La quinta giovinezza dei Voivod
Inutile perder tempo a presentare i Voivod, da sempre uno dei gruppi di casa da queste parti e dei quali dovreste ormai sapere tutto. Giunta alla soglia dei quarant’anni, la band canadese non ha alcuna voglia di tirare i remi in barca o giocare al risparmio: piuttosto, forte dell’accoglienza ricevuta dal precedente The Wake e da una formazione rodata con lunghi tour, sembra intenzionata a dar del serio filo da torcere anche alle giovani leve. A questo punto, era doveroso tornare sul luogo del delitto per farci presentare dal batterista Michel “Away” Langevin il nuovo Synchro Anarchy.
Ciao, è un po’ che non ci incontriamo, l’ultima volta è stata infatti al Frantic Fest del 2019. Partiamo quindi dalla situazione live, avete già suonato dal vivo o programmato qualcosa?
Michel “Away” Langevin (batteria): Abbiamo organizzato un tour europeo ma è stato spostato al prossimo autunno, per cui i prossimi concerti si terranno questa estate in Nord America, dopo di che verremo in Europa e di seguito vorremmo andare in Giappone, Australia, Sud America, insomma… un po’ ovunque.
Spero allora che ci rincontreremo presto, anche perché abbiamo un nuovo disco di cui parlare, un album brillante oserei dire. Ciò che mi ha più colpito, nonostante abbia apprezzato The Wake, è che in questo nuovo lavoro sembra di essere avvolti da una storia, trovo sia come immergersi in un fiume che ti trasporta in un flusso di emozioni.
Questo mi fa molto piacere, anche perché non si tratta in realtà di un concept album o di un’unica storia, ma è nato da differenti frammenti musicali su cui abbiamo lavorato per creare dei brani e in seguito costruire l’intero disco. Quindi, sono felice se siamo riusciti a creare un flusso continuo, anche perché è stato registrato in modo veloce, dopo di che abbiamo passato molto tempo durante la pandemia per costruirlo e trovare il giusto ordine lavorandoci al computer.
Vuol dire che avete ormai raggiunto una tale sinergia da riuscire a creare un grande disco pure restando poi separati.
In realtà abbiamo dovuto imparare a farlo, soprattutto per quanto mi riguarda. Durante il tour di The Wake, Rocky (Dominique Laroche) e Chewy (Daniel Mongrain) registravano idee sul loro computer usando Logic-Pro (software della Apple per musicisti, ndr), per questo quando siamo tornati a casa ed è arrivata la pandemia ho dovuto imparare a familiarizzare con esso e studiare come programmare la batteria per le demo. Così, ho colto l’opportunità per lavorare a dei beat post-punk con i tom e cose simili. È stata davvero un’esperienza interessante, anche se in realtà non vedevamo l’ora di ritrovarci insieme in un’unica stanza per registrare l’album. Quando finalmente siamo stati in grado di incontrarci per registrarlo lo scorso anno in giugno non eravamo completamente pronti, per cui abbiamo proceduto scrivendo e registrando allo stesso tempo, un’esperienza davvero intensa.
Quello che traspare da Synchro Anarchy è questa coesione tra i vari membri e come ciascuno aggiunga del suo. Ad esempio, Rocky con il suo stile dà un tocco personale alla scrittura.
Sì, ora abbiamo una grande chimica di gruppo e ci siamo trovati tutti tesi verso lo stesso risultato insieme a Francis (Perron, produttore, ndr) presso i RadicArt Studio. Per questo, credo che tutto suoni al posto giusto all’interno del disco. Per quanto mi riguarda ho utilizzato un grande kit della Gretsch che mi ha regalato Jason Newsted nel 2003, è come un tank, massiccio, e credo sia stata la scelta giusta perché la batteria suona potente. Siamo davvero felici dei risultati raggiunti.
Quando è uscito il vostro live ho intervistato Daniel e l’ho trovato davvero entusiasta di essere parte dei Voivod. Ci siamo scambiati le nostre esperienze come fan della prima ora e credo che questo sia un tratto che accomuna tutti i membri della band oggi.
È una sensazione che avverto molto forte. Io e Snake siamo amici da quando eravamo teenager mentre Chewy e Rocky sono fan della prima ora della band, per cui come dice Rocky per loro è un sogno in un sogno. Credo che per entrambi il primo concerto visto sia stato un concerto dei Voivod per il tour di Nothingface. Il bello è che sono fan di ogni periodo della band, per cui posso riconoscere nelle loro parti rimandi a Phobos e Angel Rat ma anche agli anni con Jason, in più c’è una sorta di vibe futurista che ci fa suonare come una specie di fusion metal. Apprezzo molto come le parti di Rocky e Chewy interagiscono nel suono, una specie di botta e risposta, come lo definisco io, per questo anche io cerco sempre di non partire per la tangente ma mantenere una strada dritta.
Ho trovato che l’album abbia una scrittura che comunque torna sempre alla forma canzone in qualche modo, non tirerei in ballo The Prow ma comunque avverto un retrogusto listener friendly. Non è mai troppo concettuale ma può essere apprezzato anche ad un livello più superficiale, se riesco a spiegarmi…
Si credo tu abbia ragione, c’è un che di catchy, apprezzo molto come Snake (Denis Bélanger) e Chewy hanno lavorato ai cori e con le voci, a tratti mi ricorda il periodo psichedelico di The Outer Limits. Credo che siamo tornati ad una linea prog/psichedelica ma cercando di mantenere un legame con il thrash metal in qualche modo. Tutti questi elementi sono presenti ma al contempo cerchiamo di muoverci verso nuove forme di espressività per restare creativi.
È impressionante che abbiate ancora questa spinta verso la creatività dopo così tanti anni, ogni disco dei Voivod continua ad avere il suo suono e la sua personalità specifica, non deve essere semplice.
In realtà, siamo fortunati ad avere la possibilità di esplorare diversi stili e differenti approcci, come un quartetto di archi su The Wake o il quintetto di ottoni per “The End Of Dormancy.” Il mio sogno è suonare con un’orchestra sinfonica.
A proposito della fine di The Wake, c’è un legame tra come finisce il disco precedente e l’apertura di Synchro Anarchy.
In realtà è stata una sorpresa, perché Chewy si è presentato con la struttura per il brano “Paranormalium” che utilizza una sequenza di accordi molto simile a quella con cui si chiude The Wake, per cui credo avesse in mente di creare un senso di continuità ed è stato logico usarla come apertura del nuovo.
Mi dicevi che questo non è un concept album dal punto di vista dei testi, ma mi chiedo se ci sia un qualche tema in particolare che li ha influenzati.
Quando ci siamo trovati insieme nel 2020 per provare, scrivere e registrare non avevamo un concept in mente ma, come sai, a marzo abbiamo avuto il lockdown: non avevamo più modo di entrare in studio così Snake ha detto che si sarebbe costruito uno studio in casa per poter continuare a lavorare all’album. Purtroppo, proprio come ha finito di insonorizzare una stanza, le restrizioni si sono fatte ancora più severe e non era possibile neanche incontrarsi in una casa privata, per questo, anche se non credo volesse parlare nello specifico della pandemia, penso che nei testi si possano avvertire l’isolamento e l’atmosfera che ha vissuto il pianeta. Questo anche nella musica e nei molti disegni che ho inserito nella confezione del disco. Purtroppo non abbiamo avuto altra scelta che venire influenzati dalla pandemia e dalle condizioni di lavoro in cui si sono trovate ad operare tutte le band che hanno composto dischi durante il periodo dell’isolamento sociale. Credo che un aspetto positivo sia che ora siamo molto più organizzati come band, perché alla fine la formula che abbiamo adottato si è rivelata estremamente efficace. Sono convinto torneremo ad usarla in futuro visto che ha reso più veloci i tempi di lavorazione.
Mi hai accennato all’artwork che purtroppo non ho ancora potuto vedere nella sua completezza. Ti va di dirmi di più?
Quando l’anno scorso siamo entrati in studio, era il periodo in cui sono iniziati i festival in Quebec, per cui suonavamo nel weekend e registravamo durante la settimana, il che è stato molto intenso visto che abbiamo organizzato molte sessioni in studio. Ogni volta, disegnavo qualcosa legato a ciò che stavamo registrando, ai testi dei brani e alla musica, per cui alla fine mi sono trovato con disegni collegati ad ogni singola canzone per cui il libretto è davvero molto ricco di immagini.
Come mai hai scelto uno sfondo nero per l’artwork?
Da una parte volevo ricordasse le vecchie incisioni, dall’altra credo che Synchro Anarchy sia più scuro come mood generale rispetto a The Wake. Anche se il fatto di suonare più diretto e il mix finale lo rendono a volte più leggero, nel complesso l’umore generale è più pesante del precedente. Così, quando abbiamo finito e ho messo mano alla copertina avrei inizialmente voluto metterci molti colori, ma poi ho pensato che sarebbero stati in contrasto con il suo contenuto. Così ho scelto il nero come anche per la foto della band nel libretto: volevo dare con l’artwork un senso di catastrofe imminente in linea non solo con il disco ma anche con l’atmosfera generale del pianeta.
Devo dire che, da fan della prima ora della band, vivere questo periodo distopico crea una sensazione strana. Sembra quasi che, pur non vivendo un’epoca post-nucleare, ci siano riferimenti ai vecchi dischi dei Voivod. Non trovi?
Non riesco a dirti cosa accadrà nei prossimi venti o trenta anni, ma credo che le parole di Snake su questo disco siano molto collegate al presente che è decisamente distopico. Durante gli anni ho fatto i conti con molti incubi collegati a situazioni come Chernobyl e Fukushima, dalle piogge acide al riscaldamento globale e così via, ma ciò che più mi ha spaventato è sempre stato l’avanzamento della tecnologia militare e oggi siamo di nuovo di fronte alla prospettiva di un conflitto nucleare, perché siamo nuovamente tornati alla guerra fredda. La seconda guerra fredda.
Nonostante la situazione o forse proprio per far sentire meno soli i vostri fan, avete deciso di realizzare un disco dal vivo durante la pandemia. Anche Synchro Anarchy esce con una versione limited contenente un live, da cosa è nata questa decisione e come avete scelto il concerto?
È un concerto davvero importante per noi, tenutosi a Jonquière nel nord del Quebec per i trentacinque anni di esistenza dei Voivod, pensa che abbiamo suonato nello stesso luogo dove si è svolto il nostro primo concerto. Così abbiamo deciso di chiamarlo Return To Morgöth. Quindi credo rappresenti un vero bonus per i nostri fan.
In questo periodo stai anche portando avanti un progetto con Eric Quach (Thisquietarmy). Come è nato?
Sono sempre stato coinvolto nella cosiddetta avanguardia e fin dagli Ottanta mi sono fatto coinvolgere in progetti di altri artisti, credo che la forte componente di improvvisazione presente nella scena legata alle avanguardie musicali mi aiuti ad espandere il mio stile e la mia tecnica. Con Eric abbiamo anche registrato uno stream live un paio di giorni fa che sarà online per tutto febbraio ed è stata un’esperienza davvero interessante. Cerco sempre di tenermi attivo con la batteria visto che mi aiuta a far uscire la mia ansia interiore, specialmente in questi giorni particolari. Io ed Eric ci siamo conosciuti ad un festival, il Redbull Drone Edition a Montreal, a cui erano presenti molti musicisti e durante il quale ero stato chiamato a fare una performance solista. Eric era presente e ci siamo conosciuti, in seguito ci siamo ritrovati a suonare in vari altri festival in cui abbiamo improvvisato insieme ed è nata l’idea di entrare in studio per registrare le nostre improvvisazioni. Ne sono uscite davvero tante cose interessanti che usciranno nel tempo.
Nel 2013 hai anche inciso un disco per la Utech Records intitolato Cities: credi ci sia un collegamento tra questi vari aspetti della tua produzione o sono momenti separati della stessa?
Credo ci sia sempre un collegamento, nel caso di Cities poi si trattava di suoni e musicisti che ho registrato in strada o nella metropolitana mentre ero in tour per il mondo con i Voivod. Ho sempre trovato interessante trovare e raccogliere suoni o anche registrazioni di musicisti di strada per poi combinarli insieme. Questa passione per la musica sperimentale mi influenza e mi migliora sia personalmente che nel mio modo di suonare con i Voivod e nei vari progetti cui partecipo. In quel caso poi c’era anche un legame specifico visto, che ero fisicamente in tour con la band mentre raccoglievo quei suoni.
Una sorta di cartoline dai tuoi tour.
Esattamente, ho anche realizzato uno o due disegni al termine di ogni giornata durante i tour e finiranno nel mio prossimo libro. La mia road-art dal 2008 al 2019.
Tornando ai Voivod, sembra che oggi stiate raccogliendo molto interesse sulla band, quasi si trattasse di una seconda giovinezza, come ti fa sentire?
Puoi chiamarla la quinta giovinezza dei Voivod (ride di gusto, ndr). Oggi, poi, siamo più famosi di sempre, che è una cosa fantastica ma dobbiamo sempre stare attenti a produrre qualcosa che sia all’altezza delle aspettative della gente nei nostri confronti. Il nuovo album doveva essere sullo stesso livello o anche meglio di The Wake, per cui ci abbiamo lavorato molto duramente.
Cosa ti porta avanti e ti impedisce di gettare la spugna? Come band avete vissuto varie fasi e siete stati costretti a ricominciare molte volte, con cambi di line-up eccetera. Quale è la spinta che ti ha fatto andare vanti?
Io sono stato nella band per trentanove anni finora. In momenti come l’incidente stradale in Germania nel 1998 o la morte di Dennis (Denis “Piggy” D’Amour) nel 2005, ho pensato che non avrei mai ricominciato di nuovo, ma è la parte del viaggio che mi tiene ancora qui. Attraversare il mondo per suonare la musica dei Voivod, incontrare vecchi e nuovi amici è ciò che mi fa andare avanti e che mi convince sempre a continuare con la band. In questo periodo mi manca tantissimo andare in tour, quindi incrociamo le dita che si possa ricominciare quanto prima.
Lo spero anche io, come ti dicevo all’inizio l’ultima volta che ci siamo visti è stato al Frantic Fest in una situazione decisamente rilassata e la cosa che ha colpito tutti è come voi siate sempre disponibili e non vi atteggiate mai da rockstar (ne ho parlato anche con Daniel Mongrain in sede di intervista, ndr).
Sì, ricordo bene il Frantic, giravamo per il posto e la gente ci diceva che non poteva credere fossimo così tranquilli e cordiali in mezzo a loro, a fare foto e chiacchierare. Siamo rimasti per l’intera durata del festival perché volevamo farci qualche bagno al mare, quindi siamo arrivati in anticipo e anche lo staff è stato davvero amichevole con noi. Ho veramente un bel ricordo.
Quindi sei ancora in grado di goderti un festival senza viverlo come un lavoro, ma con passione?
I festival sono perfetti per farmi conoscere nuova musica, l’ultima volta che abbiamo suonato all’Heavy Montreal ho visto i Gojira e mi hanno fatto impazzire. È stato anche fantastico per noi condividere il palco con vecchi amici come Testament, Megadeth, Exodus, Sepultura, Kreator e così via. Quando il thrash è esploso negli anni Ottanta eravamo parte di quella scena, avevamo intorno ai vent’anni e andavamo in tour per il mondo a divertirci, quindi è sempre bello ritrovarsi dopo tutto questo tempo.
Era una specie di famiglia. Purtroppo proprio ieri abbiamo perso Jon Zazula (talent scout e fondatore della Megaforce Records, scomparso il primo febbraio) ed è stato un po’ come si trattasse di un parente. Eravamo parte di una comunità abituata a restare in contatto con lettere, ‘zine, tape trading.
Verissimo e ora il thrash è tornato ad essere davvero popolare. Durante il 70.000 Tons Of Metal (festival annuale che si svolge a bordo di una nave da crociera), chiacchieravamo con gli altri musicisti e ci domandavamo tutti come mai fosse ancora così popolare, forse anche più di prima. Personalmente, credo sia collegato al fatto che il thrash parla molto di temi come la distruzione del pianeta, che oggi sono più importanti e attuali che mai.
Sì, credo che in questo periodo storico thrash metal e hardcore potrebbero vivere una seconda stagione d’oro, vista la situazione.
Assolutamente, a parte che il mondo va sempre più veloce, tutto gira a ritmi vertiginosi.
E ora cosa bolle in pentola, c’è qualche anticipazione che vuoi condividere con noi?
I prossimi due anni saranno davvero pieni, quest’anno a parte il nuovo disco, ci sarà l’uscita del film We Are Connected di Felipe Belalcazar e ristampe dei cataloghi Noise e MCA. Il prossimo anno cadrà il nostro quarantesimo anniversario, uscirà un libro e ci piacerebbe realizzare un best of. Sarà anche il ventesimo anniversario del disco che abbiamo realizzato con Jason Newsted e ci piacerebbe ristamparlo in vinile e cd. Facciamo tutto questo perché non diamo per scontata la lealtà e l’affetto dei Voivodians, per cui crediamo meritino sempre nuovo materiale della band, lo stesso motivo per cui nel 2020 abbiamo voluto realizzare un album dal vivo da offrire loro. Insomma ci impegniamo ad andare avanti.
Credo questo sia il motivo per cui alla fine si avverte una sorta di coinvolgimento reciproco tra la band e il suo pubblico, non sembra una mera situazione di ascolto passivo.
Lo spero davvero, grazie mille per queste parole e fammi aggiungere un grazie di cuore a tutta la Iron Gang (nome dei fan della band e dello storico fan club, che prende il nome da un brano di War And Pain, ndr). Ci vediamo sulla strada. Stay Safe.