KAM HASSAH + SEBASTIANO CARGHINI, 10/11/2014

KAM HASSAH + SEBASTIANO CARGHINI, 10/11/2014

Cesena, Magazzino Parallelo.

Da qualche tempo Enrico Malatesta ha scosso la collinosa Romagna con Grande Stagione, l’insieme di appuntamenti che vanta nomi che non possono non far smuovere gente dall’area limitrofa, periferica e, come questa volta, regionale. Tra di essi si possono citare Rie Nakajima, Attila Faravelli, Seijiro Murayama, Zimmerfrei e il laboratorio/festival dedicato all’elettroacustica AUNA (quest’anno a Milano), che sono quelli a me più cari. Il livello non è destinato a calare questa sera, anzi: questo doppio concerto finirà per diventare l’evento ad avermi colpito di più negli ultimi mesi.

Dopo essere fortunatamente riusciti a organizzare una macchinata da Bologna, ci si mette in viaggio consapevoli che gli orari saranno rispettati, e così è: qualche minuto dopo le nove e mezzo cominciano i concerti. Il Magazzino Parallelo è un’oasi di colore nella grigia zona industriale di Cesena, una boccata d’aria fresca in mezzo allo smog dei camion, perfetta e inusuale per il tipo di musica proposta. La struttura bassa e tappezzata di porte colorate mi accompagna verso una buona birra e il buio spazio interno: qui ci si può accomodare su una sedia, davanti ai musicisti. È presente la distro di Second Sleep, etichetta di Matteo Castro, oggi in veste di Kam Hassah (ma attivo anche nel progetto harsh noise Lettera 22 e nel recente duo con Giovanni Donadini, Primorje), e c’è anche la chiavetta usb di Sebastiano Carghini “Summary The Events Part 1”, una raccolta dei lavori più elettronici elaborati negli scorsi anni.

Carghini apre. La sua ricerca si sviluppa all’interno della musica elettroacustica: qui trova la possibilità di esibire suoni puri, provenienti dalle più varie soluzioni. È come se un dettaglio sonoro, ad esempio il sibilo di un foglio di carta che accarezza una superficie ruvida, venisse estrapolato dal suo luogo di manifestazione e presentato come scultura astratta, compatta nel suo essere qualcosa di bellissimo proprio perché semplice e naturale, ma allo stesso tempo sfaccettato e interessante. L’esplorazione di questi rumori non si limita al loro essere singola unità concreta (e qui sta la differenza rispetto al set di qualche settimana fa a Bologna), perché vi è un’interazione tra varie sorgenti in grado di far scaturire connessioni che rivelano un ulteriore approccio alla materia: in buona sostanza, quando un particolare suono elettroacustico si mischia a una vena di matrice più elettronica, l’accostamento irradia un senso di completezza che riempie lo spazio di riflessi stimolanti.

La pausa di qualche minuto serve non solo per assimilare il complesso e labirintico audio di Carghini, ma anche per spostare le sedute di fronte alla postazione – più tetra – di Kam Hassah. Questa non è illuminata se non da una piccola lampada che Castro usa per orientarsi fra nastri e distorsori. L’oscurità misteriosa e ambigua è tipica delle release del rumorista veneto, che è riuscito a creare una vera e propria estetica inconfondibile. Anche il set di Kam Hassah è molto diverso da altri suoi ai quali sono stato, che erano orientati più verso un harsh freddo e violento: oggi i toni sono più dinamici, ma le nostre orecchie verranno comunque ferite senza pietà. Da sempre attaccato all’utilizzo di nastri, Kam Hassah è un progetto oscuro, iconoclasta, tanto che forse anche qui si potrebbe parlare di destrutturazione del suono, ma in senso viscerale, umido. Castro sovrappone lingue di mite rumore a esplosioni vulcaniche di acido, i nastri scorrono ma vengono sapientemente manomessi per farli stridere, si viaggia su quella sottile linea fra crudeltà e passione. Il risultato è molto fisico, carnale: Matteo non è mai immobile, ma gestisce la sua postazione come se fosse una cabina di fabbrica fra interruttori e leve da coordinare in modo freddo, preciso e veloce. I fruscii celano degli spigoli ben più spaventosi, che non sono tenuti mai nascosti per molto tempo: quando vengono alla luce, il contrasto non è un impatto violento, ma un dolce marcire del suono precedente. In ogni lavoro di Kam Hassah, così come nei suoi live, si può trovare lo stesso vocabolario, eppure ciascun episodio si emancipa all’interno del suo paludoso universo fatto di carta strappata e sostanze ossidanti.