LA CUENTA, Litanie Divorate
Tornano i La Cuenta con due lunghe composizioni fatte da un magma sludge-doom nero come l’abisso più buio e asfittiche anche nei testi, autentici inni all’assenza di speranza, finestre aperte su una società di antropofagi privi di qualsiasi umanità e dediti a sbranarsi a vicenda, ormai lontanissimi da ogni forma di pietà o scintilla razionale. Ciò che connota i La Cuenta è la mancanza della famosa luce in fondo al famoso tunnel, la negazione di ogni possibilità di rivalsa: solo la sconfitta e la rassegnazione sembrano reali in questa discesa nella dannazione terrena. Ovvio che la musica non possa contenere che suoni deformati e ridotti a brandelli, compressi e contorti come lamiere arrugginite, privi di qualsiasi afflato melodico che possa sollevare la cappa plumbea o alleggerire l’odore di decomposizione che ne permea ogni anfratto. Fosse tutto qui, saremmo al cospetto di un disco monocorde e simile a tante altre proposte, il che sarebbe quanto meno riduttivo, visto che all’interno dei brani si annida anche la voglia di osare e spostare il baricentro, variazioni sul tema in grado di destare l’attenzione e donare a ogni brano una sua precisa fisionomia. Così accade con il mood spacey che permea la parte centrale di “Litanie”, a renderla una sorta di trip andato storto, una versione rancida degli Hawkwind, pura psichedelia suonata da zombie cannibali. “Della Madre Divorata”, al contrario, si ciba di suoni minimali, di rumori che si fanno suono e suoni che diventano rumore, ma senza mai debordare o esplodere del tutto, in una lunga nenia funebre che finisce per lambire l’immaginario drone-doom nelle sue esternazioni più rituali. L’effetto è quello di una doppietta in grado di colpire duro anche gli stomaci più forti, una colata di liquami maleodoranti che conferma i La Cuenta come una delle realtà più intransigenti e nichiliste dell’attuale panorama nazionale. Welcome to Hell.