KALI MALONE, Does Spring Hide Its Joy
Come abbiamo capito anche noi grazie al festival Transmissions di Ravenna, Kali Malone, giovanissima statunitense trasferitasi poi in Svezia a 18 anni (per studiare all’EMS), è una specie di astro nascente dello scenario musicale alternativo, tra l’altro parte di un giro di talenti emersi durante questi ultimi tempi, visto che ha iniziato con Ellen Arkbro e Caterina Barbieri. Si potrebbe, proprio come con le altre due, al netto di percorsi ormai differenti, definirla una compositrice minimalista, finita sotto ai riflettori grazie a The Sacrificial Code (iDEAL, 2019), disco che le ha permesso di esibirsi all’organo nelle più belle chiese d’Europa, Sagrada Familia compresa, per poi aprirle le porte di un’istituzione come il GRM e registrare Living Torch (2022, Shelter Press/Portraits GRM), costruendosi intorno una sorta di ensemble elettroacustico (synth + trombone + clarinetto basso).
È appena uscito a suo nome Does Spring Hide Its Joy, registrato a Berlino durante il confinamento del 2020, che la vede suonare degli oscillatori al fianco di Stephen O’Malley (chitarra elettrica, il disco esce per la sua Ideologic Organ) e la violoncellista Lucy Railton, già sentita proprio su Portraits GRM. Di base ci sono 3 versioni di un’ora di Does Spring Hide Its Joy, pure e potenti, con O’Malley e Malone spesso fusi come un’unica entità e Railton riconoscibilissima sempre e – devo dire – meravigliosa. Se fosse stato il 1972, con le dovute differenze (estetiche, stilistiche) e proporzioni, ci saremmo trovati con Tony Conrad e i Faust mentre registravano Outside The Dream Syndicate. Se fosse stato il 1984, saremmo stati accanto a Niblock che editava il suono dell’oboe di Joseph Celli per togliere le pause dovute al respiro del suo collaboratore, così da creare un bordone perfetto. O magari, nel 1988, avremmo provato sottile inquietudine accanto a Steven Stapleton e Diana Rogerson mentre s’inventavano il loro Soliloquy For Lilith. Siamo nel 2020, invece, e stiamo seduti in uno stanzone vuoto, assorti mentre guardiamo due accademiche e un metallaro dare il loro contributo a quella che una volta era avanguardia e oggi è una tradizione riverita e rinvigorita.
P.S.: un giorno qualcuno, a questo punto svedese, scriverà un pezzo su come mai tre donne (quattro, volendo aggiungere Maria W Horn), tutte amiche, tutte più o meno coetanee e tutte con lo stesso percorso siano in giro per tutti i festival e tutto il resto dei musicisti simili a loro no? Grazie.