Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

Kariti: in ascolto la sua versione di “Katie Cruel”

“Katie Cruel”, pezzo appartenente alla tradizione folk americana, è stata ri-arrangiata per piano Rhodes da Kariti, della quale abbiamo recensito l’esordio Covered Mirrors. Il mastering del pezzo è di Lorenzo Della Rovere, mentre la foto è di Eleonora Cadeddu.

Come sempre, dietro a ogni versione di “Katie Cruel” (quella di Karen Dalton è la più conosciuta, ma esiste anche la versione di Agnes Obel, oltre che la rilettura di Nick Cave in “When I First Came to Town”) c’è una storia. Questa è quella raccontata da Kariti:

sentii “Katie Cruel” per la prima volta nel 2016 suonata dal vivo da Carla Bozulich con la sua chitarra distorta e spiritata in una piccola venue DIY italiana grazie alla quale potevo organizzare concerti coi miei amici. La melodia e il testo mi travolsero subito, e anche quella sua bellezza fragile e il dolore solitario che la circonda.

Carla mi raccontò la storia di questa canzone e di come la ascoltò su un disco di Karen Dalton, la cui versione è forse quella più incisiva. Ma in ogni caso già allora speravo che un giorno avrei avuto per tentare di creare una mia versione.

Di recente ho ricominciato a suonare il piano dopo una lunga pausa e una delle prime melodie che è scaturita da me quando mi sono seduta di fronte ai tasti è stata quella che si può sentire ora.