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KODE9, Escapology e Astro-Darien

Qualche mese fa sono stato alla Biennale d’Arte a Venezia. Mi sono immerso nell’Arsenale, tra ingorghi di corpi e flussi indistinti, fino a cercare rifugio dalla calca in una di quelle stanze buie in cui vengono relegate le opere video e multimediali. Quegli antri che si aprono verso l’ignoto in cui fai capolino sempre categoricamente a metà della proiezione e non sai bene dove sei e cosa stai effettivamente osservando. Cerchi conforto negli altri presenti, ma la confusione regna sovrana. Approcciare e ascoltare Astro-Darien mi ha fatto provare la stessa esatta sensazione di spaesamento, solo che stavolta sono nel mio salotto e non sono accerchiato da una famiglia di olandesi tutti uguali.

Una metafora artistica non casuale. La nuova creatura di Kode9 è infatti un progetto non solo audio che si palesa come un macrocosmo di esperienze multimediali con un fulcro concettuale che assomiglia a un sogno febbricitante. Si parla di un game designer, della sua simulazione geopolitica e della ricerca di un futuro alternativo che prende la forma di un esodo planetario lontano dal capitalismo e verso un nuovo habitat extra-terrestre. Una visione nata nel mezzo delle scorribande sulla costa scozzese del fondatore della Hyperdub, frammenti di ansie post-pandemiche e post-Brexit incapsulati in una proiezione uscita dalle sinapsi al silicio di un’intelligenza artificiale. Un violento marasma concettuale e sonoro nato per venire riprodotto e vissuto specificatamente all’Acusmonium di François Bayle (e il suo sistema immaginifico di 50 speaker), come se fosse una vera e propria installazione capace di unire suono e immagini. Il primo capitolo a vedere la luce è stato Escapology, pensato come esplosione melodica della matassa distopica partorita da Kode9. I bordi dell’opera sono etichettabili come IDM, ma trasversalmente troviamo breakbeat profondissimi che tagliano le tracce, affiancati da stilettate ai limiti della jungle che risultano essere i momenti migliori del disco (come in “Angle Of Re-Entry” e “Lagrange Point”). Il resto dell’orizzonte è confusione electro-tribale, amnesie ambient e randomiche elucubrazioni di voci digitali che non lasciano spazio a nemmeno mezzo secondo di distrazione: perdi il filo per un nanosecondo e sei fuori. Traccia dopo traccia la fruizione si fa sempre più perniciosa, e il tutto diventa più sfocato e irraggiungibile. Le premesse gargantuesche del concept cozzano con una realtà che è prima di tutto una dispersione di scintille sconnesse e di affanni post-umani cosi distaccati e “oltre” da spaesare totalmente durante l’ascolto.

Andare a cercare lumi nella sovra-struttura di Astro-Darien, uscito negli ultimi scampoli di 2022, vuol dire trovare poche risposte, ma in compenso nuovi dubbi. La sonic fiction di 25 minuti dovrebbe fare da Stele di Rosetta, da cuore pulsante dell’opera. Qui si trova la parte più narrativa, un viaggio composito che vive di echi e frammenti sonori che creano una bolla digitalmente psicotica. Strada facendo, però, la perdizione è quasi totale, e le poche certezze rimaste si sgretolano di fronte all’ennesimo muro di suono invalicabile. Ma forse è questo il fine ultimo di questo nuovo progetto di Kode9: destabilizzare, suscitare scomodità, rivelare angoli affilati come coltelli. La durezza dei suoni ricalca il disagio del presente, apparecchiando un futuro che però non sembra diverso da quanto stiamo assaggiando oggi. Al netto degli obiettivi, però, si ha la limpida impressione che stavolta Steve Goodman abbia sparato a salve, dimenticandosi di essere davanti a un pubblico. Quello che rimane alla fine dell’esperienza sono molte sovrastrutture e pochi picchi: un’opera certamente figlia degli ultimi, bui, anni, un’esperienza sonora complessa che però alla fine si lascia dietro un puzzle con troppi pezzi mancanti. E io mi ritrovo a sorridere vacuamente a una famiglia di olandesi dagli occhi azzurri in una stanza buia.