosa strana; lo ascolto spesso e mi sembra un lavoro maturo, non come molte cose che ho fato in passato, mi continua a risuonare molto.
Francesco: Sì, più dei moltissimi messaggi che ci sono arrivati è proprio il fatto di stupirsi e rinnovarmi nei momenti nei quali lo ascolto, mi ci rivedo e cerco di acchiappare cose che prima non ero riuscito a raccogliere e che mi rimandano a pensieri. Poi i feedback esterni ti fanno vedere diversi vissuti rispetto al disco e questo è bellissimo.
Stefano: Ad esempio noi abbiamo dato carta bianca ad Eva Castellucci per fare un video di un pezzo del disco. Lei ha scelto il pezzo e ci ha sottoposto un’idea. Noi abbiamo cercato di parlare con lei ed in realtà quello che è uscito è veramente la sua visione di quel pezzo ed in questo caso è molto più oscura di come la viva io, però è il suo viaggio.
Anche vero che, una volta composta e registrata, la musica poi diventa parte del viaggio di tutti, no?
Francesco: Un po’ anche quello che dicevi all’inizio, per i nomi ed i titoli. Uno può cercare di guidare l’ascotatore ma ognuno poi rimane libero di fare i propri pensieri.
Nicholas: È un disco dove, se ascolti la prima e poi subito l’ultima traccia scopri dei contrasti, dei chiaroscuri, in generale questi chiaroscuri possono tendere da una parte e dall’altra e possono pendere a dipendenza dell’ascoltatore. Al momento sto ancora sspettando ci arrivino i vinili e sono curioso di ascoltarlo così fisicamente.
Stefano: Idem, anch’io sono in attesa.
Francesco: Io li ho già ricevuti ed ascoltarlo girandolo a metà è una bellezza.
Stefano: Bastardo!