La rigenerazione di Alos
Conosco e ascolto Stefania da una vita, da che ho memoria e ho iniziato coi dischi. Intervistarla per quella che è a tutti gli effetti un’immersione nella natura e in una poetica arcaica – il suo ultimo album Embrace The Darkness – è stato un piacere e un onore. Ad uscirne è un ritratto di un’artista in perenne movimento ed alla ricerca del suono e del risultato che esso può avere quando utilizzato con criterio.
Ciao Stefania, come stai? Ho provato a ricordare la prima volta che ti vidi sul palco ma gli anni stanno avendo il loro effetto sulla mia memoria. Ricordi confusi delle Allun all’Off Fest al Leoncavallo, Ovo al Cox18 ancora in trio con Jacopo Andreini, mi sembra con le Erase Errata, poi di sicuro come Alos a Sound Metak con Xabier Iriondo. Sono passati di sicuro 17 anni da Ricordi Indelebili ma, ad ogni produzione che ascolto (e con Embrace The Darkness questa cosa è uscita fortissima) sento qualcosa di nuovo, differente, che fatico quasi ad inserire nella categoria musicale.
Chi è ALOS? Negli anni hai perso un punto interrogativo e il prefisso signorina, ora ALOS è completa e rifinita?
Alos è una Creatura che quest’anno compie 20 anni: mi fa sorridere perché l’ho sempre considerato il mio progetto “nuovo”. La chiamo Creatura perché fin dall’inizio non ha avuto una collocazione ben precisa e fluttuava fra arte e musica, avendo come punti fondamentali l’essere da sola in scena (ora è normale vedere una persona che suona in solo, ma in passato era veramente raro, a parte nel folk) e il decostruire stereotipi di genere e bellezza. Queste caratteristiche sono ancora vive nel mio progetto, insieme a molte nuove. Il punto interrogativo ed il prefisso signorina continuano a esistere ma non sono più parte fondamentale del nome, compaiono o scompaiono a seconda della situazione o del mio umore… amo ancora il punto interrogativo, ma tra i social e le tante volte che l’ho visto storpiato in un flyer o su un evento, trovo ormai quasi naturale toglierlo.
Non so in che punto sono del mio percorso artistico, ma sicuramente so che sono quella di 20 anni fa con tanto vissuto e nuove imprevedibili fantasie artistiche che voglio intraprendere. Alcune sembrano impossibili, ma con calma e perseveranza lotto per renderle possibili. Rileggo e rifletto su questa tua domanda che non mi ero ancora posta, non so se ALOS sia completa ma sicuramente è più matura e tonda, ricca di tanti aromi diversi.
Queste tue pratiche artistiche in che modo si intersecano con la tua vita di tutti i giorni? C’è una distinzione chiara tra Stefania e Alos? Nel tuo contesto di vita, sociale, professionale, di vicinato, che tipo di curiosità, interesse, incomprensione ha comportato una pratica artistica libera come la tua?
Io credo molto nella frase il personale è pubblico, quindi ti risponderei che sono due anime che convivono in sintonia nello stesso corpo. Ti racconterei poi che negli ultimi due anni mi sono ritrovata spesso a fare dei piccoli rituali, in casa e per me stessa, o anche altre pratiche che prima mettevo in atto solo in scena. Mi piacerebbe rispondere all’ultima parte della tua domanda scrivendoti che non mi sono mai sentita incompresa, ma purtroppo non è così, quello che faccio crea tanto interesse e molte persone si innamorano e supportano il mio progetto, ma tantissimi continuano a discriminare un modo di operare così fuori dai generi, che cerca di far dialogare arti differenti e che non vuole essere incasellato in un genere o stile. Ogni giorno soffro davanti a queste incomprensioni o critiche, a volte anche offensive, a volte mosse anche da giornalisti del settore musicale (il maschile è voluto), ma sono caparbia e amo quello che faccio al di là del giudizio esterno e di quello che pensa la gente.
Pensando ad ALOS, come espresso anche in sede di recensione, la figura più attinente al tuo operato mi sembra essere quella della donna guaritrice, sperimentatrice, agitatrice, precorritrice. Storicamente queste figure potevano essere o venerate come sante o bruciate come streghe. Anche CHVE di Amen Ra nel comunicato stampa ti descrive come madreartista arcaica e strega moderna. Senti di essere connotata in questo senso verso un polo o un altro? Credi che una definizione mediatica ed artistica esterna possa influire sulle tue scelte e sul tuo operato come Stefania attraverso ALOS?
Spero di non suonare spocchiosa, ma sento sinceramente di rientrare nelle definizioni che hai detto e mi sono emozionata quando Colin (CHVE) ha scritto quella definizione. Sono molto consapevole di quello che sono e immagino che, in passato, una persona come me sarebbe stata arsa al rogo, perché donna, strana, forse strega e oltretutto queer, trovo importante rivendicare quello che si è. Almeno ora nessuno ci può più bruciare… non credo che definizioni esterne possano molto influenzarmi, siano esse negative o positive, possono al limite essere un input in più di una visione che già posseggo.
Se chiudi gli occhi e ripensi a Stromboli, al tuo soggiorno e al tuo lavoro in loco, cosa ti viene in mente? Cosa ti sei portata con te?
Ogni giorno faccio questa pratica e non solo chiudo gli occhi ma apro anche le narici e tutti i pori della pelle per rivedere, risentire e rivivere Stromboli. Un luogo magico con i suoi paesaggi mozzafiato, i suoi colori indimenticabili e l’odore misto di salsedine e bruciato. Quando sono andata in residenza a Stromboli, grazie all’invito del festival Marosi, era il giugno 2022 e da pochissimo l’isola era stata devastata da un immenso incendio causato dall’uomo, il nero della cenere e l’odore di bruciato sono due aspetti che si sono incollati in me, nel mio album e nel “Ritual II”. Da quella bellissima esperienza mi sono portata via la consapevolezza concreta di quanto l’essere umano sia distruttivo e dannoso per la natura, un’isola che quotidianamente vive a contatto con il fuoco è stata bruciata interamente da un piccolo fuoco acceso con superficialità da una troupe televisiva. Assurdo e orrendo. Voglio condividere con te alcuni ricordi stupendi, tipo tuffarmi da un catamarano di fronte alla Sciara del fuoco, in pieno mare aperto dopo ore di scatti fotografici, in un mare le cui acque sono di un blu mai visto prima e profonde più di 1000 mt, o poggiare i piedi su una sabbia nerissima e glitterata.
Stromboli non mi ha solo donato un nuovo lavoro artistico, ma mi ha fatto ritrovare me stessa e le mie forze, sono sbarcata che camminavo per tratti brevi, debolissima e con poca voce, sono ripartita piena di energia sia fisica che mentale. Oltretutto mi ha permesso di instaurare un legame credo indissolvibile con le persone che erano con me a supportarmi in questo progetto, il mio super team, composto da Giulio Di Mauro (fotografo e videomaker), Marcello Batelli (fonico) e Francesca Morello. Colgo l’occasione per ringraziare il team di Marosi per aver creduto in me e per la pazienza e fiducia che hanno riposto in tutti noi.
Com’è entrato Marcello Batelli sul materiale? Era con te a Stromboli ma che tipo di lavoro avevate preventivato per Embrace The Darkness?
Marcello è nel progetto fin dalle sue origini o direi anche prima, avendo noi già collaborato in The Chaos Awakening (il mio album precedente). Il dialogo fra noi è iniziato quindi molto prima che approdassimo sull’isola, insieme si è immaginato come poter attuare le registrazioni e insieme si è creato il tessuto sonoro del disco. Marcello si è procurato molti differenti microfoni in modo da poter registrare con metodi molto diversi, abbiamo registrato e poi anche mixato come se si stesse trattando del materiale cinematografico, decostruendo la metodologia di registrazione di un album musicale, ma seguendo una nostra drammaturgia. Quasi tutte le registrazioni sono state fatte in presa diretta e in natura mentre io compivo delle performance, dei rituali o forse dei duetti fra la mia voce e il suono della grotta, il vento, un canneto o il vulcano, sono state fatte delle registrazioni belle azzardate, spesso dall’esito incerto.
Rimane indimenticabile, per me, quella che si sente nell’ultima parte del disco, nel pezzo “Sciara Del Fuoco”, una registrazione fatta sul vulcano a 400mt, alle 7 del mattino accompagnati da una guida, immersi nella natura, io che vocalizzo e compio un rito illuminata dal sole appena sorto mentre suono uno dei miei oggetti di vetro su un’immensa roccia vulcanica, vetri trasformati e risignificati, scarti di opere d’arte dell’artista Argentina Silvia Levenson.
Ascoltando il disco in ambienti esterni mi è capitato di sentirlo aperto a includere i suoni circostanti, senza che questo comportasse stridore o fastidio. Lavorando su un concept e su un lavoro così immersivo credi che, anche come indicato nel libro, Embrace The Darkness si esprima meglio in determinati contesti?
È stata dura decidere se mantenere questo aspetto immersivo nell’ambiente naturale rendendolo protagonista o se far prevalere un suono più prodotto in cui la natura fosse solo un piccolo elemento. Tutti insieme si è scelta la prima via, forse più difficile all’ascolto e che ha reso il disco più ostico, non so, ma sono felice di questa scelta. Il mio intento è cercare di trasportare l’ascoltatore da un’altra parte, fargli dimenticare il luogo e il tempo in cui si trova. Penso che l’ideale sia che venga ascoltato con consapevolezza sia in casa che in natura, ma in uno stato emotivo di apertura e di interazione. Questo disco vuole dialogare con chi lo ascolta sperando che gli susciti emozioni e che magari lo aiuti in momenti di difficoltà o in momenti in cui si desideri benessere. Non so se succederà, ma lo spero molto, sarà qualcosa che chiederò sicuramente di farmi raccontare.
Embrace The Darkness è un disco ma anche un libro, da leggere dopo aver ascoltato il disco e seguito le tue precise istruzioni incluse (a pagina 5 dello stesso). L’intenzione sembra quella di voler condividere in maniera peculiare ed immersiva la tua esperienza.
È proprio così, lo accennavo anche nella mia risposta precedente, questo album non è solo un oggetto nelle mani di un ascoltatore passivo ma qualcosa di vivo e che vuole dialogare e interagire con chi lo ha fra le mani, può diventare una pratica o sollecitare a fare pratica condivisa. Suggerirei di aprire prima il libro, leggere le istruzioni per l’ascolto, riporlo di fianco a sé per finire di sfogliarlo dopo l’ascolto, o di sfogliarlo durante l’ascolto se proprio si vuole seguire un viaggio sia sonoro che visivo. Infatti il libro segue la stessa drammaturgia del suono, e a loro volta entrambi seguono quella del mio Ritual dal vivo, in cui mi immagino questa creatura (Iddu) che dalla Grotta Di Eolo lentamente sale sul vulcano e che quindi dalle profondità della terra e del magma esce all’aria aperta, dall’oscuro alla luce.
Credi possa essere fonte di ispirazione, rispetto all’isola e rispetto alla pratica artistica, promuovendo quindi un’azione nelle ascoltatrici e negli ascoltatori?
È esattamente così, chi ha voglia di mettersi in gioco praticamente può attuare un proprio ritual mentre lo ascolta.
Embrace The Darkness è nato dopo un periodo travagliato di salute per una brutta malattia. Quanto questo percorso ha scatenato il lavoro o lo ha direzionato? È una diretta emanazione, uno sfogo, un percorso autoterapico oppure altro ancora?
L’album esce esattamente due anni dopo l’inizio di questo mio periodo complesso, non ho scelto a caso la data, o meglio il periodo della sua uscita. L’idea è cercare di portare nuovi ricordi positivi in date che ricordano solo sofferenza. Purtroppo non ho avuto una sola malattia, ma due differenti malattie gravi a distanza ravvicinata, non mi imbarazzo a dirne il nome, perché mi sembra che nel mondo musicale o artistico, ma forse nella società odierna, si debba sempre nascondere le proprie fragilità. Io ho avuto un tumore al seno per cui sono tuttora in un percorso oncologico e a dicembre del 2022 ho avuto anche un’encefalite, le cui cause sono ancora oscure, che mi ha portato a un coma indotto e a una lunga ospedalizzazione, oltre che a un lungo periodo di degenza di cui sto vedendo la fine solo ora.
Questo percorso ha direzionato il lavoro, l’ha reso più denso e veritiero, l’idea era già nata ma ha preso vita e forma successivamente nel periodo più difficile.
Embrace The Darkness è sicuramente frutto di tutto il processo fisico ed emotivo che ho vissuto, mi ha ridato centratura, fiducia in me, oltre che guarirmi. Non ero sicura di riuscire a farlo quando sono partita per Stromboli (tra le varie conseguenze dell’intubazione ho avuto la perdita della voce per molti mesi) ma ce l’ho fatta, scoprendo nuove forme di scrittura musicale, vocale ed emozionale. Sono tanto emozionata nel vedere concretizzato questo lavoro e nel poterlo finalmente condividere.
Come ho scritto anche nel libro questo lavoro è dedicato alle persone fragili e spero che in qualche modo possa aiutare a farci sentire non sole e con un altro genere di forza.
Come stai ora?
Ora sto decisamente meglio, grazie, devo ancora conoscere pienamente questa nuova Stefania/Alos e sicuramente so che ho iniziato un nuovo percorso della mia vita, alla fine mi sono addormentata e sono rinata, ora mi godo questa nuova avventura.
«Darkness is not scary, it envelops, protects and embraces. It generates a pleasant feeling that transports you to the cave of Aeolus, a black womb that regenerates». Possiamo tenerlo come pensiero della buona notte?
Assolutamente sì.
Ti ringrazio profondamente per questa intervista veramente speciale.