KAWAMURA GUN, III
Viene dal Giappone, anche se è davvero troppo alto rispetto al nostro stereotipo del giapponese, vive a Roma ormai da alcuni anni, dove si è integrato perfettamente con il fecondo panorama artistico del Pigneto. Musicalmente guarda all’Inghilterra degli anni Sessanta, quella dei Troggs e dei Turtles, per capirci.
Kawamura Gun, pittore oltre che musicista, è, come il titolo lascia intuire, al suo terzo disco per Geograph Records; come in passato, Kawamura mette a punto un repertorio di ammiccanti canzoncine dall’appeal immediato. Attenzione: ho detto canzoncine e non canzonette, in quanto, nonostante non eluda l’alternanza strofa-ritornello, si sforza di ridurre all’osso la forma-canzone, di asciugarla da inutili orpelli per colorarla di tinte piuttosto acide anzichenò. Rispetto alle precedenti prove possiamo dire che, per quanto si attenga a composizioni molto basilari, suonate con pochi accordi, il giapponese amplia lo spettro cromatico inserendo una gamma di strumenti più nutrita rispetto al passato, con qualche piacevole dissonanza e qualche spruzzatina di rumore qui e là che ci sta sempre bene. La chitarra acustica, a cui Kawamura si affida nelle sue performance dal vivo, ha il compito di seguire fedelmente le linee melodiche della voce, tiritere appiccicose di chiara discendenza j-pop che rimangono in testa anche per giorni.
Il gusto delle cose semplici, un po’ bambinesche, esotiche se vogliamo, ma non troppo.