La scena hardcore di Umeå vista da qui (con l’aiuto di un local)
Il mio primo incontro con la scena di Umeå (se la memoria non mi tradisce) risale al 1994, quando con degli amici abbiamo deciso di far tappa a Bologna dove suonavano gli americani 108, gruppo di riferimento del cosiddetto Krishna-core insieme agli Shelter dell’ex Youth Of Today Ray Cappo. Avevo scoperto quei gruppi e la label Equal Vision Records grazie ad un paio di dischi e a un libro che mio fratello mi aveva regalato, ma poco o nulla sapevo del gruppo spalla, i giovanissimi Refused di Umeå (Svezia). Quel concerto mi ha in qualche modo segnato perché le due band avevano dalla loro una potenza e un’energia che un po’ cominciavano a mancare nei gruppi più in vista che ascoltavo, tanto che i miei gusti si erano spostati verso il noise-rock, che mi appariva più attuale e interessante. Fatto sta che la mia curiosità per quei giovani svedesi era salita alle stelle, aiutata dall’acquisto presso il loro banchetto di un cd intitolato Senseless a firma Abhinanda. Ecco, quel nome sarebbe tornato molto presto nella mia vita grazie all’amicizia con i ragazzi di Boundless Records e al mio successivo entrare nella label in qualità di terzo socio dopo l’uscita di uno dei tre fondatori. Proprio la Boundless distribuiva in Italia i cd della Desperate Fight Records, una piccola etichetta fondata da Jose Saxlund (cantante degli Abhinanda) e Dennis Lyxzén (dei Refused) per dare visibilità alla scena locale di Umeå, una quadratura pressoché perfetta. Se poi si aggiunge che avrei visto gli Abhinanda suonare dal vivo qualche tempo dopo grazie ai miei amici di Pescara con cui avevo messo su una piccola distro di demo e booking, la UTDcrews, colpevole anche di aver organizzato in città il primo Supebowl Hardcore… ma questa è un’altra storia che un giorno vi racconterò. Per raccontarvi questa, invece, ho chiesto aiuto proprio a Jose Saxlund (Abhinanda/Desperate Fight Records), che da qui in avanti ci darà una mano a comprendere quanto di quella percezione della città svedese come sorta di parco giochi per giovani hardcore punk fosse reale e corrispondente alle nostre impressioni. Non è facile raccontare a distanza di venticinque anni qualcosa che, ben prima di internet, hai vissuto a 3000 chilometri dal luogo in cui avveniva, per cui il suo aiuto come cartina tornasole fornirà una sorta di garanzia che questa storia venga riportata al netto di eccessive idealizzazioni o vuoti di memoria.
Jose Saxlund: Quelli sono stati tempi incredibili. Ricordo che amavamo ogni singola cosa facessimo e che avesse a che fare con la scena. Ogni singolo flyer, concerto o disco su cui abbiamo lavorato. Vivevamo totalmente per la scena, per l’hardcore e per il punk.
Come si diceva, sembrava esserci un’intima connessione tra le band svedesi e i loro amici e compagni di strada 108 con la loro label Equal Vision Records. Di certo, condividevano la filosofia straight edge e l’adesione ai principi vegan, oltretutto il nome Abhinanda era stato preso da un brano degli Shelter. Meno chiaro mi era invece una eventuale affinità con la filosofia Hare Krishna, visto che le band di Umeå sembravano prive di un vero background religioso e più interessate agli aspetti politici e sociali…
Jose Saxlund: Direi che eravamo tutti presi da quelle filosofie, alcuni più di altri, io ad esempio non ho mai approfondito troppo gli aspetti religiosi anche se in qualche modo mi affascinavano. Ricordo che durante il tour con i 108 ci fermammo in vari templi lungo la strada e ci colpirono, soprattutto il cibo. Ai tempi non era facile trovare cibo vegan durante i tour in Europa. Direi che ciò che chiami la parte politica e sociale fosse più la nostra missione e in nostro messaggio. Comunque adoravo girare con loro, davvero delle gran persone con cui abbiamo condiviso molti momenti divertenti e vari concerti memorabili.
Di sicuro, i dischi dei gruppi della Desperate Fight Records e gli Abhinanda in particolare ebbero un forte impatto su di me in quel particolare periodo, soprattutto nel riavvicinarmi ad una politica locale attiva fatta di coinvolgimento nel creare luoghi di aggregazione e nel sensibilizzarmi riguardo a determinati aspetti etici e sociali (seppure la svolta vegetariana sarebbe avvenuta solo dopo un decennio abbondante). Per cui ho chiesto a Jose se anche lui, guardando indietro, ritenga gli Abhinanda e la sua label connotabili come entità politiche, non tanto nell’aver abbracciato una precisa ideologia quanto nell’aver promosso determinati principi. Avevo anche l’impressione che, in generale, l’hardcore europeo fosse più consapevole e coinvolto dalla società rispetto a quello made in USA.
Jose Saxlund: Direi di sì, in questo caso non posso che confermare la tua impressione su di noi. Non vorrei, invece, fare paragoni con gli USA, anche se molte delle band statunitensi che ci hanno ispirato condividevano punti fermi e filosofie simili, penso a nomi quali 7 Seconds, Youth Of Today, Outspoken, Four Walls Falling, solo per fare qualche esempio.
E sempre di sicuro, le band svedesi mi davano l’impressione di avere un’idea molto precisa di cosa dovesse voler dire avere una scena locale, con la label che funzionava da casa per le band di Umeå e dei paesi vicini. Ci immaginavamo la città come una sorta di parco tematico per chi faceva parte del giro, con show sempre affollati e centinaia di persone coinvolte, ‘zine, posti dove organizzare concerti e in più la neve. Ma era davvero così o questa era piuttosto una nostra idea un po’ ingenua? Anche qui, Jose mi aiuta con la sua visione da interno.
Be’, direi che alla fine era davvero così, magari non per un periodo di tempo troppo lungo, ma abbiamo realmente vissuto alcuni anni intensi, con tutto quello che potevi sognare. In realtà, non ho mai amato la neve, ma per il resto ci siamo…
Gli Abhinanda, dal canto loro, avevano un approccio unico, un gusto particolare che coinvolgeva la scrittura, i testi e le grafiche. Non appariva per nulla il classico gruppo stereotipato come quelli che ormai cominciavano a stancarmi, ma erano capaci di evolversi disco dopo disco senza perdere mai un aggancio con il proprio percorso. Da Senseless all’ultimo The Rumble (1998), passando per l’ep Neverending Well Of Bliss e l’album omonimo del 1996, un po’ come per le altre band di casa Desperate Fight Records e gli amici Refused (che, però, per la label di casa hanno inciso solo all’interno delle compilation SXE As Fuck di cui parleremo in seguito), riuscivi sempre a trovare un dettaglio personale, una caratteristica che ne rendeva immediatamente riconoscibile il suono rispetto al resto dell’hardcore in circolazione e di sicuro riuscivano a non convergere tutte verso un’unica via di fuga legata alla scena locale. Ogni band aveva la sua caratteristica. Ma eravate consapevoli di questa percezione o adottavate qualche “ingrediente segreto”?
Non credo che utilizzassimo qualche “ingrediente segreto” come lo definisci tu. Eravamo solo dei ragazzi ingenui che amavano l’hardcore e facevano la loro cosa. Non credo neanche che ci pensassimo troppo al tempo.
Non deve essere stato semplice registrare e andarsene in tour con gli Abhinanda e i Separation (altra band in cui militavi) mentre mandavi avanti una label che al momento era sotto i riflettori, soprattutto se pensiamo che l’hai fondata insieme a Dennis (Refused), un altro nome con uno scadenzario pieno. Come riuscivate a mandare avanti le cose in modo efficiente?
Non lo facevamo (ride, ndr), lavoravamo venticinque ore al giorno, ai tempi vivevamo e morivamo per la scena, ci siamo goduti ogni minuto.
Una cosa che al tempo mi aveva colpito molto e che mi aveva fatto apprezzare e scegliere, tra le molte realtà locali attive al tempo, proprio la scena di Umeå, era un approccio aperto e decisamente inclusivo. In quel periodo, metà anni Novanta, molte band del giro straight edge, da non aderente alla loro filosofia di vita, mi apparivano infatti più dedite ad imporre i loro principi che a diffonderli, finendo così per creare come dei circoli esclusivi, mentre quelle svedesi mi sembravano più rilassate e pronte a stringere amicizie, cosa che mi faceva sentire non giudicato e ben accolto. Per quanto mi riguardava e senza volerne a chi invece la pensava diversamente, hardcore e punk erano più legati all’idea di libertà d’espressione e eguaglianza, così come al concetto di inclusione che non a qualche codice o comportamentale prestabilito. Lungi da me voler innescare polemiche, semplicemente questa era la mia sensazione e per questo le band di cui stiamo parlando mi apparivano più vicine al mio sentire. Anche su questo aspetto chiedo a Jose se la mia impressione fosse fondata.
Anche qui hai ragione, il giudicare non era mai la nostra cosa. Noi eravamo interessati a far capire alle persone come ci fossero altri modi per affrontare la vita, senza per questo volerglieli spingere a forza in gola.
Tra le prime uscite della Desperate Fight Records che arrivarono a casa mia grazie ai ragazzi della Boundless c’era il primo volume della compilation SXE As Fuck, che aveva raggiunto una buona popolarità all’interno del giro hardcore mondiale e si era imposta come il vero manifesto della scena di cui parliamo. Un risultato che non credo la label e le band coinvolte avessero preventivato. Parleremo più espressamente delle singole realtà presenti su quel primo cd, ma è indubbio come la varietà di nomi coinvolti e le differenti proposte, pur nell’affinità di vedute e di intenti, offrissero lo spaccato di una comunità tanto coesa quanto capace di differenziarsi e lasciar spazio ai singoli senza richiedere una unicità di linguaggio per esprimere l’appartenenza o la provenienza geografica. Chiedo a Jose come venne accolta al tempo la compilation.
Non credo ci aspettassimo un simile riscontro, noi abbiamo fatto quello che ci veniva naturale e gli ordini sono cominciati a piovere. Avevamo buoni riscontri soprattutto in Scandinavia (Norvegia e Svezia, ovviamente) ma anche in nazioni come la Germania, il Belgio, l’Olanda, la Spagna, la Francia e la Polonia. E, poco dopo, anche l’Italia si accorse di noi.
Il roster della label era composto, come detto, da band capaci di colpire l’ascoltatore con una proposta personale e mai troppo unitaria, così – a fianco dei già citati Abhinanda e Separation – i primi a trovare spazio nei miei ascolti erano stati i vampiri Shield, autori dell’ep Build Me Up… Melt Me Down e dell’album Vampire Song, entrambi in grado di unire una base hardcore moderna con melodie malinconiche e atmosfere nordiche ricche di pathos, per un effetto straniante e difficile da riscontrare in quel periodo anche grazie a testi distanti dai classici anthem dei gruppi old-school. C’erano poi i Purusam, il cui linguaggio risulta davvero difficile da descrivere per via di una forte venatura metal e un approccio quasi prog nella scrittura, con stacchi acustici, inserti di voci femminili e un cantante decisamente particolare. Capivi subito che erano di Umeå, ma erano anche quelli più distanti da ciò che ti saresti aspettato. I Final Exit (side-project con membri di Refused e Abhinanda) rappresentavano l’espressione più radicale della compagine, il loro era hardcore sparato dritto in faccia all’ascoltatore e senza fronzoli, proponevano brani veloci e che andavano dritto al punto ma non privi di una componente anthemica. Non si possono non menzionare le Doughnuts, formazione tutta al femminile poi presa sotto la sua ala dalla americana Victory Records e che raggiunsero una discreta visibilità grazie ad essa. Ma erano davvero molte le band prodotte dalla label, per cui è impossibile citarle tutte. Chiedo a Jose se è ancora in contatto con qualcuna di loro. Ad esempio gli Shield che adoravo.
Per quanto mi riguarda, purtroppo con gli anni ho perso di vista la scena e le band coinvolte, anche perché come dicevamo, si è trattato di una stagione tanto intensa quanto limitata nel tempo. A dirti la verità, non so davvero cosa sia successo loro. Vorrei dirti che siamo ancora in contatto. Vedo qualche update di qualcuno sui social, ma non so molto di cosa accada nelle loro vite da quando mi sono trasferito da Umeå intorno al ’99.
Anche gli Abhinanda, purtroppo, dopo aver realizzato The Rumble si sono fermati o, comunque, hanno smesso di registrare dischi. Ho sentito di qualche reunion show nei primi Duemila con concerti in Svezia e Giappone.
Credo, semplicemente, che sentissimo di aver detto tutto dopo The Rumble. Passare così tanti anni dentro un furgone e in studio, andare in giro in tour e registrare può essere duro per tutti. Così, abbiamo deciso di fermarci per non rovinare la nostra amicizia. Abbiamo suonato un paio di reunion show, uno ad Umeå, nel 2004 credo, ma anche un tour in Giappone nel 2010 (più un concerto di riscaldamento a Stoccolma prima di partire). Abbiamo anche registrato un brano per una compilation giapponese prima del tour.
Prima di congedarlo, chiedo al mio prezioso gancio per questo articolo se è ancora interessato all’hardcore e se cerca ancora nuove band o dischi…
Direi di no, amo davvero l’hardcore e ascolto i vecchi dischi, qualche volta vado ai concerti. Ma non sono più in contatto con la scena così tanto da scoprire nuove band o cose del genere. Prima della pandemia attuale, ero solito andarmene a Los Angeles un paio di volte l’anno e mi vedevo qualche concerto. Il mio amico Andrew (Strife) mi portava a qualche piccolo evento in posti spersi nel nulla in California. Adoravo quei concerti.
Nel salutarlo e ringraziarlo per gli spunti e le conferme, gli chiedo se ha qualche consiglio da dare a chi ancora è parte della scena e si sbatte per mantenerla viva…
Grazie a te, gli unici suggerimenti sono di credere in sé stessi, di divertirsi, di lavorare duro, essere pazienti e non fare gli stronzi. Sia nel suonare in una band che nella vita in generale. Abbiate cura di voi la fuori e restate hardcore.
Direi che è tutto, spero a qualcuno abbia fatto piacere riscoprire questa piccola storia locale, espressione di quella connessione tra luoghi geografici distanti ben prima di internet ma non per questo meno efficace nell’unire persone e realtà attive in ogni parte del pianeta. Magari in futuro torneremo con il racconto di qualche altra realtà che meriti di essere ricordata.