KRISTOF HAHN, Six Pieces
L’uomo degli Swans (e degli Angels Of Light) alla lap steel che mastica costantemente una gomma. Una specie di vecchio cowboy à la Unforgiven, non fosse che è tedesco. Questo suo album per Room40 di Lawrence English (notoriamente innamorato degli Swans, infatti ha preso sull’etichetta anche anche Norman Westberg) coltiva il sound che ha portato dentro l’ultima incarnazione live della band guidata da Michael Gira, impostata su volumi impossibili, ripetizioni ipnotiche e drone avvolgenti. Six Pieces è questo: minimalismo massimalista, poche soluzioni che investono il corpo sollevandolo da terra. La differenza con gli Swans sta ovviamente nella potenza di fuoco: Hahn da solo è molto più spirituale, a volte sacrale, a volte claustrofobico fino alla nausea. È scocciante, come nel caso di Westberg, dover mettere uno così bravo sempre in relazione con uno dei suoi gruppi, ma in questo caso è molto efficace il raffronto per avere una descrizione fedele di un disco che comunque il comunicato stampa dice esser nato dall’ultimo tour della band. Michael Gira è un’influenza generale per tutti quei musicisti (o sound artist) per i quali “atmosfera” non vuol dire “impalpabilità”: oltre all’ultimo English (o all’ultimo Aldinucci), basta pensare a Ben Frost. Qui ho l’impressione di essere di fronte a un grandissimo artigiano, qualcuno che magari non rimette in discussione le regole, ma che rimane un outsider e con l’esperienza e il talento ha imparato un mestiere, che è quello di portarci in un Altrove per una quarantina di minuti. Ci vorremo tornare spesso in quell’Altrove, mi sa.