KONGROSIAN, Colorless Green Ideas Sleep Furiously
“Viaggio al termine del dialogo”: così potremmo parafrasare il noto titolo celiniano (“Viaggio al termine della notte”) dopo essere caduti nel luna park alchemico di Kongrosian.
Costruzione a mosaico, imprevedibilità calcolata, dicotomia tra momento anarchico e funzione maggioritaria, glossolalia e lirismo: quando metterete su questo disco di Kongrosian provate a tenere a mente queste indicazioni estetico-musicologiche e non smarrirete il piacere di un ascolto tanto denso quanto fuggevole. Diviso tra le prime quattro tracce (in cui il trio di sassofoni Collodel/Lorenzon/Pilat si cimenta in momenti esplosivi contrapposti a situazioni sospese) e i successivi tre remix di Thomas Brinkmann, Daniele Papini e Cloud Of Illusions (che ripropongono frammenti di tre pezzi precedenti in ricombinazione minimal house, techno e rumoristica), questo lavoro potrebbe disorientare l’ascoltatore avvezzo alla monodirezionalità di genere. In realtà, il suo arco musicale è facilmente tracciabile, seguendo questa traiettoria: dal disarticolato all’informe, passando per pedali tonali e contrappunti blues, facendo compiere un’impennata ricettiva all’ascoltatore all’altezza di “Tensegrity part II” (Cloud Of Illusions rmx, traccia 5), dove si compie il rito di passaggio tra lato acustico e virata elettronica.
Il disco si apre con “Tidal Forces”, un dialogo fitto, vociferante e dialettico, ripartito fra tre diverse linee sassofonistiche che finiscono per approdare con grande naturalezza a un pedale tonale poderoso, in contrappunto ritmico e impreziosito da momenti solistici laceranti.
Gli succede “Mikrokosmos”: qui sono lirismo, fraseggio largo e cantabile ad imporsi in una sorta di corale.
Poi è la volta di “Tensegrity part II”, il pezzo più scuro e misterioso, un blues elastico e cangiante dal carattere interlocutorio che, conquistata una figurazione stabile, ama di volta in volta perderla e smarrirla, fino a dissolversi in una decelerazione graduale.
A chiudere il lavoro acustico del trio ci pensa “Freak Out”, composizione post-braxtoniana caratterizzata da nervosismi glossolalici e ultraframmentazioni delle linee armonico-melodiche.
Fin qui la rotta terrestre. Poi, con l’intervento dell’elettronica, si entra in una sfera vetrosa ed incandescente, non di questa terra. Nei tre remix i materiali vengono risucchiati e ri-proiettati su un altro piano sonoro, e si fanno schegge fluttuanti, memorie instabili, affioramenti precari, fino a giungere a una sorta di collisione deflagrante tra spazio del mondo ancora umano e temporalità della bolla cibernetica.