La Biennale Musica / Micro-Music, 16-29/10/2023
Venezia.
Si è conclusa con una appassionata quanto rilevante partecipazione di pubblico (19000 presenze) La Biennale Musica 2023 / Micro-Music, dedicata al suono digitale, alla sua produzione e alla sua diffusione nello spazio acustico, con artisti e performer provenienti da tutto il mondo: dalla Sierra Leone (Lamin Fofana) all’Australia (Alexis Weaver) e con un range generazionale di musicisti altrettanto esteso, dalla ventitreenne Lydia Krifka-Dobes al grande Morton Subotnick, che di anni ne ha appena 90. Due settimane ricchissime, partite con le prime esecuzioni italiane delle opere “Glia” di Maryanne Amacher e “As I Live And Breathe” di Morton Subotnick, concluse dai concerti di John Zorn (“The Hermetic Organ”) e dalla prima assoluta del live di Nicolas Becker e Robert Aiki Aubrey Lowe in arte Lichens. Nel mezzo si sono susseguiti artisti del calibro di Brian Eno (Leone d’Oro alla carriera) che con la Baltic Sea Philarmonic ha trasformato il progetto “The Ship” (inizialmente installazione acusmatica negli Studi di Musica Elettronica a Stoccolma e nel 2016 album edito dalla Warp) in un transatlantico di melodie melanconiche ispirate dalle tragedie della Prima Guerra Mondiale, lo statunitense Miller S. Puckette, 1959 (Leone d’Argento), matematico e musicista ideatore dei software Max/Msp e Pure Data, che consentono il trattamento dei suoni in tempo reale e la sintesi di segnali digitali acustici, e ancora il produttore tedesco Robert Henke ex Monolake si è esibito al Teatro Malibran con l’opera CBM8032AV concerto basato su un singolo processore da 8bit con una memoria di 32 kilobyte: autentica archeologia digitale!
I due Autechre (avvistati in pizzeria un po’ invecchiati ma sempre in forma, a seguire il perché di questa futile annotazione) sono stati protagonisti di un concerto musicalmente assai più ruvido e radicale dell’ultima prova in studio, PLUS: live immerso prima in un bianco accecante e poi nell’oscurità totale, loro invisibili a tutto e tutti (ma non a noi e al pizzaiuolo). Per contrasto raccontiamo dell’intensa ed ecclesiale prova nella Basilica di San Pietro a Castello di Kali Malone (organo), Lucy Railton (cello) e Stephen O’Malley (chitarra acustica, e-bow guitars) nell’esecuzione della composizione “Trinity Form” all’interno della sezione Stylus Phantasticus dedicata ai suoni degli organi veneziani: meditazione, messa laica.
La notte del primo fine settimana veneziano è stata letteralmente violentata dalle musiche e dalle azioni brutaliste del collettivo artistico olandese Sonic-Acts, cinque performance dal fortissimo impatto visivo ed acustico. Certo qualcuno è scappato in anticipo, ma il vaporetto che riportava gratuitamente – come ogni notte – tutti a casa era strapieno di un pubblico festante in una sorta di “Le Bateau Ivre” in Canal Grande.
Straordinaria l’opera immersiva presentata all’Arsenale-Teatro alle Tese di Brigitta Muntendorf, “Orbit-A War Series”, un sistema di spazializzazione a 32 canali di voci e testi tratti da interviste e reportage dall’Iran, dall’Afghanistan, dal Congo, dalla Polonia, tutto riguardante l’oppressione del femminile, accompagnato dalla potenza e dalla bellezza del suono di iceberg che si sciolgono nell’oceano. Di Fausto Romitelli (1963-2004), nostro compianto enfant-prodige, sono state eseguite – dal celebrato ensemble belga Ictus – le sulfuree composizioni “Professor Bad Trip” e “Lesson 1,2,3”.
Ancora in terra ferma a Mestre, al Teatro del Parco e a Forte Marghera nei padiglioni della magnifica fortezza ottocentesca, sono state allestite tre originali installazioni: “1195” dell’ecuadoriana Tania Cortes Becerra, dedicata alla Basilica di San Marco, poi, nel piazzale Divisione Acqui, l’installazione “Sounds Of Venice num. 2” di Andrea Liberovici e Paolo Zavagna, e al Forte di Anthea Caddy/Marcin Pietruszwski “Love Numbers”. Di tutte consiglio la visione e l’ascolto sull’esauriente sito della Biennale Musica, come d’altronde anche di tutti gli altri eventi e concerti.
Interessanti e sorprendenti anche i talk che sono stati organizzati riguardo la musica elettronica e digitale come Futurhythmachine, coordinato dalla romana Nero Editions: ospiti, all’interno dei moderni spazi della Biblioteca Archivio Storico delle Arti Contemporanee a Castello, Kode9 (Steve Goodman), il critico britannico Simon Reynolds e la scrittrice McKenzie Wark, argomento la rave-culture. Tornando alla musica, proprio Kode9 e Loraine James in Arsenale hanno dato vita a una notte di frenetico e gioioso dancefloor.
Al Teatro Piccolo Arsenale la giovane ma già celebrata compositrice Francesca Verunelli ha presentato “Songs&Voices” per sei voci ed elettronica, opera tanto matura quanto originale. Wolfgang Mitterer all’organo del Conservatorio Benedetto Marcello con “Requiem For A Beautiful Dream” e Marcus Schmickler, alle Tese, con “Glockenbuch IV” hanno rinvigorito l’aspetto più radicale della musica contemporanea con due opere efficaci e potenti, il primo agli organi a canne del Conservatorio, l’altro, al Teatro alle Tese, con un laptop aumentato dall’interfaccia NESS web, al centro di 25 casse acustiche, e noi ascoltatori con lui frullati in una tempesta magnetica fatta di echi e rintocchi di campane veneziane, quelle di Santa Maria al Carmine, tuoni, sequenze di turbine elettroniche, boati con la drammaturgia sonora di Julian Rohrhuber e la scenografia luci di MFO, notevole.
Da segnalare, nella grande ed austera Sala delle Colonne in Ca’ Giustiniani, Music for Surrogate Performer: qreti neuronali, in blister sigillato, tratte dal sangue donato dal compositore Alvin Lucier (1931-2021) hanno interagito con i computer, le percussioni e la batteria di Guy Ben-Ary, Nathan Thompson, Darren Moore ed Andrew Fitch, che con Lucier avevano collaborato negli ultimi anni, concependo la realizzazione dell’opera. Il pubblico si aggirava fra grandi sculture sonore composte da strumenti e tamburi incastonati in strutture di acciaio, citazione esplicita dell’installazione originaria “Music for solo performer”, che Lucier aveva concepito nel 1965. Il progetto, presentato a Venezia, indica possibilità e rotte compositive al confine fra scienza, arte, etica e filosofia ,evidentemente tutte da esplorare.
Il racconto inevitabilmente parziale, tanti erano gli eventi in programma, di Micro-Music non può trascurare le ultime due giornate: la prima, alle Tese dei Soppalchi, con le fulminanti performance concettuali di due giovanissime, coraggiose artiste: da Düsseldorf, Leonnie Strecker con “Terminal” e l’australiana Alexis Weaver con “Soft Matter/Hypersensitive Instruments”, entrambi nomi da tenere d’occhio. A seguire la “Notte di Battiti”, trasmissione culto di Rai Radio3 che da oltre venti anni indaga le nuove musiche dal mondo, serata condotta da Pino Saulo (anche in diretta radiofonica) dove sono stati presentati il poeta JJJJerome Ellis, poeta ma anche sassofonista, ai delay e laptop in un set magico, fragile, incantatorio che ha ipnotizzato l’attento pubblico del Teatro alle Tese. Rapido cambio di palco ed arrivano i loop, i sampler, l’elettronica inquieta di Lamin Fofana, che nascosto da grandi specchi ha presentato il suo nuovo lavoro “Shafts of Sunlight”. A chiudere ormai a notte fonda il trio composto da DJ Rupture/Jace Clayton all’elettronica dei suoi plug-in SUFI e i due virtuosi e blasonati pianisti David Friend ed Emily Manzo, per quello che, a mio sobrio parere, è stato in assoluto l’apice sonoro dell’intera Biennale Musica, cioè l’omaggio di Jace Clayton al compositore americano Julius Eastman (1940-1990), “Julius Eastman Memorial Dinner”. Una lettura tutto sommato assai fedele delle opere “Evil Nigger”e “Gay Guerrilla”, musica creata fra il 1978 e il 1980 nel contesto del minimalismo storico americano ma che da quello si discostava con una dose di espressionismo organico, come Eastman stesso lo definiva, intriso di tessiture armoniche travolgenti. Questo compositore afro-americano, voce di basso cavernosa, già collaboratore di Meredith Monk ed Arthur Russell, uomo dalla vita complicata e infine sfortunata, solo nell’ultimo decennio è stato riscoperto, entrando nei programmi concertistici di tutto il mondo. Immedesimazione fatale dei tre musicisti che lo hanno “portato” a Venezia, in quello che, più che un concerto, è stato un vero happening indimenticabile, arricchito dai surreali interventi video – in forma d’intervista – della cantante pakistana Arooj Aftab.
Nell’ultima giornata di concerti John Zorn ha presentato al Conservatorio Benedetto Marcello “The Hermetic Organ” (Tzadik 2011) e qui come spesso accade con i progetti del geniaccio di downtown NYC, settant’anni appena compiuti portati splendidamente, i pareri sono contrastanti: c’è chi lo adora incondizionatamente e chi, come il sottoscritto, no. Un bambino impazzito con i due organi della Sala Concerti avrebbe fatto di meglio ma gli applausi ed il gradimento di molti confutano questa mia – ma non solo mia – riflessione. La notte di domenica 29, a chiudere la rassegna all’Arsenale, un gran concerto di due fra i più acclamati musicisti ambient contemporanei: il francese Nicolas Becker e l’americano Robert Aiki Aubrey Lowe, il primo autore fra l’altro del clamoroso score del film di Darius Marder “The Sound Of Metal” (2019) e il secondo, ex membro dei mitici 90 Day Men, in seguito noto con il moniker di Lichens. Un concerto introdotto dalle note dell’arpa di Alice Coltrane e proseguito in un crescendo armonico, sinusoidale e spirituale, segnato dalla voce e dal synth modulare di Lowe e dalle macchine digitali, dalle percussioni, dai diapason, dal theremin di Becker, degna conclusione dell’edizione marcata dalle scelte avventurose del direttore artistico, la compositrice Lucia Ronchetti, che per il prossimo anno ne ha già in cantiere una dedicata alla Musica Assoluta.
Ecco come Ronchetti prevede La Biennale Musica 2024: “un cartellone di Musica Pura, musica strumentale, elettronica che non fa riferimento a null’altro che alla musica stessa. Linguaggio autoreferenziale con grandi concerti per orchestra, per quartetto d’archi, per pianoforte ma anche concerti con e di Intelligenza Artificiale, Musica Generativa, sostanzialmente musica che non ha bisogno d’esser verbalizzata. Un programma da costruire, un nuovo panorama tutto da immaginare”.