KHALIL, The Water We Drink
Quando in redazione è arrivato il disco d’esordio di Khalil, ne sono rimasto colpito fin dal primo istante. Il motivo è semplice: non riuscivo a inquadrare il sound in alcun modo. Ma andiamo con calma e partiamo dall’inizio.
Khalil è il danese Nikolaj Vonsild: se il nome non vi dice molto, vi consiglio di cominciare a conoscerlo. È attivo in almeno due progetti: è il frontman dei When Saints Go Machine, interessante band synth pop che ha già pubblicato due album e una serie di ep, ed è la voce dei Cancer, duo acustico che crea atmosfere pacate e lievemente ombrose. Come Khalil, invece, Nikolaj si fa accompagnare da Villads Klint (trovare maggiori informazioni sull’internet è stato impossibile) e da Simon Formann (anche lui danese), meglio noto come Yen Towers (nome già orbitante intorno a Posh Isolation) e come chitarrista degli ormai sciolti Lower (formazione indie rock approdata su Matador nel finale di carriera).
The Water We Drink, esordio del terzetto, si concentra sul tema dell’acqua, sul potere che essa ha di ricondurre l’uomo a un rapporto diretto con la natura e con se stesso, in maniera sensuale e spirituale. Proprio come l’oceano, in perenne movimento e mai in grado di fornire un solo volto, il sound di questi dieci pezzi ribolle e non resta mai fermo, combinando poesia, ritmo e melodia.
Le lontane basi su cui si regge il tutto potrebbero essere il Drake o il Kanye West più sperimentali, ma la vera stella polare resta indubbiamente Anohni col suo esordio del 2016. Il tutto rivisto in chiave più scura ed elaborata, dal cuore pop ma dall’aspetto ruvido, tenuto insieme da un cantato alieno, passato costantemente per l’auto-tune.
Si parte direttamente in medias res con “Trapper” e il suo lento sciabordare, guidato da vaghe sfumature orientali, echi costanti e balbettii elettronici. Con “Gigds”, invece, circondati da groove ritmici strutturati, si nuota in mezzo al nero blu delle profondità marine, accompagnati dai cigolii elettronici di “Submit So Deep” e dalla forte intensità emotiva di una malinconica e lineare “Herat” (viverla è come lasciarsi galleggiare nel bel mezzo dell’oceano, di notte, a guardare le stelle). “Natures Envy” si espande fiera e carica di passione, ma poi lascia spazio in chiusura a una posata “The While Hoodie I Wear Because I Love You”, in un certo senso isolazionista e – di nuovo – piena di forza empatica.
Loro si definiscono pop, ma a guardare meglio, i dieci brani proposti vanno ben oltre. Alla base pulsa forte una passione per la melodia, ma ciò che è stato costruito sopra ad essa rende l’ascolto più complesso e accattivante rispetto a come poteva essere in partenza. Ogni suono va compreso e metabolizzato, anche dopo più passaggi nello stereo. Il tutto per arrivare a un insieme stratificato ed evoluto che fa riflettere e pensare, sia sui contenuti stessi del disco, sia su quali possano essere le future direzioni di un certo tipo di musica.
Tracklist
01. Trapper
02. Rest My Head Against A Wall Of Water
03. Gigds
04. Submit So Deep
05. Estate Straight Line
06. Herat
07. Always Wanted To Ride In A Place Like This
08. Natures Envy
09. Sculpture No Solid
10. The White Hoodie I Wear Because I Love You