LA MALA SEMENTA, La Mala Sementa
Vi abbiamo presentato da poco La Mala Sementa, il gruppo di musica sagra e canzone impopolare da balera (definizione loro) formato da un manipolo di volti noti e agitatori sonori. La parola agitatori in questo caso non la utilizziamo a caso o tanto per dare un tocco barricadero alla recensione, quanto perché ci sembra calzi a pennello vista la definizione che dà del termine il vocabolario Treccani: “chi eccita e infiamma gli animi con idee o dottrine nuove, rivoluzionarie o comunque ricche di fermenti”. Se, infatti, da un lato la voglia di comunicare e condividere si palesa nel piglio popolare e autenticamente folk della musica (aspetto che la rende perfetta per occasioni in cui le persone si uniscono e interagiscono a livello sociale, tanto che i La Mala Sementa si propongono di eseguirla dal vivo alle sagre, ai matrimoni e in tutti i luoghi in cui il vino la fa da padrone), dall’altro i testi sono pervasi da tematiche politiche e aspra critica a quel capitalismo che sembra oggi aver contaminato ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Proprio i testi sono il punto di forza di canzoni conviviali a cavallo tra canzoniere anarchico, Sud America e Balcani, atte a nascondere sotto forma di giochi di parole, paradossi e sfottò la triste rappresentazione di una società ormai lanciata a tutta velocità verso l’annientamento dei deboli e dei più bisognosi in nome dal profitto e del guadagno dei pochi. Perché a soffermarsi un attimo su parole cantate magari in modo lieve e festaiolo, annegate dal vino e dalla voglia di stordirsi, si scopre che pesano come macigni e fanno male, soprattutto fanno pensare a quanto la nostra esistenza si trascini all’interno di una continua bugia, tra promesse mai mantenute e verità distorte, fino a sbatterci in faccia le onde del mare e quei troppi cadaveri senza nome che riportano a riva. Il guizzo sta nel celarle all’interno di storie, spesso in forma di metafora, salvo poi far riaffiorare squarci diretti e sfrontati come quel paragone tra Genova e il Vietnam che si staglia come una sentenza. Eppure non manca mai quel tono sarcastico, amaramente ironico che evita il piangersi addosso e casomai suggerisce di prendersi un attimo di pausa mettendo a tacere i pensieri con del buon vino, almeno per il tempo di una festa o di una serata tra amici, perché nelle chiacchiere tra ubriachi a fine serata capita che nasca una consapevolezza pronta a squarciare il velo di menzogne propinateci sin da bambini. A mettere in note tutto questo, un collettivo instabile che vede in azione sul disco gente da Ulan Bator, Marnero, Breakbeast, Dor, Bologna Violenta e Ottone Pesante, che tra chitarre, piano, percussioni, archi e fiati finiscono per ricordarci l’orchestra del Titanic che continua a suonare mentre la nave affonda. Resta la tenue speranza che le parole de La Mala Sementa possano tener fede al ruolo dell’agitatore e accendano in chi li ascolta una scintilla di consapevolezza e di voglia di reagire allo stato attuale delle cose, anche se questa luce in fondo al tunnel appare sempre più distante e fioca. Sarà meglio a questo punto alzare i bicchieri e brindare, portasse bene.
Brindo a Confindustria che ha anche fatto cose buone, tipo fa la parte del cattivo di un cartone. Brindo all’occidente in decomposizione, brindo al dolore.