La gentilezza di Valeria Caputo
Quando Giulio Accettulli di Ribéss mi ha scritto per proporre a The New Noise la première del video di Valeria Caputo, mi sono catapultato dal nulla nel mondo dell’artista tarantina. Trovo sempre un privilegio potersi buttare così alla scoperta di qualcosa di conosciuto scoprendolo, immergendosi e cercando, per quanto sia possibile, di tramandarlo e consigliarlo a terzi. Non avevo dubbi, visti i precedenti con Aldo Becca (che su queste pagine presentò la prima parte di Dalì tramite Nazim Comunale), Pieralberto Valli, Houdini Righini e unoaduno, che l’etichetta di Santarcangelo di Romagna negli ultimi anni avesse lavorato più che bene. Ho quindi colto la palla al balzo, approfittando della gentilezza di Valeria, per farle alcune domande.
Ciao Valeria, come stai?
Valeria Caputo: Meglio, grazie.
Credo che per un’artista chiudere un disco e vederlo pubblicato, possa essere come per un genitore vedere un proprio figlio uscire di casa o come per un architetto vedere il passaggio delle chiavi di una sua opera.
Quando hai consegnato Habitat a Giulio di Ribéss come ti sei sentita? Alleggerita per la condivisione di questi sentimenti o preoccupata per come queste canzoni potessero essere lette?
Non sono assolutamente preoccupata di come i miei brani possano essere interpretati, forse perché non sono né un genitore né un architetto.
Non ho mai veramente “consegnato” il disco alla Ribéss, nel senso che quello di Habitat è stato un percorso condiviso con Giulio che è sempre stato al passo di tutti i momenti evolutivi della creazione musicale. In tutto questo mi sono sempre sentita fortemente supportata.
Ho trovato nell’ascolto del disco dei riferimenti per me lampanti ma che, a mente fredda, sembravano pure proiezioni mie personali, come Alex Infascelli o Mara Redeghieri. Trovo l’evocazione di riferimenti ampi sia segno di una sorta di costellazione artistica, forse perché temo il rischio della solitudine di un’unicità troppo spiccata. Che tipo di riferimenti artistici ti hanno accompagnato nella tua vita è come sono cambiati nel tempo?
Ecco, vedi? Non mi preoccupo di come i brani possano essere interpretati perché ognuno è libero di evocare immagini, significati e contesti in linea o divergenti dal proprio vissuto. I miei riferimenti musicali sono in continuo dinamismo. Tutto e chiunque può ispirarmi. Il bisogno di dire qualcosa diventa come una ruspa che scava in un terreno già bello che stratificato. Per me fondamentale è continuare a studiare e prendermi il tempo per elaborare quello che succede intorno a me e dentro di me. Amo ascoltare la musica tanto quanto amo il silenzio e i suoni naturali e i miei riferimenti non hanno etichette, li ritengo semplicemente autenticamente interessanti. Forse questo potrebbe essere il motivo per cui, musicalmente, non mi sono mai ripetuta, e qui subentra rischio di quella solitudine dell’unicità troppo spiccata di cui parli.
Mel e Taras. Mélanie Bonis e Celeste Fortunato. Vorresti aggiungere, consigliare o sottolineare qualcosa a proposito di queste sue figure a chi magari non le conosce o potrà incrociarle grazie al tuo disco?
Una mia alunna, qualche anno fa, mi fece notare come sul libro scolastico di musica non fosse presente neppure una rappresentante del genere femminile. Sai, si citano sempre Mozart, Beethoven, Verdi, Stravinskij… ma donne? Nessuna, neanche una cantante del Novecento. Grazie a quell’intervento mi resi conto di quanto fosse urgente intervenire. Colsi subito l’occasione per recuperare, preparando delle lezioni specifiche dedicate alla figura della donna nella storia della musica. Penso che sia davvero importante restituire alle donne il loro ruolo e la propria identità storica. Mi accorgo di quanto sia servito anche a me riflettere ed approfondire riconoscendo questo momento come un processo di radicamento con il passato.
Sono, così, arrivata al pensiero che il brano ”Mel” sia stata la mia reazione personale manifestatasi con la rievocazione di questa grande ma misconosciuta compositrice del tardo Ottocento (almeno in Italia). L’ho portata con me nel presente. Mi sono immedesimata così tanto nella sua storia e la sua musica mi ha toccato a tal punto che i confini tra me e lei sono diventati sfumati e nel testo le nostre vite interiori si confondono. Col brano “Taras”, invece mi sono esposta nel tentativo inverso, cioè quello di fermare nella memoria collettiva la testimonianza quanto mai attuale di Celeste Fortunato, eroica scrittrice e ambientalista impegnata fino alla fine per la causa della propria città, la bellissima Taranto tristemente nota per il processo Ambiente Svenduto. Questo argomento mi tocca da vicino, in inglese la chiamano hometown la città in cui si è nati…
“Riconoscersi” mi ha fatto letteralmente rimanere a bocca aperta, ascoltando un brano pop italiano gioioso, solare, mai scontato. Pratica che mi sembra vada a perdersi nel tempo. Che sensazione hai avuto una volta terminata? Che tipo di riscontri ti ha portato dalla tua cerchia più vicina?
“Riconoscersi” è un pezzo nato su un treno, forse anche per questo ha un ritmo così andante. Sul treno si è in tanti e bisogna convivere in poco spazio, ho notato che se si è gentili con l’altro si può davvero stare bene anche in situazioni di sovraffollamento… Ci sono situazioni traumatiche in cui si diventa davvero scortesi, non so se ti è mai capitato di prendere il regionale da Bologna verso Rimini (rientro pendolari). La gente sgomita e ho visto dei numeri davvero sgraziati anche verso gli anziani o i bambini. Questo forse perché le persone percepiscono che ci sia solo quella soluzione, sgomitare per salire sul treno a discapito degli altri. Se solo sapessimo essere più rispettosi molte cose cambierebbero nella nostra quotidianità.
Credo sia importante trasmettere messaggi positivi che aiutino a percepire la fiducia nell’altro. Viviamo in un mondo in cui la paura sta diventando un sentimento forte che crea divisione. Questa canzone è piaciuta molto agli animi solari che fanno parte della mia cerchia. Sono molto felice del bellissimo contributo vocale della cantautrice Fanelly, che ha dato quel tocco brioso che dona tanta energia al brano.
Taranto, Forlì, Ríbess, amicizie, affetti, composizione, il palco. Dove ti senti a casa in questo momento? Qual è il tuo habitat? Hai bisogno di persone al tuo fianco o riesci ad essere a tuo agio sola?
Bella domanda! Probabilmente non c’è una risposta univoca. Quando si sceglie di fare musica spesso si è spinti da una serie di motivazioni che possono alimentare sia l’aspetto individualizzante (es. la genesi di un’idea musicale) che la vita relazionale (la condivisione dell’idea). Luoghi chiusi: mi sento sicuramente a mio agio nello studio di registrazione, che per me è un luogo magico e che considero un’estensione della casa dove solitamente compongo la prima stesura dei brani. Nello studio ancora tutto può accadere, le idee musicali prendono forma e si definiscono fino a completarsi. Il palco invece è un posto molto difficile per me, c’è sempre una sfida diversa indipendentemente dalla città in cui mi trovo.
Luoghi aperti: amo le spiagge con le pinete. Adoro andare al mare alla mattina presto oppure al pomeriggio inoltrato. Sono momenti molto teneri in cui si può godere appieno della natura. Preferisco la compagnia discreta di chi, come me, rispetta l’ambiente che lo ospita.
Il genere umano da millenni propaga disastrosi interventi ambientali che sembrano portare il pianeta allo stremo, ma è in grado di agire per il meglio e produrre bellezza, arte ed armonia. Ha però giusto una lieve tendenza all’antropocentrismo grazie alla quale abbiamo probabilmente perso da tempo il senso della misura rispetto agli altri abitanti del pianeta. Credi che cercare di produrre il meglio da se stessi e dalle proprie capacità artistiche, come Habitat nel tuo caso, sia un gioco che valga la candela in senso più ampio e globale?
Credo che la musica abbia un importantissimo ruolo sociale e politico. Ho sempre concepito la musica come veicolo di messaggi che per me hanno un peso culturale. Questa volta con Habitat ho voluto essere più incisiva, evidenziando una tematica di attualità che mi/ci tocca più da vicino. La musica, poi, ha questa caratteristica, ovvero di parlarti direttamente e intimamente. Ognuno deve fare il proprio con i propri mezzi.
Forse è una presunzione, però, dal mio piccolo angolo cantautorale, spero di arrivare dove posso per muovere l’emotività, sollevare delle riflessioni e, perché no, delle discussioni su una serie di argomenti caldi che ci riguardano in quanto abitanti di un pianeta che condividiamo, che è di tutti.
Che cosa stai ascoltando, leggendo, guardando di bello recentemente?
Togli le scarpe prima di entrare in casa?
Grazie mille!
Ultimamente ho visto il documentario “Zappa” del regista Alex Winter, un bellissimo lavoro, che mi ha stimolato nell’approfondire il Frank Zappa meno conosciuto, quello sinfonico per intenderci. Sto facendo i primi ascolti di “The Perfect Stranger” condotto dal noto compositore francese Pierre Boulez.
Sto leggendo il libro Pino Daniele, “Tutto quello che mi ha dato emozione viene alla luce”, scritto dal figlio Alessandro. Un regalo di compleanno molto gradito perché ho sempre apprezzato Pino ma non mi sono mai addentrata nella sua storia.
Sì, le scarpe le tolgo all’ingresso di casa ma non cammino mai scalza anche se mi piacerebbe, sono troppo freddolosa.