KONGH, Sole Creation
Più gli anni vanno avanti e più è difficile definire cosa sia il doom: se da un lato è più che giusto classificare con questo termine chi dei Black Sabbath ha fatto una ragione di vita, dall’altro non si può negare che il genere sia ormai andato ben oltre l’operato del quartetto di Birmingham e che a questo punto alcuni sottogeneri si siano estesi verso lande inesplorate e interessanti. I Kongh sono tra quelle band difficili da definire, perché fin dall’inizio della loro carriera hanno portato avanti il verbo dell’innovazione e della sperimentazione, ma senza perdere quella pesantezza dei riff tipica dei Padri Fondatori della Lentezza Pachidermica. I primi due album sotto Trust No One Recordings (Counting Heartblasts e Shadows Of The Shapeless) avevano permesso che il nome Kongh raccogliesse i consensi di chi, come il gruppo stesso, crede che gli Yob non abbiano ancora avuto tutta la fama che meritano (sebbene siano tutto tranne che degli sconosciuti). Con questo Sole Creation, però, arriviamo a un punto di svolta, che in parte conferma il mito della “maturazione del terzo disco”. Già nella title-track ci sono delle nuove aperture alla melodia, non totalmente insolite per i tre svedesi, ma di certo non il tipo di impatto che ci si aspetta da loro, tanto da temere la perdita della componente migliore della band: i riff monolitici e decadenti. Per fortuna questo rimane solo un sospetto, che viene smentito nelle tracce successive, decisamente più vicine al sound originario. Già dalla sola scelta dei suoni, appunto, si capisce che ci sono stati dei cambiamenti: le chitarre appaiono molto meno opprimenti e oscure e perdono anche quasi tutta la dissonanza tipica del debutto. Sembra che nell’insieme ci sia più “luce”, sebbene si viaggi ancora su territori non certamente “solari”. La copertina del disco rende bene l’idea: è un po’ come trovarsi nel bel mezzo di una foresta, camminando tra gli alberi e la radura, e incontrare questo enorme gorilla che ci guarda minacciosi, mentre la luna è alta e illumina tutto lo spettacolo. Ormai le parti progressive e psichedeliche sono messe sullo stesso piano di quelle doom, e non è un caso che in alcuni tratti ci tornino alla memoria gli ultimi Enslaved, che hanno fatto di questo tipo di approccio un marchio di fabbrica, in altri ambiti però (lo si può notare nella parte conclusiva di “The Portals”). Si finisce con “Skyming”, che, oltre ad essere la traccia migliore del disco, è anche quella che mostra in maniera più chiare la nuova veste del gruppo: i Mastodon di Leviathan sono parte sempre più integrante dei “nuovi” Kongh, sempre più vicini a sonorità “post” (non a caso il produttore di questo album è Magnus Lindberg dei Cult Of Luna). Viene ora spontaneo chiedersi se effettivamente, dopo un po’ di ascolti, sia questa la loro opera più matura o no: per certi versi lo è, nel senso che il sound è più ricco e variegato, ma questa (relativa) perdita di pesantezza rende a tratti preferibili le due precedenti fatiche. In ogni caso si tratta di un ottimo lavoro, di una release senza ombra di dubbio molto degna di merito, che non farà altro che accrescere la fama di questo trio, già assolutamente non indifferente.
Forse, se fossero stati americani, già starebbero sotto Relapse o Southern Lord, ma nessuno ci può dire che in un futuro, magari prossimo, non ci finiscano.
Tracklist
01. Sole Creation
02. Tamed Brute
03. The Portals
04. Skymning